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Politica

Gianni Cuperlo: "Perché sostengo Nicola Zingaretti". In un documento di SinistraDem i motivi della scelta

NurPhoto via Getty Images
NurPhoto via Getty Images 

Un Patto per l'Alternativa e una Costituente popolare per un nuovo Pd. Gianni Cuperlo motiva il suo sostegno a Nicola Zingaretti nella corsa verso la segreteria del Partito Democratico. In un documento SinistraDem sintetizza i motivi della scelta.

1. In questi anni complicati abbiamo difeso qualche coerenza. Lo abbiamo fatto con lealtà e solidarietà verso il Pd. Lo diciamo con l'umiltà di chi sa vedere e riconoscere i propri limiti, di chi vuole ascoltare e continuare a imparare. Ma anche di chi considera il trasformismo una malattia della politica. Perché per noi unità e chiarezza camminano assieme. Abbiamo la convinzione che l'apertura sia sempre segno di autorevolezza, forza delle classi dirigenti e premessa di unità.

Abbiamo conosciuto e sofferto la scissione di parte della sinistra. Oggi spirano venti di separazione verso il cosiddetto "centro" e di rivincite a prescindere da un ragionamento onesto sulla sconfitta storica del Pd e della sinistra che ha consegnato il paese a questa destra. Tutto suona a conferma di una identità fragile del Partito Democratico.

Ci piace guardare in avanti e costruire il futuro. Ma per questo non aiutano rimozioni, amnesie o giustificazionismi. Serve condividere qualche verità. Ammettere che è in discussione il Pd per come è nato in un altro ciclo della nostra democrazia.

Per l'insieme di queste ragioni la sinistra c'è e ci sarà. Per cambiare tutto ciò che è giusto cambiare a partire da noi. Perché il progetto va rifondato. La strada da imboccare è quella di una Costituente Popolare. Con il recupero di uno spirito federatore del Pd in un nuovo centrosinistrae nell'alleanza per un'altra Europa. Adesso. Perché il tempo è ora.

2. La sinistra vincerà se torna a capire il mondo per trasformarlo. Se rovescia il modo di pensare e rigenera il suo stare tra chi cerca un riscatto. Non è un caso se abbiamo iniziato a perdere quando, agli albori di una crisi che ha mutato vita e sentimenti delle persone, il dramma delle diseguaglianze è scivolato troppo sullo sfondo cogliendoci distanti da bisogni, paure e insicurezze di tanti.

Saper vedere gli errori è un segno di maturità. Troppo rigorismo prima, poi l'impostazione del jobs act, una riforma costituzionale fatta male, l'approvazione di leggi elettorali a colpi di fiducia ispirate a un modello di democrazia con meno corpi intermedi e decisioni sempre più accentrate, l'ironia fuori posto verso chi votava al referendum sulle trivelle: tutto questo ha creato una frattura con parti del nostro mondo.

È vero, la sconfitta ha radici più lontane negli anni. Investe i progressisti e la sinistra in tutto l'Occidente e non solo. Era evidente da prima che di un'altra Europa c'era bisogno. Come era comprensibile che le ingiustizie globali avrebbero alimentato migrazioni disperate, crisi ambientali, fasi di collasso dell'economia.

Allora per tempo andava aperto un dibattito pubblico a partire dallo spazio europeo. Per tempo andava cancellata la Bossi-Fini. Per tempo andavano ampliati i corridoi umanitari, riaperto canali di ingresso legali, approvato lo ius soli.

Tutto ciò è accaduto e riguarda ognuno. Ma quel passare dal 40 al 18 per cento ha la sua responsabilità principale nel gruppo dirigente dell'ultima stagione. Lo shock del 4 dicembre 2016 (referendum sulla Costituzione) e del 4 marzo 2018 (elezioni politiche) assieme a molte elezioni amministrative perdute, ha sancito la fine di una strategia, di una politica e di un messaggio. Solo una discontinuità di parole, azioni, persone, può restituire credibilità e fiducia.

Così è stato con l'Ulivo e il centrosinistra. Così è stato dieci anni fa col Pd.

Bisogna immergersi nei conflitti che si agitano nel lavoro dipendente e tra le precarietà. La precarietà di chi è più sfruttato, dai riders ai giovani immigrati che scoprono la lotta per i loro diritti, e quella di chi, dai ricercatori alle partite Iva, prova a farcela puntando su di sé, sulla propria formazione e volontà. Dobbiamo guardare le energie che si sono messe in moto, tra tanti sindaci e amministratori che meritano più sostegno da parte nostra. E nelle piazze di Milano, Torino, Roma o Riace, con le loro differenze. In un universo cattolico capace di pensiero e reti di accoglienza e solidarietà. E ancora, tra un numero incredibile di persone che animano comitati locali su battaglie di civismo, che si mobilitano a difesa di libertà minacciate. Emergono figure di donne, e sono molte, e giovani pronti all'impegno.

Di fronte a un governo al traino della destra il Pd non può restare chiuso nelle sue pratiche, ostaggio di uno Statuto assurdo. Un impegno è riscriverlo nei primi sei mesi dopo il congresso. Ma intanto e soprattutto serve una iniziativa politica.

Il nostro congresso recupera valore in una proposta e mobilitazione per

il Paesee l'Europa.E nell'apertura di una fase costituente per un Pd federatore e federalista, per una vera alternativa.

3. L'Europa è un banco di prova. La destra nazionalista aggredisce i cardini della democrazia come non era più accaduto dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Le elezioni europee saranno il momento in cui decidere l'Europa che verrà.

Il patto tra socialisti e popolari è alle corde. Bisogna ripensare un'alleanza per dare forza e consenso al fronte democratico e della sinistra. Essere protagonisti di un incontro dai socialisti a Podemos, Syriza e Verdi. Dopo la crisi peggiore che ha investito l'Occidente e limiti e subalternità di ricette fallimentari è tempo di una svolta senza la quale il rischio è il ritorno a "piccole patrie" in guerra tra loro in forme moderne. Ma quello sarebbe un errore drammatico perché non esiste soluzione per i problemi aperti, non si batte il terrorismo che si riaffaccia col suo carico di odio e violenza, fuori da una unità e cooperazione europea, dal dialogo interreligioso e ispirato da principi di laicità.

L'Euro va difeso con una potente redistribuzione di risorse nel segno di un principio di uguaglianza da rimettere al centro. Bisogna lasciarsi alle spalle l'unanimismo e darsi la regola di velocità differenti nel disegno dell'integrazione.

Si trasformi la prossima campagna elettorale nel teatro politico – finalmente politico – di un confronto tra due visioni dell'Europa. Così si può restituire passione e il senso di una battaglia su valori fondamentali a partire dalla pace e dal rispetto della dignità di ogni persona.

4. Un riscatto per la sinistra è anche in un programma capace di unire Nord e Sud. Nel paese si stanno moltiplicando divari inaccettabili. In ampie parti del Mezzogiorno il deficit di lavoro, infrastrutture e legalità mette a rischio l'unità del paese. La stessa "divisione del lavoro" dentro il governo è subalterna all'esistenza di due nazioni sempre più distanti. Tema che riporta in primo piano una riforma federalista che coinvolga città, regioni, lo Stato centrale e l'Europa. Riaprire il cantiere delle riforme istituzionali e farlo con approccio e metodo diversi da prima: questo è un bisogno sentito prima di tutto da migliaia di sindaci che vivono in frontiera responsabilità enormi senza gli strumenti e le risorse necessari. Modernizzare lo Stato, attrezzare l'amministrazione pubblica alle sfide economiche e sociali di adesso, decentrare poteri e responsabilità sui livelli locali nella logica della sussidiarietà: la strada da imboccare è questa.

La bussola per un programma c'è e vive negli articoli 1, 2 e 3 della Costituzione. Il lavoro, la partecipazione e la rimozione di tutti gli ostacoli che impediscono l'effettiva uguaglianza di opportunità e l'accesso ai beni essenziali (salute, istruzione, casa, assistenza...).

C'è una domanda di senso e di esempi positivi, e in fondo la necessità di una diversa "utopia" da rimettere al centro. Recuperando la funzione della sinistra che è guidare una parte sul sentiero dell'emancipazione e della liberazione dalla paura e dal bisogno, da illegalità, mafie, eversione.

Al centro rimettiamo idirittiumani, sociali, civili e idoveriinderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Il grande tema dell'autonomia e della libertà femminile si impone come tratto identitario di culture, religioni e politiche di questo secolo.

È prioritario il contrasto a ogni forma di persecuzione e violenza. È giusto difendere le norme anti-discriminatorie come il 50 per cento, l'inserimento nel lavoro e la parità salariale, le pari opportunità in ogni ambito e livello.

Se è così sarebbe disonesto negare pigrizie culturali e limiti anche nostri. Non solo, troppo spesso, per il mancato rispetto delle regole paritarie e per la fatica a riconoscere leadership femminili. Ma perché quei limiti hanno contribuito alla crescita di consenso alla destra. La ricostruzione di una nostra credibilità passerà anche da una promozione di conflitti nella società e nel nostro stesso campo per i diritti e il rispetto delle donne.

Tutto questo va fatto perché viviamo il cambio d'epoca più incredibile della nostra esistenza. Innovazioni potenti, una scienza che allunga le vite. Assieme a frontiere di civiltà si aprono contraddizioni trasversali a ceti diversi. L'emergenza del clima è la più simbolica. La sinistra deve unire queste sfere come antidoto alla destra e al ricatto di una complessità dove algoritmi governati da oligopoli incidono in forme crescenti sul modo di pensare.

Si deve coinvolgere la parte migliore del lavoro, della cultura, della scienza, dell'impresa, del solidarismo che vive tra milioni di volontari.

Porre le giuste priorità: la difesa di redditi e pensioni, uno sviluppo solidale e sostenibile con una riconversione dell'economia in chiave ambientale, una tassazione più giusta, un contrasto netto all'evasione, mettere al sicuro città, edifici pubblici, infrastrutture con un piano di investimenti, rimettere il diritto allo studio e la piena occupazione al centro, riscrivere le regole del welfare per adattarle a una società dove cambiano tempi di vita e opportunità.

5. Un patto per l'Alternativa. Il governo è una combinazione tra incompetenza e un'impronta reazionaria. La miscela colloca l'Italia più vicino a Visegrad tradendo una intera civiltà politica a partire dalla radice antifascista della Repubblica. È in atto una vera restaurazione che investe i diritti, le libertà, la dignità delle donne (l'assurda legge Pillon, gli attacchi alla 194, l'uso violento di un linguaggio sessista), regressioni omofobe e razziste, la sicurezza brandita contro i migranti. Si aggredisce la separazione dei poteri, la libertà dell'informazione, si punta a indebolire l'autonomia della magistratura: i motivi dell'allarme sono tanti ed è bene per questo che il governo se ne vada al più presto.

Dobbiamo lavorare perché non si saldino socialmente i due elettorati (di Lega e 5 Stelle) dando vita a una alleanza di destra, ideologica e di massa che segnerebbe per l'Italia un punto di non ritorno. Chi vuole un congresso serio dovrebbe uscire da frasi fatte e polemiche banali, quelle sì stucchevoli e nostalgiche di un passato da archiviare.

Il tema per noi è prepararsi al dopo. Pd e centrosinistra devono riconquistare a una prospettiva diversa milioni di astenuti, di delusi, e una parte degli stessi elettori 5Stelle. Avere tifato per la nascita di questo governo è stato un errore. Non si tratta oggi di fare sconti ai cedimenti di quel movimento verso derive illiberali. Altro è rinunciare a creare contraddizioni nello schieramento avversario svolgendo a una funzione politica attiva.

6. Per una Vocazione unitaria. Oggi non c'è nessuna "vocazione maggioritaria" da inseguire.Questo è il tempo di una nuova "vocazione unitaria"dentro e fuori da noi.

Federare, riallacciare dialogo e cooperazione, rivalutare associazioni e un sindacato impegnato a rilanciare la sfida dell'unità. La Cgil in particolare affronta un congresso importante a cui è giusto guardare con attenzione. Una politica isolata nelle istituzioni è una politica fragile.

Governare è decisivo ma la missione di un partito non si ferma lì. Come ha dimostrato la nostra esperienza. Ci sono nell'azione dei governi Letta, Renzi, Gentiloni, scelte e riforme che è giusto rivendicare. Ma anche limiti che è bene nominare. Il più serio è stato concepire il successo del 40 per cento alle europee del 2014 come un'arma da usare per dividere il campo del centrosinistra. Sindacati, "professori", "fuoco amico", mondo della scuola, e più vicino a noi, Ong impegnate nel salvataggio di vite: dividere il campo ha creato rotture profonde.

In particolare si è accentuata la frattura tra cultura e politica, e il prezzo più alto per questa divisione lo abbiamo pagato noi. La mappa del voto lo ha dimostrato con la forza dei numeri e della geografia del consenso. Perdiamo tra i giovani e le donne, nelle fasce sociali più povere e angosciate per il futuro. Da lì bisogna ripartire.

Fare comunità: Un decennio ha dimostrato che un leader da solo non basta. Bisogna arrivare a una forza dove iscritte e iscritti siano riconosciuti e ritrovino una funzione. Dove partecipare voglia dire contribuire alle scelte e alle decisioni anche con referendum e forme diverse di consultazione perché la vita democratica non può esaurirsi nel rito periodico delle primarie o, peggio, nel sostegno a questa o quella filiera di comando. In alcune realtà del paese la decadenza della vita democratica interna è divenuta scandalosa. Il tesseramento piegato a interessi di corrente, il confronto sequestrato da comitati di notabili. Tutto ciò va spazzato via in un'opera di vera e propria rifondazione della politica e con un rinnovamento di gruppi dirigenti.

In questo quadro il pluralismo e l'agibilità delle minoranze vanno preservati con regole precise sapendo che l'unità è sempre il risultato di un confronto serio, paziente, leale. Una ricerca comune nel cogliere la quota di vero presente nelle posizioni dell'altro.

La subalternità di questi anni ci ha portati alla scelta sbagliata di sopprimere ogni finanziamento pubblico alla politica. E intanto ai Circoli e ai territori sono state negate risorse indispensabili per "fare democrazia" in modo limpido e concreto.

Basta nascondersi dietro il rito dei "tre minuti, tempi europei" quando si discute sulle sorti del mondo. La politica è anche studio, formazione e esperienze vissute assieme.

Scegliere un leader. Ma contrastare il leaderismo, formare e promuovere una classe dirigente diffusa e davvero generosa e appassionata: su questo si costruisce una nuova stagione.

Con questo spirito, con queste proposte, per queste ragioni, dentro e oltre il congresso la sinistra c'è e ci sarà. Facciamo delle primarie il momento di una partecipazione larga, superiamo con la chiarezza delle posizioni un confronto ripiegato. Restituiamo orgoglio e voglia di battersi a una generazione che la pochezza della politica rischia di allontanare. C'è una società che vuole reagire. Servono radicalità, coraggio, ambizione. Serve una sinistra di nuovo consapevole della sua funzione e identità.

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