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Economia

Il tifo interessato del Governo per la linea della Bce su Carige

Bloomberg via Getty Images
Bloomberg via Getty Images 

Ci sono smottamenti che possono diventare slavine. E questo è il caso di Carige. Perché, o si risolve il nodo della ricapitalizzazione in tempi brevi e della successiva aggregazione con un big del credito, o la ferita genovese rischia di produrre una emorragia di sistema con un duplice impatto, finanziario e politico. Finanziario, perché ciò equivarrebbe a un altro colpo all'immagine già a forti tinte chiaroscure del sistema bancario italiano; basta vedere l'impennata dello spread, basta leggere quello che scrivevano oggi due tra i maggiori quotidiani tedeschi come Handelsblatt e Frankfurter Allgemeine nelle loro corrispondenze da Roma. E un impatto politico, perché il governo gialloverde sarebbe posto di fronte all'alternativa di immettere altri soldi pubblici nelle banche, esattamente il contrario di quanto ha sempre predicato, un'altra "musata" in altre parole contro il muro dei vituperati numerini.

Dopo avere commissariato la banca ligure il piano della Bce nelle sue grandi linee è ormai chiaro e definito anche se non scontato. Si ritenterà innanzitutto la via dell'aumento di capitale da 400 milioni saltata il 22 dicembre scorso per l'opposizione dell'azionista di maggioranza, la famiglia Malacalza. Nell'ipotesi di un nuovo no, scatterebbe la clausola di garanzia della trasformazione in equity del bond subordinato da 320 milioni sottoscritto dal Fondo di tutela dei depositi (Fdt), in pratica le altre banche, con conseguente diluizione della partecipazione dei Malacalza. La banca avrebbe poi un anno di tempo per trovare un compratore (Ubs è al lavoro). Al limite la Bce potrebbe anche porre in liquidazione l'istituto. Una soluzione estrema questa che al momento appare però assai improbabile. "Adesso ognuno deve assumersi le proprie responsabilità per mantenere la banca in sicurezza", ha avvertito Roberto Gualtieri, presidente della Commissione per i Problemi economici del Parlamento europeo e uomo vicino alla Bce oltre che a Bruxelles.

Il piano di Francoforte è ben congegnato ma come tutti i giochi a incastro ha i suoi elementi di aleatorietà. Certamente ha molti fan: la Banca d'Italia, il Ministero dell'Economia, i commissari, i componenti del Comitato di Sorveglianza presieduto da Gianluca Brancadoro, il Ftd, l'Abi e last but not least il governo, in particolare nella persona del premier Giuseppe Conte molto attivo sul dossier. Che il governo preghi perché il piano si realizzi è comprensibile. Con il suo intervento realizzato in collaborazione con le strutture tecniche del Tesoro e della Banca d'Italia, ovvero gli uomini che Salvini e Di Maio vedono come il fumo negli occhi ma utilissimi alla bisogna, la Bce ha tolto provvisoriamente le castagne dal fuoco dell'esecutivo.

Le alternative infatti sarebbero finanziariamente e politicamente indigeste. In caso di fallimento del piano "conversione del bond e successiva aggregazione", infatti, le opzioni disponibili sarebbero due: la liquidazione pilotata stile banche venete, da una parte, e l'ingresso dello Stato nel capitale con la così detta ricapitalizzazione precauzionale stile Mps. Due soluzioni che richiederebbero, non solo una immissione di denaro fresco da parte dello Stato ma che dovrebbero passare attraverso una laboriosa trattativa con l'Unione europea e la sua arcigna Commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager, che delle banche italiane a questo punto ne ha abbastanza.

Dunque, nuovi tavoli negoziali gestiti dalle mal tollerate tecnostrutture dell'Economia e di Via Nazionale, nuove photo opportunity del premier con Jean Claude Juncker, nuovi attriti Tesoro-Palazzo Chigi. Tutto questo nel pieno di una campagna elettorale per le europee cruciale per gli equilibri politici nazionali. Too much.

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