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Esteri

Il Trump bifronte: con la Turchia di Erdogan usa il bastone e il "cuscinetto"

ASSOCIATED PRESS
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Il bastone e la carota. O meglio "il cuscinetto". La minaccia di una improbabile guerra economica e l'apertura alla richiesta che più interessa alla Turchia, la creazione di una "zona cuscinetto", sotto controllo indiretto di Ankara, che si estenda per 20 chilometri in territorio siriano. E' un Trump bifronte quello che oggi si dedica al complicato, per ragioni politiche prim'ancora che militari, ritiro dei soldati americani dalla Siria. Ankara rischia una possibile catastrofe economica del Paese in caso di attacco contro i curdi in Siria dopo il ritiro delle truppe americane.

"Devasteremo economicamente la Turchia se colpirà i curdi", ha scritto l'inquilino della Casa Bianca in un tweet di ieri sera in cui annuncia l'inizio del "lungo ritiro dalla Siria" e la creazione di "una zona di sicurezza di 20 miglia". Allo stesso modo", ha aggiunto il presidente Usa, "non voglio che i curdi provochino la Turchia". "Russia, Iran e Siria sono stati i maggiori beneficiari della politica a lungo termine degli Stati Uniti per la distruzione dell'Isis in Siria: nemici naturali. Ne beneficiamo anche noi, ma è ora di riportare a casa le nostre truppe. Stop alle guerre senza fine!", ha detto Trump Ma la Turchia non si lascia intimorire dalle minacce del presidente americano. L'ufficio del presidente, Recep Tayyip Erdogan, ha fatto sapere che continuerà a combattere la milizia curdo-siriana sostenuta da Washington. Sostenendo che non c'è "alcuna differenza" tra l'Isis e la milizia curda delle Unità di Protezione del Popolo (Ypg), il portavoce del presidente, Ibrahim Kalin, ha affermato che la Turchia continuerà a "combattere tutti loro".

"I problemi e le incomprensioni tra gli Stati Uniti e la Turchia sono il risultato della confusione e della cacofonia tra gli attori a differenti livelli dell'amministrazione Usa e delle istituzioni", afferma in una intervista ad al Jazeera Yasin Aktay, uno dei più ascoltati consiglieri di Erdogan in seno al partito Akp. "Le minacce non ci fanno paura. Non si ottiene nulla con le minacce economiche", gli fa eco il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu. "Trump subisce delle serie pressioni" per "impedire il ritiro" dalla Siria, ma "dei partner strategici non si parlano attraverso i social media", ha aggiunto Cavusoglu, precisando comunque che la Turchia non è "contraria all'idea" di una zona cuscinetto da 30 km al confine con la Siria, suggerita nello stesso tweet dal presidente Usa. Ed a ben vedere, è proprio questa la novità sostanziale del "cinguettio" presidenziale: aver per la prima volta esplicitato la disponibilità americana a prendere in considerazione una richiesta "antica" della Turchia: una ipotesi che i funzionari turchi hanno discusso con il consigliere alla Sicurezza John Bolton e con il dipartimento di Stato americano e che potrebbe essere una forma di compromesso fra Usa e Turchia.

Di questa politica del bastone e del "cuscinetto", cerca di farsi interprete Mike Pompeo, impegnato in un lungo tour diplomatico in Medio Oriente. Parlando ad Abu Dhabi, il capo della diplomazia americana ha affermato che gli Stati Uniti hanno riconosciuto "il diritto del popolo turco e il diritto di Erdogan di difendere il proprio Paese dai terroristi". "Sappiamo anche che quelli che combattono insieme a noi per tutto questo tempo meritano di essere protetti". Quanto al bastone (la devastante guerra economica minacciata dal presidente Usa), non si tratterebbe della prima volta che Trump colpisce la Turchia nella sua fragile economia: in agosto aveva mandato segnali per via della decisione di Erdogan di acquistare dalla Russia i missili difensivi S-400 e non i Patriot americani, ed in poco era crollata la lira turca costringendo il presidente a cercare aiuti finanziari in Qatar e negli Emirati Arabi Uniti. Erdogan allora aveva dichiarato che "loro hanno il dollaro, noi abbiamo Dio", ma è certo che un'azione più decisa di Washington potrebbe rivelarsi distruttiva per l'economia turca. E le avvisaglie ci sono tutte.

A metà dicembre la produzione industriale (asset centrale dell'economia turca) è precipitata ai minimi da nove anni. Per la precisione in ottobre è caduta del 5,7% rispetto all'ottobre del 2017 (in settembre era a sua volta caduta), ha segnalato l'ufficio statistico turco. Da inizio anno il numero dei disoccupati è balzato da tre milioni a3,8 milioni. Nonostante il corposo rialzo dei tassi di interesse deciso dalla Banca centrale, portati in settembre al 24%, l'inflazione è ancora intorno al 20%. I mercati internazionali sono estremamente preoccupati. Una recessione, intesa tecnicamente come due trimestri consecutivi di crescita negativa, è dietro l'angolo. Nel frattempo, il ministro della Difesa turco Hulusi Akar, il capo di Stato maggiore, generale Yasar Guler, il comandante dell'esercito Umit Dundar, e il capo dell'intelligence Hakan Fidan si sono incontrati nella provincia meridionale di Hatay per discutere degli ultimi sviluppi nella regione siriana di Idlib e il mantenimento del cessate il fuoco tra ribelli ed esercito di Damasco. Lo riferisce il quotidiano turco Hurriyet. "Stiamo facendo tutti gli sforzi necessari per mantenere il cessate il fuoco e la stabilità in base all'accordo di Sochi e la nostra stretta cooperazione con la Russia continua ", ha dichiarato Akar, facendo riferimento all'intesa per istituire una zona demilitarizzata nella provincia di Idlib raggiunta lo scorso settembre a Sochi tra Erdogan e l'omologo russo Vladimir Putin.

Ankara e Mosca hanno anche firmato un memorandum d'intesa che chiede la "stabilizzazione" della zona di Idlib, in cui sono espressamente vietati atti di aggressione. Nell'ambito dell'accordo, i gruppi di opposizione di Idlib rimarranno nelle aree in cui sono già presenti, mentre Russia e Turchia condurranno pattuglie congiunte nella zona al fine di prevenire nuovi combattimenti. Erdogan ha dato ampia prova di praticare la strategia delle alleanze variabili, sul fronte siriano e non solo. Ciò che invece colpisce e disorienta gli alleati mediorientali di Washington, è l'oscillazione della politica portata avanti dall'amministrazione Trump nella regione.

Lo stesso Pompeo a Riyadh, come Bolton a Gerusalemme, hanno registrato le preoccupazioni di Israele e Arabia Saudita sullo scenario che potrebbe determinarsi con il ritiro, diluito nel tempo ma non cancellato da Trump, dei militari Usa in Siria. Così come colpisce gli analisti internazionali, la durezza con la quale il presidente americano si è rivolto a quello che resta comunque un alleato della Nato. Bastone e cuscinetto. Ritiro diluito e/o camuffato. Consiglieri che correggono in corso d'opera i dettami del commander-in-chief . Insomma, quanto alla politica estera, la confusione regna sovrana dalle parti della Casa Bianca. Il che non può non inquietare, visto che si tratta pur sempre della iper potenza mondiale.

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