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Cultura

Luciano Canfora: "Fascistoidi al potere"

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Iniziò con queste parole: "Comprenderemo in un unico pensiero di amore tutti i morti. Ogni vita vale un'altra vita, ogni sangue vale altro sangue, ogni barricata un'altra barricata". Era il 23 marzo 1919 e, davanti a un centinaio di persone, a Milano, Benito Mussolini battezzò il movimento fascista, fondando i fasci di combattimento. Sono passati (quasi) cento anni. Eppure, il fascismo continua ad aleggiare nel dibattito pubblico come una minaccia incombente, un possibile destino: "Il rischio che il comportamento di Salvini e dei suoi seguaci ci conduca, prima o poi, in una situazione simile a quella che portò alla nascita del fascismo, c'è", dice ad HuffPost Luciano Canfora, storico del mondo antico e studioso capace di far dialogare epoche lontanissime: "Dire che è tornato il fascismo non ha senso. Ma dire che la nuova Lega di Salvini mescola rivendicazioni di tipo sociale al razzismo xenofobo è diverso e del tutto evidente. Se poi qualcuno si vuole auto-ingannare, va bene: tanti saluti. Però, quello di Salvini, è palesemente un partito fascistoide".

Gli anni in cui nacque il movimento fascista furono gli anni della "rivoluzione mancata", attraversati da "un'agitazione sociale fortissima", in cui sembrò che la palingenesi fosse questione di giorni, addirittura di ore. Anni riassunti con geniale sintesi comunicativa da una formula di Pietro Nenni, "diciannovismo": un termine in grado di contenere l'incontenibile ebbrezza di quel momento. "La storia non si ripete mai allo stesso modo – dice Canfora –. Tuttavia, quello che è accaduto ieri, aiuta a capire meglio quello che sta accadendo oggi".

Allora era avvenuto che l'Italia aveva vinto la prima guerra mondiale, ma lasciando sul terreno seicentomila morti, perlopiù contadini del sud e proletari del nord: tutti mandati a morire in trincea. "C'era un'enorme questione sociale – ricorda Canfora –. E i sopravvissuti volevano una cosa su tutte: essere risarciti". Fu in questo clima di rivendicazione diffusa che Mussolini staccò una costola del movimento socialista e creò un nuovo soggetto politico, nel quale "mescolava il desiderio di punire i pescecani della guerra con l'esaltazione della nazione, l'avversione ai socialisti con il progetto di fare la rivoluzione". Furono tre anni, quelli inaugurati dal trionfo dei socialisti alle elezioni politiche del 1919, di eccitazioni, paure, furore, spaventi, attese messianiche e risvegli tremendi. All'occupazione delle fabbriche del biennio rosso, infatti, seguì il biennio nero: "Quando le squadre fasciste si misero al servizio degli agrari e del grande capitale e si scagliarono, protetti dai carabinieri, all'assalto delle sedi socialiste, cancellando via via le conquiste che erano state ottenute in precedenza".

Che c'entra questo con quel che succede oggi?

Muovendoci su terreno minato dei paragoni storici, si può dire che il fallimento del partito democratico, rivelatosi un puro partito di potere, ha liberato un enorme bisogno di giustizia sociale, che si è trasformato in una massa di voti per i 5 stelle. Una forma di "diciannovismo" anche questa: voler cambiare tutto, e subito.

Un nuovo biennio rosso?

Allora fu il movimento organizzato dal partito socialista a incanalare la sete di giustizia. Il 4 marzo, per l'enorme responsabilità del partito democratico, lo scontento è andato a finire in un posto assurdo, il movimento 5 stelle. A cui si sta sovrapponendo, in maniera finora vincente, qualcosa di nero, cioè la forza della Lega. Un embrione di biennio scuro, che non sappiamo che esiti avrà.

Nel 1919 però si usciva da una guerra.

Oggi abbiamo alle spalle una crisi economica tremenda, che, dal punto di vista delle condizioni di chi sta peggio, è come una guerra.

Ma mancano masse di reduci che abbiano familiarità con le armi e la violenza.

Oggi ci sono i vari gruppi della galassia estremista di destra, come CasaPound, che compiono agguati e idolatrano il capo della Lega. Sono le squadrette di Salvini.

Sta dicendo che questi gruppuscoli sono il braccio armato della Lega?

Ma perché lei pensa che le squadracce che imperversavano tra il 1919 e il 1921 erano un movimento di massa?

No, ma erano più direttamente riconducibili a Mussolini.

Sì, certo. Ma il fatto che CasaPound lucidi le scarpe a Salvini e che Salvini se le lasci lucidare con piacere configura un rapporto di reciproco aiuto, e anche qualcosa di più. Mi pare ci sia una somiglianza con ciò che abbiamo ricordato prima.

Si può parlare davvero di fascismo?

Una cosa è parlare di fascismo, un'altra cosa è parlare di fenomeni fascistoidi, come faccio io. Poi, si trovano sempre in giro dei Don Ferrante che, come il personaggio raccontato da Alessandro Manzoni, negano la peste fino a quando non muoiono, di peste.

Chi la nega?

Quelli che, arricciando il naso, obiettano: "Il fascismo ha sciolto i partiti". Ma dimenticano che dal 1922 al 1926 non fu così: c'era un parlamento composto da vari partiti che si scontravano tra loro. Poi, le cose cambiarono definitivamente.

Che pensa di chi, senza le sue sfumature, parla apertamente di fascismo?

Che è sempre un errore semplificare i concetti storici, poiché la storia non è mai semplice.

Sbagliano dunque i vari Saviano, Sandro Veronesi, Michela Murgia, a farlo?

Perché vuole farmi dire che questi scrittori sbagliano?

Non le voglio far dire questo: le ho chiesto un commento all'interpretazione che questi scrittori danno della situazione.

Allora le risponderò con Aristotele. Il quale, nel suo trattato sulla retorica, diceva che quanto più è grande l'uditorio a cui si parla, tanto più è necessario semplificare. Perciò, è ovvio che uno scrittore di successo, rivolgendosi in televisione a milioni e milioni di persone, semplifica i suoi concetti. Mentre, a un convegno, farebbe una serie di distinzioni doverose.

Salvini, senza fare tante sottigliezze, l'ha messa nella categoria dei "professoroni".

Quando?

Qualche giorno fa su Facebook.

Non lo sapevo.

Ora lo sa.

Non mi stupisce. Il disprezzo per chi studia e pensa è tipico di tutti i reazionari.

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