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Esteri

Israele muove guerra alla "Pasdaran holding" in Siria

ASSOCIATED PRESS
ASSOCIATED PRESS 

"La nostra politica è eliminare la presenza iraniana in Siria": Benjamin Netanyahu, primo ministro d'Israele. "Siamo pronti per la guerra decisiva che porterà alla scomparsa di Israele. Le nostre forze armate sono preparate per il giorno in cui Israele sarà distrutto": Aziz Nasirzadeh, capo dell'aeronautica iraniana (secondo la tv di Stato di Teheran , parole riportate dal sito Times of Israel ). Almeno nei proclami, la red line tra Israele e Iran è stata superata. E la Siria diventa il campo di battaglia di una guerra diretta che rischia di far esplodere la polveriera mediorientale. Le affermazioni del generale Nasirzadeh arrivano dopo gli attacchi israeliani in Siria contro presidi militari iraniani. Da parte sua, Israele ha precisato che "il missile terra-terra di media gittata contro le Alture del Golan controllate da Israele è di produzione iraniana e non è mai stato usato all'interno della guerra in Siria". Il portavoce militare israeliano Jonathan Conricus lo ha spiegato ai giornalisti sottolineando che "il missile è stato portato in Siria dall'Iran con l'intento di colpire nel futuro Israele. Quello di domenica sul Monte Hermon è stato un attacco premeditato in un'aerea dove c'erano migliaia di civili israeliani". Le forze armate israeliane, ha avvertito il portavoce, "restano determinate ad agire per impedire il rafforzamento iraniano in Siria".

Il portavoce militare ha precisato che l'aviazione israeliana ha colpito in Siria diversi obiettivi della forza 'Quds' iraniana fra cui "magazzini di munizioni ed installazioni vicine all'aeroporto di Damasco, un sito dell'intelligence ed un campo di addestramento delle forze armate iraniane". Durante l'attacco verso i jet israeliani sono stati lanciati decine di razzi terra-aria siriani e di conseguenza sono state colpite anche batterie della difesa aerea della Siria. Secondo la radio militare, tutti gli aerei israeliani sono rientrati indenni alle loro basi. Per ragioni prudenziali, il sito sciistico israeliano del Monte Hermon - dove ieri al momento del lancio del razzo iraniano si trovavano circa 5.000 escursionisti – oggi è rimasto chiuso. Nel suo comunicato il portavoce militare afferma che "sparando ieri verso Israele l'Iran ha dato la prova definitiva delle sue reali intenzioni in Siria" ed ha aggiunto che da parte sua il regime siriano resta responsabile per tutto quanto avviene nel suo territorio.

Tsahal, l'esercito dello Stato ebraico, ha dunque rivendicato apertamente la responsabilità degli attacchi contro la forza Quds delle Guardie della rivoluzione iraniana. "Abbiamo la costante politica di danneggiare l'arroccamento dell'Iran in Siria e di colpire chiunque provi a danneggiarci. Una politica che non cambia, sia se sono in Israele o in visita storica al Ciad", ribadisce Netanyahu evocando così, seppure indirettamente, l'attacco israeliano di ieri. "In Siria, dove si è ritirato l'Isis, è entrato l'Iran. E questo mina la nostra sicurezza e destabilizza il Medio Oriente", insiste il premier che fa sempre più del confronto (militare) col Grande Nemico iraniano, il centro della sua campagna elettorale in vista del voto del 9 aprile. Non c'è più riservatezza. L'attacco si fa e lo si rivendica pubblicamente: ecco spiegato perché Netanyahu abbia tenuto a sé, ad interim, il ministero della Difesa dopo le polemiche dimissioni del super falco Avigdor Lieberman. Yuval Steinitz, ministro dell'Energia e delle Risorse idriche, tra i più vicini a Netanyahu, è ancora più esplicito "Da tempo e in ogni consesso internazionale denunciamo la pericolosità del regime iraniano e la sua determinazione ad assumere una posizione di comando in Medio Oriente. Non si tratta solo del dossier nucleare. Non c'è Paese del Medio Oriente in cui Teheran non ha allungato i suoi tentacoli, direttamente, come in Siria, Iraq e Yemen, o indirettamente, come in Libano attraverso Hezbollah o a Gaza con Hamas", dice ad HuffPost che l'ha raggiunto telefonicamente nel suo ufficio a Gerusalemme. Lo scontro israelo-iraniano s'intreccia con il ritiro, sia pur diluito nel tempo, delle truppe statunitensi di stanza in Siria.

"La presenza delle truppe statunitensi nelle aree controllate dai curdi nella Siria orientale ha finora impedito a Teheran di completare quell'arco sciita che porterebbe l'influenza dell'Iran fino al Mediterraneo, passando senza soluzione di continuità attraverso l'Iraq, la Siria e il Libano – rimarca sul Jerusalem Post Herb Keimon, analista di punta del JP -. La presenza degli Stati Uniti nella Siria orientale era ciò che impediva a Teheran di trasportare armi moderne e potenti via terra, lungo quell'arco, fin nelle smaniose mani di Hezbollah in Libano. Era dunque una zona cuscinetto di importanza cruciale. Come ha detto l'ex vice capo di stato maggiore israeliano Yair Golan in una conferenza sul Mediterraneo orientale la scorsa settimana, 'abbiamo bisogno della massima presenza possibile degli Stati Uniti nella regione, soprattutto in Iraq e nella parte orientale della Siria: con la presenza americana e il sostegno americano ai curdi, possiamo in qualche modo contenere il peso dell'Iran nella regione, cosa che è estremamente importante'". Per proseguire: "La presenza americana era anche una carta che poteva essere giocata con i russi per convincerli a sospingere gli iraniani fuori dalla Siria. I russi non gradiscono la presenza americana nell'area e, di conseguenza, gli Stati Uniti potevano dire: "Usate la vostra influenza per far uscire l'Iran, e noi ce ne andremo".

Ma ora gli Stati Uniti se ne stanno andando senza che i russi – perlomeno a quanto è dato sapere – stiano facendo nulla per far uscire gli iraniani". Le conclusioni a cui giunge l'analista del Jerusalem Post aprono scenari inquietanti quanto realistici: "Israele, ha affermato Netanyahu rilasciando un commento molto contenuto all'annuncio americano, saprà come difendersi anche con le truppe Usa fuori dalla Siria e lasciato da solo ad affrontare le enormi sfide e minacce che si profilano in Siria: dalla presenza russa a quella dell'Iran. Uno dei modi a cui Israele potrebbe fare ricorso per difendersi è quello di agire contro il braccio iraniano rappresentato da Hezbollah in Libano". O puntare direttamente contro i Pasdaran in Siria. I Pasdaran iraniani sono sempre più massicciamente presenti sul Golan siriano mentre Hezbollah continua con l'opera di fortificazione dei villaggi libanesi vicini al confine con Israele. Un rapporto del Mossad parla di decine di abitazioni civili trasformate in depositi di armi e postazioni di lancio per missili.

Gli uomini di Hezbollah sono ormai talmente fidati per l'Iran che, secondo un comandante che ha parlato con BuzzFeed, circa duemila di loro sono in Iraq per fare formazione alle decine di migliaia di nuove reclute. Questo programma di addestramento e accompagnamento, scrive Daragahi, è talmente opaco da non avere un nome specifico: è però frutto di un progetto minuzioso, che segue attentamente ogni reclutato, con un mix di misticismo – sono i "Protettori dei Santi", dicono i media di Stato – e obiettivi politici per creare un nuovo ordine regionale. A chi si arruola anche una ricompensa materiale: stipendi decenti rispetto agli standard, ma regole rigorose e continua sorveglianza. Spiega un ex ufficiale israeliano al giornalista del sito americano che è una strategia tremenda, perché "non importa se tu hai F-16 o F-35″, non puoi combattere contro soldati che si fondo e confondono con la popolazione; che sono la popolazione. Nel Golan siriano le Guardie della Rivoluzione iraniana sono diventate stanziali e stanno cercando di fare di tutto per aprire un corridoio diretto che attraverso la Siria e l'Iraq permetta alle forze iraniane di trasferirsi facilmente al confine con Israele. Tutto fa pensare che l'Iran stia posizionando le sue pedine per dare scacco allo Stato ebraico. E naturalmente Israele non lo può permettere.

Di certo, Hezbollah e gli sponsor iraniani hanno deciso di sfruttare il caos siriano e di allargare il fronte e i siti di lancio alle alture del Golan tagliate dal confine tra Israele e Siria e lo hanno anche annunciato ai giornalisti locali. Scrive Ron Ben Yishai, tra i più autorevoli analisti militari israeliani, sul quotidiano Yedioth Ahronoth: "Hezbollah e gli iraniani hanno più o meno esaurito il potenziale del Libano di diventare la base delle operazioni contro il fronte nord israeliano e contro le comunità di civili. Per questo hanno bisogno di un nuovo fronte sul Golan, da cui lanciare missili sulla fascia centrale di Israele e anche incursioni di terra contro il nord e contro gli abitanti delle aree adiacenti al confine". "Israele - rimarca ancora Ben Yishai si sta già preparando all'opzione militare, acquistando armi avanzate e potenziando le proprie capacità. Israele – conclude - rafforzerà l'intelligence sull'Iran per minimizzare il rischio di una sorpresa strategica, migliorerà la difesa missilistica, così come gli attacchi aerei e navali, si preparerà per un potenziale attacco preventivo contro gli impianti nucleari iraniani e Hezbollah, che dovrà essere attaccato allo stesso tempo, perché è chiaro che avrà un ruolo proattivo nel conflitto tra Israele e Iran".

Per sostenere direttamente il regime di Assad, l'Iran, come Stato, attraverso le proprie banche, ha investito oltre 4,6 miliardi di dollari, che non includono gli armamenti scaricati quotidianamente da aerei cargo iraniani all'aeroporto di Damasco, destinanti principalmente ai Guardiani della Rivoluzione impegnati, assieme agli hezbollah, a fianco dell'esercito lealista. Non basta. Almeno 50mila pasdaran hanno combattuto in questi anni in Siria, ricevendo un salario mensile di 300 dollari. Lo Stato iraniano ha pagato loro anche armi, viaggi e sussistenza. E così è avvenuto anche per i miliziani del Partito di Dio. "Sono anni che l'Iran paga tutte le spese degli Hezbollah libanesi e ora anche dei ribelli Houthi yemeniti – afferma Shirin Ebadi, avvocata, attivista dei diritti umani, premio Nobel per la pace 2003 - Abbiamo speso molto denaro nella guerra in Siria e in Iraq, fondi che avrebbero dovuto essere convogliati al miglioramento delle condizioni di vita del mio popolo e che, invece, hanno creato ulteriore povertà nel Paese e nella regione".

Ritirarsi dalla Siria, ora che hanno contribuito alla vittoria sul campo di Bashar al-Assad, per Teheran significherebbe per i Pasdaran rinunciare a partecipare, da vincitorei alla partita che più conta: quella della ricostruzione. Una partita multimiliardaria, vitale per mantenere in piedi, dentro e fuori l'Iran, la "Pasdaran holding". "L'escalation di domenica a Damasco – annota Anshel Pfeffer, tra le firme più autorevoli di Haaretz – dimostra cosa succede quando l'inazione delle due potenze globali (Usa e Russia) – crea un vuoto in Medio Oriente". Un vuoto esplosivo.

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