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Politica

La convenzione Pd lancia la competizione tra i renziani

ANSA
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La convenzione nazionale del Pd si risolve in un confronto tra le claque dei tre candidati che si sfideranno alle primarie del 3 marzo. Rumorosissima, per quanto numericamente ridotta, quella di Roberto Giachetti; ben organizzata quella di Maurizio Martina, con il grido "unità" studiato per sottolineare alcuni passaggi del suo intervento; orgogliosa e desiderosa di riscatto quella di Nicola Zingaretti. Il clima di questa platea, insieme alle parole sul palco dei protagonisti, anticipa bene quello che succederà nelle prossime quattro settimane, che precedono i gazebo.

Zingaretti parla già da segretario in pectore, sa di essere il grande favorito e di dover pensare non solo alla sfida congressuale, ma soprattutto al dopo. Martina e Giachetti, d'altro canto, sembra stiano giocando una partita tutta loro, che vede come convitato di pietra Matteo Renzi. È uno scontro che nasconde il grande travaglio interno ai renziani, con un'ala dura che si rafforza e che trova in Giachetti l'elemento identitario unificante, forte del buon risultato nei circoli (11,13%), mentre un'area più dialogante vuole trovare il modo di continuare a vivere dentro il Pd e cerca nell'affermazione dell'afflato unitario di Martina la condizione indispensabile a questo scopo. Dietro le quinte, intanto, si ragiona già delle liste per l'Assemblea nazionale da presentare alle primarie, stando ben attenti a evitare conte identitarie che potrebbero finire male, ma anche il modo per valorizzare l'apporto di singoli dirigenti a livello locale.

Giachetti si pone in assoluta continuità con la gestione renziana. Parla di una "linea già tracciata", che bisogna solo "potenziare". Stuzzica gli ex ministri, ricordando che "ci stavate voi al governo" quando è stato fatto quello che "nelle vostre mozioni pensano che debba essere cancellato, mentre noi lo difendiamo". Prova a ridimensionare il risultato elettorale come una "sconfitta" e non la "morte definitiva", dovuta al fatto che "per cinque anni abbiamo fatto un racconto delle cose che abbiamo realizzato peggiore di quello fatto dai nostri avversari". E, ovviamente, cerca lo scontro diretto con i due che lo precedono nella conta, come deve fare chi sa di dover recuperare consensi. "Il congresso - dice - non è il momento dell'unità, altrimenti ci sarebbe stato un solo candidato. L'unità deve venire dopo, deve accadere quello che non è accaduto nei cinque anni scorsi". E propone: "Andiamo a fare dibattiti in tutta Italia e sui media. Lucia Annunziata mi ha già chiesto se sono disponibile a partecipare a un confronto. Io ho risposto di sì, mi auguro che anche gli altri lo facciano".

Martina si trova nella difficile condizione di dover combattere su due fronti, contro la rimonta di Giachetti dietro di lui e su Zingaretti che lo precede. Ma, pesando le sue parole sul palco, è il primo quello che sembra preoccuparlo maggiormente. Rivendica "quello che ho fatto" con "orgoglio", ripercorrendo i suoi atti da ministro. Spiega che "l'unità non te la inventi il giorno dopo se prima, durante il congresso, ne hai minato i presupposti". E punge chi già si sente con un piede fuori, chi pensa che "l'alternativa nasca dalle ceneri del Pd" e per questo immagina la sua fine: "L'unica alternativa è un piccolo partito". Un messaggio rivolto ai turborenziani di Giachetti ma anche a chi, tra i suoi sostenitori originari, pensa di cambiare rotta in vista delle primarie, passando intanto con il deputato romano e poi chissà...

Ci pensa Carlo Calenda, nel dibattito successivo (dominato dagli interventi dei delegati giachettiani), a invitare a uscire da questo loop: "Anche io ho litigato con Renzi, poi sono stato con Renzi, l'ho fatto anch'io questo casino. Ora però basta". E mette in chiaro: "Io qua dentro sto e qua dentro rimango. Mi prenderebbero per pazzo se uscissi dal Pd per fare un partito che poi si allea con il Pd". L'ex ministro si è innervosito per la presentazione di un documento degli europarlamentari dem sulla linea da seguire in vista delle europee, che era apparso in contrapposizione al suo. Un incidente rientrato apparentemente senza conseguenze, con i tre candidati che sottoscrivono entrambi.

Se la parola d'ordine di Martina è "unità", quella di Zingaretti è "pluralismo". "Nessuno cerca abiure - dice il Governatore del Lazio - ma dobbiamo ammettere che ci sono stati degli errori", a partire dalla difficoltà a "leggere che c'erano difficoltà diffuse" dovute "all'aumento delle disuguaglianze". E critica anche quell'"isolamento borioso" che ha caratterizzato la propaganda del Pd negli ultimi anni, che "non sposta i rapporti nella società". Ma poi chiarisce: "Basta con un partito fondato sugli antirenziani, gli antifranceschiniani, gli antiboschiani. L'Italia si aspetta che tornino i Democratici, a chi ha bisogno non interessa nulla delle nostre piccolezze".

Zingaretti afferma in premessa che l'obiettivo del congresso deve essere di "indicare la via per ritornare a vincere e rimettere il Paese sui giusti binari". E in effetti, per gran parte del suo intervento - come aveva fatto anche Martina, d'altra parte - si rivolge già all'esterno, alzando la critica al governo e provando a immaginare la posizione del Pd per "rompere la tenaglia che sta stritolando l'Italia, tra la fiducia e le aspettative affidate a questo governo e l'incapacità a soddisfare queste aspettative".

Tuttavia, non aggira le critiche che gli vengono rivolte dagli avversari, ribadendo che "non voglio favorire alcuna alleanza con i Cinquestelle", ma che dobbiamo porci il problema di riconquistare l'elettorato" che votava Pd ed è passato da quella parte. E, su un presunto spostamento a sinistra del Pd sotto la sua guida, chiarisce: "Non è antico, ma è modernissimo dire che bisogna accorciare le distanze tra chi ha troppo e chi non ha nulla".

La partita vera inizia adesso. Zingaretti nel frattempo incassa il sostegno di Francesco Boccia, il cui 4% tra gli iscritti lo spinge oltre il 51%, mentre con Martina si schiera l'unica donna candidata, Maria Saladino (0,7%). Il rischio che la campagna si avveleni rimane forte, soprattutto sul tema della discontinuità rispetto alla stagione renziana. E più che la vittoria finale, il tema sul tavolo rimane l'unità del Pd, soprattutto dopo il passaggio decisivo delle elezioni europee.

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