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Politica

Matteo Salvini sotto botta

ASSOCIATED PRESS
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Magari non è un "baratto" esplicito tra salvezza giudiziaria e Tav, però la dinamica in atto dice ci assomiglia parecchio. Ecco il Capitano, meno baldanzoso del solito, che dopo il week end degli insulti grillini, ospite di Quarta Repubblica, sdrammatizza sulla Tav: "Dovrebbe essere un vanto per l'Italia. Se i lavori partono, il primo treno passa nel 2030, ma non dipende solo da me, faccio parte di un'alleanza". Insomma, non è questione di vita o di morte. Drammatizza, invece, sul voto in Giunta che lo riguarda: "Sarebbe un precedente grave, perché vorrebbe dire che una parte della magistratura decide quello che il governo può o non può fare. Quello che ho fatto era nel programma di governo". Il che tradotto significa che sulla Tav la Lega non ha intenzione di far saltare il governo facendone una questione di vita o di morte, mentre un voto favorevole sull'autorizzazione lo metterebbe seriamente a rischio. Sul primo dossier mette in conto di cedere, sul secondo si aspetta che ceda l'alleato.

La verità è che, forse per la prima volta, il Capitano è sotto botta davvero, per la questione della Diciotti. Perché, chiacchiere a parte, è terrorizzato dall'idea di poter finire sotto processo e rischiare una condanna in primo grado per sequestro di persona. Anche in un paese strano come l'Italia sarebbe difficile, in caso di condanna, rimanere in carica, continuando a saltellare da un palco all'altro con il giubbotto della polizia addosso, affidando all'abito quella rettitudine che il giudici hanno tolto al monaco.

È questa la chiave per capire ciò che in altri tempi sarebbe sembrato inspiegabile. E cioè il suo atteggiamento quasi zen di fronte non ad una voce dal sen fuggita, ma a quella che sembra una sorta di "strategia della derisione", messa in atto dai Cinque stelle in questa fase. Perché mai si era sentito un vicepremier bollare come "supercazzole" le ipotesi di accordo sulla Tav dell'altro vicepremier. O il frontman della campagna elettorale grillina dire basta con queste "stronzate", altrimenti "torni da Berlusconi e non rompa i coglioni". Parole brusche, che in parecchi dentro la Lega hanno interpretato come un cambio di fase: "Vogliono dimostrare che, in fondo, Matteo è il cazzaro verde, come dice Travaglio, che abbaia, abbaia, ma alla fine non morde se gli fai brutto".

Mai però si era visto Salvini così calmo dopo essere stato insolentito, da avere stupito anche i suoi che, per l'ennesima volta, gli hanno ripetuto: "Guarda che così non reggiamo. Qui sta diventando un fatto di dignità". Ospite a Quarta Repubblica si limita a dire che "se qualcuno continua ad insultarmi e darmi del rompicoglioni le cose si fanno più complicate" e "non ho bisogno di una ripulitura, quella me la danno gli italiani". Il minimo sindacale, rispetto al suo repertorio, anch'esso assai colorito all'occorrenza. Chi ha parlato con lui in privato racconta che la sua linea è un classico "non cadiamo nelle provocazioni", perché "io voglio andare avanti con questo governo, semmai sono loro che non reggono". E chi gli ha chiesto una chiacchierata un po' più approfondita, si è sentito rispondere: "Ne riparliamo dopo la Sardegna". Dopo l'Abruzzo e dopo la Sardegna, due elezioni dove sente odor di vittoria, secondo l'antico schema per cui di fronte all'impasse del Palazzo il vincitore può dire "il popolo è con me, vedete voi che vogliamo fare".

Era prevedibile che le tensioni delle campagna elettorale si scaricassero sul governo, l'Abruzzo, la Sardegna, la Basilicata a marzo, poi le Europee, ma non era prevedibile che questa situazione producesse di fatto un "non governo", perché non c'è un solo dossier che non sia paralizzato, dalla Tav al Venezuela. E una sorta di crisi strisciante che rende incerto ciò che finora era certo: "Il disegno – dice un leghista di rango – era un rimpasto dopo le europee. Ora bisogna vedere se ci si arriva". E anche come ci si arriva, con una linea che assomiglia tanto a un "ora ci meniamo, poi si vede". Ma Salvini non vuole rompere, per ora, consapevole che non ci sono alternative perché una crisi è una crisi, e magari sai come si apre ma non sai come va a finire: Mattarella, la paura di un manovrone di palazzo, i parlamentari preoccupati dalla cadrega.

Però qualcosa sta accadendo, se anche il mite Buffagni, a qualche leghista che gli ha detto "così con si va avanti" ha risposto "se volete andare al voto, noi siamo pronti". E, per la prima volta, dentro i Cinque Stelle è sdoganata la parola "rottura". Perché se Salvini è sotto botta per la giustizia, sulla giustizia sono sotto botta anche i Cinque stelle, al bivio tra il perdere l'anima salvando il ministro degli Interni dai giudici o perdere il governo votando sì all'autorizzazione, una scossa oggettiva che a quel punto sarebbe più forte di tutte le buone volontà soggettive ad andare avanti. È questa la chiave, prima ancora della Tav e di tutti i dossier che, a cascata, sono paralizzati. E che rischiano di esserlo ancor di più dopo l'Abruzzo o dopo la Sardegna dove una sconfitta dei Cinque Stelle produrrebbe un irrigidimento ulteriore, perché sarebbe interpretata come il frutto di un cedimento sulle bandiere storiche del Movimento. E semmai li renderebbe ancora più intransigenti, ad esempio, sulla Tav rendendo ancora più complicata la ricerca di quel compromesso che, ad oggi, non si vede.

Dicevamo, Salvini è sotto scacco sulla giustizia, i Cinque Stelle anche, perché si trovano in una posizione lose lose. E non è affatto detto che, in settimana, il ministro dell'Interno si presenterà in Giunta a difendersi, anzi dopo aver visto le carte è al lavoro su una "memoria" scritta. Così come ancora non è chiaro come si comporteranno i Cinque Stelle, pressati dalla loro opinione pubblica dopo giorni in cui sembrava scontato il no all'autorizzazione. Accade spesso che i proclami di guerra, in realtà mascherano una debolezza e l'assenza di alternative, che a ben vedere al momento non ha Salvini ma non ha nemmeno Di Maio. Ecco, magari non è un "baratto" esplicito tra salvezza giudiziaria e Tav, però la dinamica in atto dice che sulla Tav la Lega non ha intenzione di far saltare il governo, mentre un voto favorevole sull'autorizzazione farebbe cadere giù tutto. Ognuno ha da perdere un po' di anima per tener vivo il governo, sia essa l'anima del nord operoso o l'anima legalitaria. Politicamente, come operatività, c'è la grande paralisi ma ciò che è paralizzato non è detto che cada, anzi.

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