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Esteri

L'allarme di Monaco: sulla disfatta siriana nasce la Jihad globale dell'Isis 2.0

Konstantin_Novakovic via Getty Images
Konstantin_Novakovic via Getty Images 

Altro che disfatta, distruzione definitiva, "missione compiuta". Sulle macerie di Raqqa e di Deir el-Zor, sta nascendo l'Isis 2.0. Della recente Conferenza sulla sicurezza di Monaco, i media internazionali hanno registrato e rilanciato soprattutto le trionfalistiche dichiarazioni di vittoria nella guerra al "Califfato" del vice presidente Usa Mike Pence: "Mentre sono qui davanti a voi – aveva proclamato il numero due della Casa Bianca da Monaco sul fiume Eufrate l'ultimo tratto di territorio dove una volta la bandiera nera dell'Isis sventolava è stato catturato". Concetto ribadito il giorno dopo via Twitter da Trump. Ma le considerazioni più pregnanti, in contrasto con la posizione dell'amministrazione Usa, sono venute, in quella sede, da persone che il terrorismo jihadista conoscono bene, perché lo combattono h.24. Tra queste persone c'è Alex Younger, il capo del servizio segreto di intelligence britannico MI6. "La sconfitta militare del 'califfato' non rappresenta la fine della minaccia terroristica, ma la vediamo diffondersi all'interno della Siria ma anche esternamente... Questa è la forma tradizionale di un'organizzazione terroristica".

Parlando allo stesso evento, la ministra della Difesa tedesca Ursula von der Leyen ha sostenuto che lo Stato islamico stava andando in profondità e costruendo reti con altri gruppi terroristici. Ancora: il generale Joseph Votel, capo delComandocentrale delle forze armate statunitensi,ha avvertito che, sebbene la rete Isis sia dispersa, la pressione deve essere mantenuta altrimenti i suoi componenti avranno "la possibilità di tornare insieme se non lo facciamo". Le stime sul numero di combattenti dell'Isis dispersi nell'arena Siria-Iraq vanno da 20.000 a 30.000, molti dei quali non saranno disposti a tornare nei loro paesi d'origine per paura di essere perseguiti. Ci sono anche piccole concentrazioni di militanti fanatici legati all'Isis in Libia, Egitto, Africa occidentale, Afghanistan e Filippine meridionali. Già in Iraq ci sono prove che i militanti dell'Isis portano avanti attacchi sempre più audaci nelle province settentrionali. E nel tessere nuovi legami, gli uomini del "califfato" si fanno forti della paura delle popolazioni sunnite di Iraq e Siria di essere di nuovo vittime della vendetta sciita. L'Iraq – rimarca un recente report della Bbc - ha disperatamente bisogno di un processo di riconciliazione nazionale e di un governo inclusivo per evitare un Isis 2.0 rigenerato.

In Siria - sottolinea ancora la Bbc - il fattore che ha scatenato la catastrofica guerra civile di quel paese si trova ora vittorioso nel suo palazzo a Damasco.Il presidente Bashar al-Assad, salvato dalla sconfitta dai suoi alleati russi e iraniani, appare più sicuro che mai.La maggior parte dei siriani ora è troppo esausta per opporsi a lui. Ma le atrocità commesse dal suo regime, su scala industriale, continueranno a spingere alcuni verso la resistenza armata, e l'Isis cercherà di ritornare nello spazio di battaglia siriano.Più lontano e globalmente, ovunque ci sia una percezione del malgoverno, della privazione dei diritti civili, della persecuzione religiosa contro i musulmani o di grandi corpi di giovani alienati che sentono la mancanza della loro vita, ci saranno sempre opportunità per i reclutatori di "culto" di Isis, sottolinea il report dell'emittente televisiva britannica. Per concludere che il califfato di Abu Bakr al-Baghdadi è finito - sono in corso negoziati in Siria tra forze curdo-siriane e Isis per la resa delle ultime centinaia di miliziani jihadisti asserragliati tra l'Eufrate e il confine iracheno. Lo riferiscono fonti sul terreno in contatto con le forze curde che guidano l'offensiva finale contro quello che è stato descritto come l'ultimo bastione dello 'Stato islamico' nell'area di Baghuz - ma la sua ideologia, pericolosamente contagiosa, non lo è.

Un discorso che riguarda direttamente l'Europa. Come trasformare una sconfitta territoriale in una minaccia che porta al cuore dell'Europa. Lupi solitari più foreign fighters di ritorno. Una miscela esplosiva per l'Isis 2.0. La storia sembra ripetersi, ieri per al Qaeda, oggi per Daesh. In origine, l'organizzazione terroristica di Osama bin Laden aveva fatto dell'Afghanistan in mano ai compiacenti Talebani il proprio feudo territoriale: lì i qaedisti avevano i loro campi di addestramento, lì avevano trovato rifugio e protezione i vertici dell'organizzazione terroristica. Fino alla sconfitta militare venuta al seguito della reazione americana all'11 Settembre. Ma proprio sulle macerie afghane, al Qaeda ridefinì se stessa, trasformandosi da organizzazione centralizzata in un sistema a rete. Una piovra dai mille tentacoli, e per questo più insidiosa, difficile da contrastare.

La storia si ripete oggi con il Daesh. Le milizie al servizio di Abu Bakr al-Baghdadi sono ormai in rotta in Siraq. Tuttavia, i comandi militari del Daesh hanno rivisto i propri piani, cambiando strategia e puntando ad una Jihad globale che abbia l'Occidente, e in esso in particolare l'Europa come teatro di battaglia. Ecco allora l'attivazione di cellule "dormienti", l'indicazione ai "mujahiddin" con passaporto europeo di rientrare a casa per seminare morte e terrore nel Vecchio continente. Martin Chulov, giornalista del Guardian esperto di terrorismo jihadista, aveva rivelato che prima degli attentati di Parigi i leader dello Stato islamico si erano riuniti vicino a Raqqa, allora "capitale" del Califfato in Siria, e in quell'occasione avevano deciso di mettere in piedi una nuova strategia che prevede grandi attentati nelle capitali europee. Non si tratta solo di "lupi solitari" reclutati attraverso i social, indottrinati e preparati all'azione sulle "moschee" e campi di addestramento "mediatici" (sono oltre 1700 i siti che fanno riferimento alla galassia dell'Islam radicale). L'Isis ha cellule terroristiche clandestine in Gran Bretagna e Germania, analoghe ai gruppi che hanno condotto gli attentati di Parigi e Bruxelles.

A lanciare l'allarme, è stato il direttore della National Intelligence americana, James R. Clapper. Alla domanda se l'Isis sia impegnato in attività clandestine in quei Paesi, Clapper ha risposto affermativamente, sottolineando come questo sia oggetto di preoccupazione "per noi e per i nostri alleati europei". Stando ad un rapporto di Europol, intitolato 'Cambiamenti nel Modus Operandi dell'Isis rivisitato', "squadre assemblate in Siria" sarebbero state inviate in Europa via Ucraina e Paesi Baltici, dove avrebbero già acquistato armi sul mercato nero. Ma anche la Libia è considerata uno dei trampolini di lancio, forse per compiere azioni parallele in Nord Africa. Squadre composte da "diverse decine di persone e dirette dall'Isis" potrebbero già essere presenti in Europa per commettere attacchi terroristici". Sul piano operativo e della catena di comando, la divisione che si occupa degli attentati all'estero è una branca distinta all'interno dell'organigramma dello Stato islamico: recluta, addestra, fornisce i soldi e organizza la consegna delle armi ai combattenti del gruppo che sono pronti a compiere degli attentati.

La divisione non si occupa solo degli attentati in ma anche in altri Paesi dove ci sono località turistiche frequentate dagli occidentali, per esempio la Turchia, l'Egitto e la Tunisia. Tentacoli che si estendono a buona parte dell'Africa. Al Shabaab, Boko Haram, Aqmi. Le innumerevoli stragi in Nigeria, il sanguinoso attacco al ristorante turco a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso. Nero Islam. Nero come le bandiere delle milizie jihadste che sventolano sulle città conquistate. Nero come il petrolio che arricchisce le casse della nebulosa jihadista. Nero, come il Continente su cui i "combattenti di Allah" stanno estendendo il loro controllo: dalla zona di frontiera tra Libia e Tunisia, alla Nigeria, dalla Somalia al Mali, dal Chad al Sudan, dal Kenya alla Repubblica Centroafricana, dal Maghreb al Sahel all'immensa area sub sahariana.Le forze in campo sono possenti, bene addestrate, meglio ancora armate, ferocemente indottrinate: Boko Haram, al-Shabaab, al Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi), Ansar Al Sharia, Isis. In Somalia, il terrore si chiama al-Shabaab (letteralmente: la Gioventù). E' un gruppo insurrezionale islamista che si è sviluppato in seguito alla sconfitta dell'Unione delle Corti Islamiche da parte del Governo Federale di Transizione (GFT) e dei suoi principali sostenitori, i militari dell'Etiopia durante la guerra in Somalia.. Il gruppo opera con attentati e rapimenti anche in altri Paesi, come, per l'appunto, il Kenya e l'Uganda.

Larga parte dei suoi finanziamenti provengono dai pirati somali. Nonostante le forti perdite, umane, territoriali ed economiche, al-Shabaab è ben lungi dall'essere neutralizzato. I comandanti hanno avuto l'abilità di ripensare la loro strategia, tornando ad essere una forza asimmetrica. I miliziani hanno infatti abbandonato l'utilizzo di brigate numericamente consistenti (circa 200 unità ciascuna) e si sono riorganizzati in piccole squadre (10-15 componenti ciascuna) facenti capo a un comandante con vasta esperienza di guerriglia. Nelle fila di al-Shabaab militano anche miliziani stranieri, provenienti soprattutto da Yemen, Sudan, Costa Swahili, Afghanistan, Arabia Saudita, Pakistan e Bangladesh. Stando agli analisti, l'obiettivo di arruolare militanti esteri si rintraccerebbe in un bisogno di estendere la propria propaganda integralista su scala internazionale: si spiega così anche il lancio dell'emittente televisiva "Al Kataib" e la realizzazione di un profilo Twitter nel 2011. Quanto ai nigeriani di Boko Haram, la loro espansione minaccia anche il Chad, il Niger e, soprattutto, il vicino governo del Camerun, dove la setta è presente nel Nord e dove da tempo sono in corso scontri con l'esercito. Oggi i miliziani di Boko Haram governano su un'enclave di circa 30 mila chilometri quadrati, equivalente più o meno al Belgio, che comprende territori degli Stati settentrionali di Adamawa, Yobe e Borno. Dietro a Boko Haram c'è anche la voglia di mettere le mani sul petrolio. Perché la Nigeria è il primo produttore di greggio al mondo, che fornisce il 20% del Pil, il 95% delle esportazioni e il 65% delle entrate governative. Una ricchezza naturale immensa che ha trasformato il paese nella prima economia africana. Oggi il Califfato di Abubakar Shekau, il leader di Boko Haram, si estende dai monti Mandara, al confine col Camerun, fino al Lago Ciad, a Nord, e al fiume Yedseram, a Ovest., un'area dove vivono oltre 2milioni di persone. Il mondo come campo di battaglia di una Jihad globale. Cantare vittoria come fa The Donald non è solo pericoloso. E' fuori dalla realtà dell'Isis 2.0.

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