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Esteri

Medio Oriente, Trump invia il consigliere-genero alla conquista del Golfo e dei petrodollari per il "Deal of The Century"

The Washington Post via Getty Images
The Washington Post via Getty Images 

In missione nel Golfo. Per conquistare le petromonarchie del Golfo al "Deal of the Century" e per dare una mano al suo amico Mohammed bin Salman, l'erede al trono del Regno Saud, inguaiato dal caso-Khashoggi. In viaggio per conto del presidente Trump, del quale Jared Kushner, oltre che essere consigliere per il Medio Oriente è anche genero. Arabia Saudita, Oman, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Qatar. Ad affiancare il trentottenne genero presidenziale, vi sono altre due figure di primo piano nella politica mediorientale di The Donald: l'inviato Usa per il Medio Oriente Jason Grenblatt e quello per l'Iran, Brian Hook. Un tour di una settimana (che si concluderà in Turchia) che ha al centro due ambizioni. Obiettivi: rafforzare, in chiave anti iraniana, l'alleanza tra gli Stati Uniti e i Paesi del Golfo arabico e far avanzare il piano del secolo messo a punto da Trump e dai suoi consiglieri per la pace tra Israele e Palestinesi.

Il viaggio, si concentrerà sul lato economico della proposta di pace, su aiuti e investimenti, non sulla componente politica. Il "Deal of Century", confermano ad HuffPost fonti bene informate a Gerusalemme, sarà presentato ufficialmente dopo lo svolgimento delle elezioni legislative in Israele, in programma il prossimo 9 aprile. Un punto nodale del "piano Trump" è coinvolgere i Paesi arabi che, nel quadro regionale, hanno interessi strategici convergenti con Israele. Una fonte governativa israeliana li elenca ad HuffPost: Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Giordania. Paesi del fronte sunnita che, con Israele, condividono la necessità di arginare la penetrazione iraniana in Medio Oriente, contrastando l'affermarsi della mezzaluna rossa sciita sulla direttrice Baghdad, Damasco, Beirut e Gaza. A questo è particolarmente interessato l'erede al trono saudita, il giovane e ambizioso – nonostante l'affaire Khashoggi - principe ereditario Mohammad bin Salman Al-Sa'ud, fautore dell'avvicinamento, in funzione anti-iraniana, di Riyad a Tel Aviv: per il futuro sovrano, e attuale Primo vice primo ministro e ministro della Difesa saudita, togliere ai suoi nemici regionali la "carta palestinese" sarebbe un risultato rilevante, da far pesare nella definizione dei nuovi equilibri regionali. Un approccio condiviso dalle petromonarchie del Golfo- dagli Emirati Arabi Uniti al Qatar – che hanno una potente arma di convinzione di massa: i miliardi da investire sulla ricostruzione di Gaza e il sostegno all'economia palestinese ormai sull'orlo del collasso. Il "piano del secolo" si discosta dai tanti che lo hanno preceduto perché, spiega al quotidiano israeliano Haaretz una fonte americana, non si limita a riproporre formule vecchie che avrebbero dovuto risolvere le "questioni fondamentali" del conflitto, come i confini, la sicurezza, Gerusalemme.

Enunciazioni di principio che, nella visione dello staff mediorientale di The Donald, non hanno mai fatto veramente i conti con la realtà, e per questo sono sistematicamente falliti. Il team di pace di Trump vuole che il piano affronti tali questioni, ma anche di offrire una vasta gamma di idee pragmatiche che, secondo le parole del funzionario di alto livello, "miglioreranno la vita di entrambe le parti". Gran parte del piano si concentrerà sul rafforzamento dell'economia palestinese e dei suoi legami con Israele. "Vorremmo che il piano parlasse da solo – confida la fonte dell'amministrazione Usa ad Haaretz - la gente capirà che dopo l'accordo staranno tutti meglio che senza: crediamo che le persone coinvolte siano interessate al loro futuro e al futuro dei loro figli. Questo piano darà molte più opportunità a tutti in futuro rispetto alla situazione che hanno ora".

Il cuore di questo piano, rivelano le fonti, sarà in Cisgiordania e a Gaza. Washington ha provato lo scorso anno a promuovere una serie di iniziative minori che potrebbero creare uno slancio positivo per il processo di pace e mostrare segni di progresso sul terreno. Alcune di queste iniziative sono riuscite - ad esempio, un accordo idrico congiunto israelo-palestinese firmato l'estate scorsa - ma altri sono falliti a causa di ostacoli politici a Gerusalemme e Ramallah. Ad esempio, il ministero della Difesa israeliano aveva proposto un piano l'anno scorso, fortemente sostenuto dai vertici militari, per ingrandire la città palestinese di Qalqilya, situata nella West Bank, a ridosso di Gerusalemme. Il piano di Qalqilya avrebbe permesso alla municipalità palestinese di costruire nuove case per migliaia di residenti. Il piano è stato respinto dal governo israeliano a causa delle pressioni esercitate dal partito di destra Habayit Hayehudi e da alcuni membri della Knesset del Likud. Ma la Casa Bianca quel progetto non lo ha accantonato e, al contrario, lo ha inserito nel "piano del secolo". E, come risulta ad HuffPost, Qalqilya potrebbe diventare la capitale di uno Stato palestinese: l'alternativa potrebbe essere Abu Dis, città-sobborgo di Gerusalemme Est.

"Israele e la dirigenza palestinese dovranno scendere a compromessi nel piano in arrivo", ha avvertito lo stesso Kushner intervenendo ad una sessione della Conferenza di Varsavia. Un messaggio che solo in apparenza sembra riguardare soprattutto la leadership palestinese, che ha disertato Varsavia perché, ha motivato il segretario generale dell'Olp e capo negoziatore palestinese Saeb Erekat, la conferenza "è un tentativo di eludere l'iniziativa di pace araba e distruggere il progetto nazionale palestinese". Una reazione che l'amministrazione Usa aveva messo in conto. Ma il riferimento di Kushner ai compromessi previsti dal "Deal of the Century" investe Israele e l'amico Netanyahu. Perché, sia pure in scala territorialmente ridotta, il "Piano del secolo" prevede la nascita di uno Stato palestinese. Rinviare al dopo 9 aprile la presentazione del Piano – convergono analisti politici a Gerusalemme – significa, nell'ottica americana, non mettere in difficoltà Netanyahu rispetto alla destra più oltranzista, che della nascita di uno Stato palestinese, anche se in formato mignon, non ne vuole sentir parlare, neanche dall'amico della Casa Bianca. La riprova è venuta oggi: il presidente Usa e il premier israeliano inizieranno a lavorare per la creazione di uno Stato palestinese subito dopo le elezioni del 9 aprile: a sostenerlo è il ministro dell'Istruzione Naftali Bennett all'inizio della riunione domenicale del governo. Bennett, co-presidente del nuovo partito di Hayamin Hehadash (destra radicale) ha detto che Trump e Netanyahu hanno accettato di presentare un piano "per stabilire uno Stato palestinese sul 90% dell'area, inclusa la divisione di Gerusalemme" e questo un giorno o due dopo le elezioni proprio "per non rendere le cose difficili per Netanyahu". The Donald prova a sostenere l'amico "Bibi", impegnato nella campagna elettorale più difficile della sua vita (politica). Una scelta che segna una svolta storica, identitaria, morale nella destra israeliana. Una scelta che non può essere letta solo in chiave elettorale: sdoganare il peggio pur di conquistare il primato.

Per capire dove va Israele, può aiutare, e inquietare, la notizia del tentativo messo in atto da Netanyahu di costruire un cartello elettorale di ultradestra, con cui dar vita ad un nuovo esecutivo, che tenga assieme il Partito nazionalista religioso ebraico e tutti gli altri partiti di estrema destra, incluso il "kahanista" Otzma L'Yisrael. Un'inclusione che riscrive la storia d'Israele, trasformando un movimento dichiaratamente razzista, violento, in un potenziale partner di governo. Così Anshel Pfeffer, in un illuminante articolo su Haaretz: "Nel novembre del 1990, quando l'estremista di destra Meir Kahane fu assassinato a New York, la nostra yeshiva proibì ai suoi studenti di andare al funerale a Gerusalemme. Questa non era una piccola cosa. Comunicava agli studenti di yeshiva che non potevano andare al funerale di un ebreo che era stato assassinato come ebreo. Dopo ventott'anni nessun rabbino o politico anziano ha contestato la proposta indecente di Netanyahu. Non una sbirciatina su quanto sia impensabile l'idea di unirsi a un partito apertamente razzista, anche se ciò metterebbe a repentaglio la presa del potere della destra". E spiega poi: "Negli anni Ottanta Kahane, che conduceva regolarmente i suoi rally al canto di 'death to Arabs', era un membro eletto della Knesset (il Parlamento israeliano, ndr). E quando fu bandito per motivi di razzismo nel 1988, fu sostituito nella Knesset dai membri della Moledet, la cui politica ufficiale era la pulizia etnica della Cisgiordania. Quindi no, non penso che Israele sia necessariamente più razzista oggi di quanto lo fosse allora (e non ricorderò nemmeno, quando sotto i governi Mapai, gli arabi israeliani vivevano sotto la legge marziale). Ciò che è innegabilmente cambiato e in peggio, come la richiesta di Netanyahu di portare i Kahanisti nella legittima area politica, mostra perfettamente che siamo diventati molto più tolleranti nei confronti del razzismo. Trattare Otzma L'Yisrael e il suo gruppo come legittimi significa che il razzismo è un'opzione. E quando è un'opzione, anche se affermiamo di non sceglierla, il razzismo permea tutto".

Uno "sdoganamento" che ha fatto insorgere anche gli ebrei americani. E per la prima volta nella loro storia alcune fra le associazioni ebraiche americane hanno deciso di intervenire contro gli eredi del rabbino Kahane: "L'American Jewish Committee normalmente non commenta i fatti interni alla vita politica di Israele. Ma la creazione di questo gruppo 'Potere ebraico' creato dai seguaci del rabbino Meir Kahane ci impone di parlare", afferma l'associazione in un comunicato. "I principi di questo gruppo non riflettono i valori fondanti dello Stato di Israele. E questo partito potrebbe ottenere i voti necessari ad entrare alla Knesset ed eventualmente partecipare al governo". La presa di posizione dell'Ajc è stata poi seguita da un tweet dell'AIPAC, che raggruppa molte altre associazioni. "Noi siamo d'accordo con l'Ajc, l'AIPAC da sempre ha una politica di non aver nessun contatto con questo partito razzista e riprovevole". Prese di posizioni importanti, perché vengono da associazioni tradizionalmente conservatrici e vicine alla destra israeliana. Posizioni che Kushner, il più tenace assertore del trasferimento dell'ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, dovrà tenere in seria considerazione, non solo per i suoi legami personali con l'ebraismo americano, ma perché non raccogliere quella protesta indebolirebbe il suo "Deal of the Century".

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