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Politica

Elezioni Sardegna, la Caporetto dà forza ai dissidenti M5s

Getty Editorial
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La Caporetto deve portare alla riscossa di un Piave. Il day after del disastro in Sardegna è complicato per il Movimento 5 stelle. Ma paradossalmente mette benzina nel motore riformatore di Luigi Di Maio. "Tra martedì e mercoledì ci saranno importanti novità" nella riorganizzazione della creatura che fu di Beppe Grillo, annuncia facendo capolino da Palazzo Chigi nel sole dell'ora di pranzo.

Dietro le quinte si consuma l'ennesimo grano di un rosario di tensioni post sconfitte. Il dito di molti è puntato su Emanuela Corda. L'influentissima deputata dell'isola è accusata dagli avversari interni di essere l'artefice del disastro. "È lei che ha imposto come candidato una figura totalmente inadeguata a fare il frontman come Francesco Desogus", punta il dito un collega parlamentare. Una forzatura dopo il passo indietro di Mario Puddu, vincitore delle regionarie e costretto al passo indietro dopo aver ricevuto un avviso di garanzia. Con i vertici che hanno silenziosamente benedetto l'operazione per non attirarsi accuse di verticismo ma soprattutto perché manca un'adeguata cinghia di trasmissione che identifichi chi decide cosa con tanto di oneri e onori. E alcuni settori di attivisti che hanno tirato il freno in campagna elettorale. Il capo politico ha sbottato con i suoi: "Basta infilarci in queste situazioni in cui già si sa come va a finire". E ha deciso di accelerare sulla riorganizzazione della macchina.

Mettendo intanto in piedi alla meno peggio una strategia di contenimento del danno, quando però ormai i buoi erano fuggiti dalla stalla. Nella notte tra domenica e lunedì la comunicazione 5 stelle ha abbandonato il canovaccio del "non commentiamo gli exit poll" e ha diramato una prima nota alle 22.30: "Risultiamo prima forza politica, siamo molto soddisfatti del fatto che entreremo nel consiglio regionale per la prima volta". In pochi hanno abboccato, così ecco che meno di un'ora dopo, quando i siti e le agenzie parlavano di "crollo", una seconda pezza a cercare di salvare il salvabile: "I giornali titolano in modo scorretto flop M5s. Certo uno vuole sempre fare di più. Ma i numeri parlano chiaro, e in tutte le ultime elezioni il Movimento è sempre cresciuto rispetto alle stesse precedenti consultazioni".

La mattina dopo il capo politico è stato netto: paragonare il voto delle politiche con quello delle amministrative sarebbe come sommare "pere a mele". Desogus, intervistato da Huffpost, la spiega con una certa lucidità: "Eravamo convinti di perdere sin dall'inizio, sapevamo che era una partita difficile, quindi metterci la faccia e mettersi a competere con Salvini non era utile. Sarebbe sembrata una gara a due e Di Maio sarebbe andato a perdere". Spiegando di fatto il fuggi fuggi degli ultimi giorni dalla Sardegna: il leader è arrivato solo venerdì, per un evento in un hotel. Alessandro Di Battista non è nemmeno pervenuto. Alle 17 del pomeriggio Desogus ammette candidamente che il vicepremier ancora non si è fatto sentire.

È evidente che, al di là del carillon caricato sul solito motivetto della differenza tra amministrative e elezioni nazionali e il ritornello su pochi versus tanti candidati, un risultato di lista che stenta ad arrivare in doppia cifra preoccupa, e non poco. E restituisce fiato alle trombe dell'ala più ortodossa, che continua a guardare a Roberto Fico. "La leadership di Di Maio certamente va rimessa in discussione", va giù dura la senatrice Paola Nugnes, a cui risponde con altrettanta ruvidezza Sergio Battelli, presidente della commissione Affari europei della Camera: "No a picconatori, candidati tu a guidare il Movimento". Dopo il caso Diciotti, insomma, la benzina di risultati elettorali sotto le aspettative (comunque non di vittoria) continua a alimentare l'incendio dello scontro interno. Anche perché alle viste ci sono Basilicata e Piemonte. "Il Movimento è vivo e vegeto", ha rincuorato tutti Di Maio. I prossimi due indizi daranno, forse, una prova.

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