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Esteri

Algeria, la piazza sfida il regime nell'anniversario della fine della guerra d'indipendenza

Anadolu Agency via Getty Images
Anadolu Agency via Getty Images 

La "Primavera algerina" celebra l'anniversario, il 57°, della fine della guerra d'indipendenza contro la potenza coloniale francese. E lo fa rilanciando la sua "guerra", disarmata e per questo più efficace e coinvolgente: quella del cambiamento. I medici non soccorrono il regime. La "primavera algerina" allarga la sua presa ad altri settori della società. E così oggi a manifestare, nel centro della capitale, non sono stati solo gli studenti, i principali protagonisti della protesta popolare, ma anche i medici, sia pure in un'altra piazza. Marciano separati ma con lo stesso obiettivo: chiedere al presidente Bouteflika di dimettersi alla scadenza del suo quarto mandato, senza alcuna proroga. "19 marzo 1962: fine della guerra d'Algeria, 19 marzo 2019: inizio del cambiamento del sistema", c'è scritto in uno striscione degli studenti, con riferimento all'entrata in vigore 57 anni fa, il giorno dopo la firma del Trattato di pace di Evian, del cessate-il-fuoco che pose fine alla guerra di indipendenza del Paese (1954-1962) contro il potere coloniale francese. Altre manifestazioni di studenti e operatori sanitari sono state segnalate in altre città del Paese dai media e dai social network algerini. Quelle degli studenti sono manifestazioni pacifiche, colorate, e una delle "armi" più efficaci utilizzate, nei manifesti come negli slogan, è quella dell'ironia. Una ironia corrosiva nei confronti del regime e dell'anziano e malato presidente che non vuole farsi da parte: "Fai come i dinosauri, sparisci!", cantano gli studenti, o "i geologi vogliono la massiccia estinzione del governo", proclamano con umorismo i cartelli portati dagli studenti in geologia.

Le piazze non si svuotano e, cosa non meno significativa, l'opposizione comincia a trovare una sua unità politico-organizzativa. Il nuovo ciclo di manifestazioni è iniziato quando un gruppo di politici algerini e personalità dell'opposizione hanno reso pubblico l'appello rivolto ai militari, perno degli equilibri di potere in Algeria, perché essi svolgano "il proprio ruolo costituzionale senza interferire con le scelte del popolo". "C'è un urgente bisogno di apportare cambiamenti radicali al sistema con una nuova classe dirigente", ha affermato il gruppo che ha dato vita al Coordinamento nazionale per il cambiamento, un organismo che annovera tra le sue figure di maggior spicco l'avvocato e attivista per i diritti umani Mustapha Bouchachi, il leader dell'opposizione Karim Tabbou e l'ex ministro del tesoro Ali Benouari, nonché due noti islamisti, Mourad Dhina e Kamel Guemaz. Ex segretario del Front des Forces Socialistes (FSS) ed oggi portavoce de l'Union démocratique et Sociale (UDS), Tabbou è considerato il nuovo fenomeno del movimento di protesta popolare in Algeria: "Dobbiamo soprattutto parlarci ". Tabbou è ben consapevole di quanto sia cruciale il ruolo delle Forze Armate in questo passaggio cruciale nella storia dell'Algeria. Per questo si rivolge direttamente al capo di stato maggiore Gaid Salah, che deve posizionarsi chiaramente e "schierarsi con gli algerini". "Se continua a proteggere il clan, deve assumersi le sue responsabilità nei confronti della gente e della storia", ribadisce Tabbou ad HuffPost.

Altre figure chiave del regime, oltre a Salah, sono Athmane Tarthag, capo dei servizi di sicurezza DSS (Dipartimento di Sorveglianza e Sicurezza) e uomo vicino a Said Bouteflika, fratello minore del presidente. Infine, il generale Mohammed Mediène che per 25 anni è stato il capo del servizio di informazione nazionale algerino, organo fondato negli anni '50 durante la lotta per l'indipendenza dalla Francia. Il fronte dell'opposizione si compatta: i rappresentanti di 13 sindacati algerini hanno respinto ieri l'invito del nuovo primo ministro Noureddine Bedoui a partecipare agli incontri per la formazione di un nuovo governo. Nelle intenzioni del partito di governo, il Fronte di liberazione nazionale (Fnl), le discussioni iniziate ieri hanno come obiettivo quello di formare un "governo di tecnici" che sia in grado di approvare una nuova costituzione e di stabilire una data per le elezioni. Secondo i 13 sindacati attivi nel campo dell'educazione e salute, gli incontri sono "in contraddizione con la nostra posizione e quella del popolo algerino". "Crediamo – si legge in una dichiarazione dell'Unione nazionale dei professionisti sanitari (Snpsp) – che le condizioni necessarie per il successo di questo dialogo non siano state raggiunte". Il no dei sindacati all'iniziativa del premier giunge dopo l'ennesima manifestazione di protesta di venerdì ad Algeri a cui hanno partecipato centinaia di migliaia di persone che hanno chiesto le dimissioni di Bouteflika. Lo scorso lunedì il presidente aveva annunciato di non volersi più candidare alle presidenziali del 18 aprile. Un annuncio che il regime pensava potesse bastare per placare la rabbia della piazza. Quanto di più lontano dalla realtà: i manifestanti, molto diversi tra di loro politicamente, continuano a denunciare la presenza di Bouteflika alla guida del Paese (seppur formale perché è ormai incapace di governare a causa dell'ictus che lo ha colpito nel 2013). Non solo: i dissidenti guardano con preoccupazione al fatto che le elezioni sono state rimandate a data da destinarsi. Il presidente ieri si è provato a difendere dalle critiche della piazza.

In una lettera letta sulla televisione Ennahar, il presidente algerino ha ribadito che si dimetterà solo quando sarà convocata una conferenza nazionale che approverà una nuova carta costituzionale. Sarà questo forum, ha sottolineato, che "prenderà le decisioni finali". Le sue dichiarazioni giungevano alcune ore dopo quelle del capo di stato maggiore nonché vice ministro della Difesa Ahmed Gaid Salah secondo cui l'esercito giocherà un ruolo importante in questa fase e contribuirà a trovare una soluzione all'attuale impasse politica. "L'esercito resterà una fortezza per il Paese" ha detto Salah alla tv statale. "Dovremmo essere responsabili nel trovare soluzioni quanto prima. Non c'è un problema senza una soluzione". Ciò che colpisce gli osservatori e gli analisti indipendenti è la consapevolezza della posta in gioco che anima la protesta popolare: "Questa nuova consapevolezza del popolo algerino -rimarca Malik Wanous, in un articolo su Al-Arabi al-Jadid , tradotto per ArabPress da Cristina Tardolini- è la condizione necessaria per raggiungere la libertà e la giustizia desiderate per le masse. Corruzione, repressione e limitazione della libertà di espressione sono solo alcuni dei crimini commessi verso il paese negli ultimi anni. Le masse di manifestanti hanno rotto il muro della paura e del silenzio dicendo no a questa ennesima nomina, riflesso della rabbia che prevale. L'emergere delle dimostrazioni pacifiche con un numero così grande di partecipanti, accresce la capacità delle masse di continuare a fare la differenza, a ricordo delle Primavere Arabe del 2011. Il popolo si aspettava che i leader del regime volessero riassegnare a Bouteflika la carica di presidente: ma la gioventù algerina, che è stata la colonna portante delle proteste iniziate il 22 febbraio, ha aperto gli occhi e ha trovato la disoccupazione ad attenderla, in un'economia ormai sull'orlo del collasso e della corruzione che sta paralizzando il paese. I giovani sono emarginati e privati della speranza di una vita dignitosa nel loro paese, sebbene ricco di risorse. Le ondate di immigrazione di massa verso l'Europa attraverso i barconi della morte sono un modo per ottenere una possibilità di vivere lontano dalla miseria, dopo essere stati sopraffatti dalla disperazione cronica e dalla frustrazione. Ondate migratorie che non sono più limitate ai giovani, ma a tutte le fasce d'età. Tuttavia, il vero nemico è la cricca di potere che governa in nome di Bouteflika, e di cui il presidente stesso ne è il paravento: le proteste confermano che esse stesse non sono dirette al presidente di per sé, ma verso un sistema di potere che gestisce il paese secondo il principio delle quote. L'Algeria avrà ciò che davvero merita solo se i leader del regime risponderanno ai manifestanti e soddisferanno le loro richieste di cambiamento, chiunque sia il prossimo presidente. Rimanere fermi sulle proprie posizioni e rispondere alle dimostrazioni con le armi, può indirizzare il Paese solo verso un futuro incerto...". Un futuro che interessa anche l'Italia. Si spiega così l'incontro di ieri a Palazzo Chigi tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il vice primo ministro e ministro degli Esteri algerino Ramtane Lamamra.

Lamamra – riporta Palazzo Chigi – ha informato dell'apertura della delicata fase di transizione istituzionale in Algeria e dell'impegno del Presidente Bouteflika, dopo aver rinunciato al quinto mandato, a convocare rapidamente una conferenza nazionale al fine di concordare le riforme necessarie. Conte, dal canto suo, ha ricordato "l'antica amicizia" e il "forte partenariato bilaterale", esprimendo apprezzamento per il "modo pacifico" in cui si stanno svolgendo le manifestazioni in piazza. Il Presidente del Consiglio ha esortato ad ascoltare le istanze di cambiamento che provengono dalla società civile e auspicato che l'Algeria possa assicurare un processo 'democratico e inclusivo' nel rispetto e nell'interesse del suo popolo. Il Premier, infine, ha sottolineato la vicinanza dell'Italia per questa importante sfida per lo sviluppo sostenibile del Paese algerino e per la stabilità della regione mediterranea e della stessa Europa. Cosa sia, nei fatti, questo "sviluppo sostenibile", visto da Roma, non è che sia chiaro, così come non basta tirare fuori due parole, "democratico" e "inclusivo", già usate per la Libia, per convincere i protagonisti della "Primavera algerina" di poter contare sul sostegno dell'Italia. Insomma, stiamo a guardare, con un occhio rivolto agli affari – energetici anzitutto – e l'altro al rischio che un deflagrare della situazione in Algeria possa portare ad una fuga di massa, sulla rotta del Mediterraneo, di migliaia di algerini verso l'Italia.

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