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Politica

Sorpasso a sinistra

NurPhoto via Getty Images
NurPhoto via Getty Images 

L'operazione la vuole fare, sia pur in modo "morbido" e "graduale" perché per un pezzo del suo partito rappresenta l'abbraccio col diavolo. E, per qualcuno, la "scusa" per ripetere il solito ritornello che "stanno tornando i Ds" e alimentare i mai sopiti impulsi alla "rottura". Però Nicola Zingaretti ha messo in agenda per domani, o al massimo dopo-domani, l'incontro con Roberto Speranza per un primo confronto su una lista alle Europee che vada, per intenderci "da Calenda a tutti quelli che si riconoscono nel partito socialista europeo". E, nel Pse, siedono anche quelli di Articolo 1 oltre ai socialisti di Nencini.

È una lista sostanzialmente del Pd, col suo simbolo, ma "aperta" agli altri che dia il senso di un fronte democratico e progressista. Aperto al centro e a sinistra. Comunque la rottura di un tabù, perché si tratta del primo serio incontro post-scissione. E del primo passaggio politico vero del nuovo segretario, su cui si misurano la sua forza e i suoi margini di movimento rispetto alla minaccia di strappi che pur arrivano dal mondo renziano. Al netto delle parole, la sostanza del ragionamento è quella su cui c'è già stato un confronto con Timmermans, il candidato dei socialista alla guida della commissione europea. Detta in modo un po' brutale, ma efficace, al Nazareno la mettono così: "Non si capisce perché, in questo clima in cui è annunciata una valanga sovranista in Italia e in Europa, dovremmo rinunciare a operazioni che allargano. E rinunciare anche ai voti di Mdp, anche fosse il due per cento. Perché? Dove è la logica?".

Ecco: voti. Utili. Perché il tema delle Europee, soprattutto dopo il sondaggio de La7, è già diventato il "sorpasso". Il chi arriva secondo tra Pd e Cinquestelle. Non il plebiscito annunciato di Salvini. È chiaro il perché, politicamente parlando: il secondo posto dei Cinque Stelle, sia pur con uno stravolgimento dei rapporti di forza è un problema "nel governo". Ristabilire una dialettica tra centrodestra e centrosinistra, con un fronte progressista che supera i Cinque stelle è, potenzialmente, un problema "del governo", tale da metterne in discussione la tenuta stessa. È, cioè, un risultato che cambia la fase. E ri-politicizza la dinamica sull'asse destra-sinistra, dopo un anno in cui la "narrazione" è rimasta inchiodata attorno a quella tra élite e popolo, col Pd inchiodato al ruolo di establishment morente.

Dentro questo ragionamento c'è il dialogo col "diavolo". Anche se guai a chiamarla così. Operazione che il nuovo segretario ha già condiviso con tutti i big del partito, da Dario Franceschini a Goffredo Bettini. Per comprendere il "come", occorre una certa dimestichezza con le sfumature con le quali viene costruita e presentata. E cioè: non come un ritorno di D'Alema e Bersani, ma come la costruzione di un "campo più largo", in cui l'apertura al centro è funzionale a quella a sinistra. Altrimenti "non regge" il fuoco di fila degli irriducibili del renzismo. Ed è proprio questo ruolo del "centro" l'oggetto dei incontri di Zingaretti di oggi con i cattolici di Democrazia solidare di Mario Giro e Paolo Siani. E il disteso incontro con Carlo Calenda a cui, di nuovo, è stato proposto di guidare la lista per le Europee nel Nord Est. Proprio il tweet di Calenda, alla fine del colloquio, è apparso come un passo avanti verso l'operazione, ove parla di liste "aperte alla società civile di provenienza sia dai socialdemocratici sia dai liberaldemocratici".

Parliamoci chiaro, al netto delle formule. E della elucubrazioni politiciste, una delle specialità della casa. È chiaro che, per favorire la composizione del quadro, Leu dovrà acconsentire una certa gradualità e morbidezza, a partire magari da una rinuncia a candidare tutti gli uscenti, puntando su facce nuove, non divisive, e che non suscitino mai sopiti rancori. Però è altrettanto chiaro che, comunque, una campagna comune, in una stessa lista, innesca un processo graduale. La novità è che una spinta all'aggregazione arriva da una parte del mondo che fu renziano, imposta da un certa dose di realismo. Perché ci sono le amministrative. E i primi ad avvertire l'esigenza di un rafforzamento della coalizione sono i candidati impegnati nella battaglia sui territori in un clima difficile, da Chiamparino a Nardella: "Se Mdp vuole fare un accordo a livello nazionale con il Pd sulle europee - ha detto il sindaco di Firenze – sarebbe incomprensibile per i cittadini, per gli elettori che questo accordo non venisse fatto in modo parallelo anche a livello locale". Al momento la situazione è rovesciata, perché sui territori gli accordi sono a un passo, mentre sulle Europee c'è la resistenza di un pezzo del Pd - bastava leggere le dichiarazioni proprio dei senatori fiorentini – che minaccia la tenuta del fragile equilibrio post-congresso. È evidente che le due cose stanno assieme, in un voto che si celebra lo stesso giorno. A meno che non si giochi a perdere, per poi dire che anche questo "nuovo Pd" va male come il precedente. Il che potrebbe essere anche un calcolo di qualcuno.

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