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Esteri

Netanyahu in Russia: lo 'spot elettorale' pochi giorni prima del voto in Israele

ASSOCIATED PRESS
ASSOCIATED PRESS 

Lo spot elettorale da "grande statista" sarà girato giovedì prossimo a Mosca, quando Benjamin "Bibi" Netanyahu incontrerà al Cremlino, il player più importante oggi nella "partita" mediorientale: Vladimir Putin. Cinque giorni prima del voto, Bibi offre di sé l'immagine del politico, l'unico in Israele, che può contare sul sostegno o, comunque, della buona entratura, dei grandi della terra, a cominciare dal suo più grande estimatore, il presidente Usa Donald Trump. Netanyahu e Putin si sono incontrati a febbraio a Mosca in una breve visita di Stato. All'epoca, il premier israeliano, ricorda su Haaretz Noa Landau, disse al presidente russo che "i legami tra noi hanno impedito l'attrito tra i nostri eserciti e contribuito alla sicurezza nella regione". Ha anche ricordato che questo è stato il dodicesimo incontro tra i due leader da settembre 2015. Insomma, una frequentazione assidua.

Nella telefonata che ha sancito il meeting di giovedì, si è affrettato a far sapere l'ufficio di Netanyahu, i due statisti hanno discusso di problematiche regionali, della situazione in Siria e del rafforzamento del coordinamento di sicurezza. Putin ha detto che parteciperà alla cerimonia di inaugurazione di un monumento a Gerusalemme per commemorare le vittime e i sopravvissuti all'assedio di Leningrado della seconda guerra mondiale. Non esiste ancora una data per questa visita, che verrà concordata in un secondo momento. Non è certo questa la priorità per Netanyahu: il primo ministro più longevo nella storia dello Stato d'Israele sa che il suo destino politico, e anche quello personale visti i guai giudiziari in cui è impelagato, si decide martedì prossimo. E per conquistare voti può servire anche una stretta di mano con lo "zar" del Cremlino, dopo aver incassato il riconoscimento americano della sovranità israeliana sulle Alture del Golan. Su questa forzatura, Mosca ha mostrato la propria contrarietà, ma a Bibi serve oggi dimostrare che la "pax russa" per la Siria incardina anche l'uscita di tutti i combattenti stranieri dal territorio siriano, Pasdaran iraniani ed Hezbollah libanesi in primis. Una fonte diplomatica a Tel Aviv ha aggiunto che Putin non ha posto limiti alle azioni di Israele in Siria. Riferendosi al declino dell'aereo spia russo in Siria nel settembre 2018, la fonte ha aggiunto che la crisi è "dietro di noi". In attesa di incontrare Putin, Netanyahu sfrutta, in chiave elettorale, la visita del presidente del Brasile Jair Bolsonaro. L'amicizia tra i due è cosa risaputa, ma ieri si è arricchita di un fatto simbolico che in una terra che si nutre di simboli ha una importante valenza politica: Bolsonaro si è recato insieme a Netanyahu al Muro del Pianto.

Il presidente brasiliano, kippah in testa, si è fermato qualche minuto in raccoglimento nel luogo più sacro all'Ebraismo, prima di deporre - come da tradizione - un biglietto tra le pietre sacre. Bolsonaro - che Netanyahu chiama ormai "mio fratello" - è il primo capo di Stato a recarsi al Muro Occidentale accompagnato da un premier israeliano: per decenni, infatti, nessun leader straniero aveva mai visitato questo luogo sacro al fianco di un leader dello Stato ebraico, per non prendere posizione su delle questioni altamente sensibili, come ad esempio lo status di Gerusalemme. Un gesto simbolico, insomma, quello di Bolsonaro, che segue l'annuncio del presidente sudamericano dell'apertura di un ufficio commerciale a Gerusalemme, una sorta di filiale dell'ambasciata a Tel Aviv. Netanyahu si sarebbe atteso un cadeaux più impegnativo, l'annuncio dello spostamento dell'ambasciata brasiliana da Tel Aviv a Gerusalemme, ma in tempo di elezioni tutto fa brodo elettorale. L'importante è uscire dalle urne come il leader del primo partito (il Likud) e con gli alleati di estrema destra forti al punto da poter garantire a Netanyahu la maggioranza alla Knesset. Per ottenere questo risultato, "Bibi" deve provare a recuperare voti nell'elettorato moderato, sottraendoli al partito che più lo preoccupa, "Black and White", la forza centrista guidata dall'ex capo di stato maggiore delle Idf (le Forze di fefesa israeliane", il generale Benny Gantz e dal "George Clooney" della politica israeliana, l'ex anchorman televisivo di successo Yair Lapid. Stando agli ultimi sondaggi, il 9 aprile "Blue e bianco) (i colori della bandiera israeliana) potrebbe raggiungere i 32 seggi, superando i 30 sinora pronosticati per il Likud del premier. Alla coalizione Gantz-Lapid si sono aggiunti due nomi "forti": un altro ex capo di stato maggiore, Gabi Ashkenazi, e l'ex ministro della Difesa (2013-2016) Moshe Ya'alon. Due personaggi che rafforzano la credibilità della nuova alleanza anti-Netanyahu dal punto di vista della sicurezza nazionale.

E questo, al di là di tutto, anche dell'economia, è l'argomento che fa ancora presa sugli elettori israeliani. Sicurezza, unità, lotta alla corruzione: sono i tre pilastri "Blue and White", tre narrazioni che possono conquistare sia una parte di elettorato moderato di destra che una parte di quello di centrosinistra che guarda con crescente sgomento e distacco al suicidio politico del Partito laburista, dilaniato da faide interne consumatesi anche nelle primarie. Nel breve discorso in un centro congressi di Tel Aviv, nel quale Gantz annunciava il suo ingresso nell'arena politica, l'ex capo delle Idf ha reso pubbliche le sue opinioni su una serie di questioni chiave. Ha promesso una politica diplomatica e di sicurezza conservatrice e il mantenimento della linea dura contro l'Iran e la sua presenza militare in Siria. "Nel duro e violento Medio Oriente che ci circonda, non c'è pietà per il debole" e l'assunto che vale è "Solo il forte sopravvive!". Sulla questione palestinese Gantz ha promesso di mantenere la strategica valle del Giordano, nella Cisgiordania occupata, sotto controllo israeliano, insieme a Gerusalemme Est. L'ex capo di stato maggiore ha affermato che il suo governo "lotterà per la pace", notando però che "se emergerà che non c'è modo di raggiungere la pace in questo momento, daremo forma a una nuova realtà". Insomma, duro ma non liquidatorio.

Gantz non va alla conquista dell'elettorato della destra oltranzista, non cavalca l'ideologia di "Eretz Israel" (La Terra d'Israele), non esalta il "neo pionierismo" dei coloni: lui è un moderato di centro, garante della sicurezza e al tempo stesso inclusivo nei confronti di una parte della comunità araba israeliana, quella dei Drusi, discriminati dalla legge "Israele, Stato della nazione ebraica", voluta da Netanyahu su pressione degli alleati di estrema destra. Gantz non veste i panni del giustizialista, anche se sa bene che il rinvio a giudizio per corruzione del premier, potrebbe provocare un'emorragia di voti dal partito di "Bibi", il Likud. "Il solo pensiero che un primo ministro con un rinvio a giudizio possa mantenere l'incarico in Israele è ridicolo per me" affermava Gantz nel suo discorso di apertura della campagna elettorale. L'ex generale ha stigmatizzato "i feroci attacchi contro il capo della polizia e il procuratore generale" del governo Netanyahu promettendo che sotto il suo eventuale governo "non ci sarà incitamento contro le istituzioni giudiziarie, culturali e media". "L'attuale regime incoraggia l'incitamento, la sovversione e l'odio" ha detto. "I valori fondanti dello Stato d'Israele sono stati tramutati nelle stravaganze di una casa reale francese".. Né destra né sinistra: oltre. E' il tasto su cui battono i leader di "Blue and White". In nome di una "unità nazionale" da ricostruire." Israele prima di tutto", è lo slogan con cui Gantz è entrato in politica. "Israele viene prima di tutto. Unisciti a me e insieme percorreremo nuove strade. Perché abbiamo bisogno di qualcosa di diverso e insieme faremo qualcosa di differente".

I video della sua campagna elettorale, in cui vengono snocciolati numeri sui terroristi uccisi in Palestina, le critiche che il generale ha rivolto al premier (e ministro della Difesa ad interim) per la mano "morbida" usata a Gaza con Hamas dopo i missili lanciati su Tel Aviv e Ashkelon, non lasciano molti dubbi sulla linea dura che Gantz intende adottare. Una unità nazionale che ha dei fondamenti non negoziabili. I media israeliani rimarcano, tra il gossip e l'analisi politologica, che l'elettorato sembra essere di nuovo attratto dal "fascino della divisa". Era stato così con Yitzhak Rabin, Ariel Sharon, Ehud Barak: grandi generali diventati primi ministri. E tra le fila di "Blue and White", c' è un altro ex graduato che ricopre un ruolo di primissimo piano: Moshe Ya'alon. In questi passaggi della dichiarazione con cui aveva annunciato le sue duplici dimissioni: dal Governo e dalla Knesset (il Parlamento israeliano), c'è il profilo politico e ideale di "Blue and White". "Elementi estremisti hanno preso il potere nel Paese", avverte Ya'alon. E ancora: "Ho combattuto con tutte le mie forze contro le manifestazioni di estremismo, violenza e razzismo nella società israeliana, che minacciano la sua robustezza, e poco per volta si infiltrano anche nelle Forze di difesa israeliane, danneggiandole...Ho combattuto con tutte le mie forze contro i tentativi di delegittimazione della Corte Suprema e dei giudici di Israele, tentativi che hanno conseguenze nefaste sullo stato di diritto, il che potrebbe essere disastroso per il nostro Paese".

Per concludere così il suo possente j'accuse: "In generale, la società israeliana è una società sana, e la maggioranza di coloro che la compongono è sana di mente e aspira a un Paese ebraico, democratico e liberale", annota Ya'alon. "Ma con mio grande dispiacere, estremisti ed elementi pericolosi hanno preso il sopravvento in Israele e nel Likud e ne stanno scuotendo le fondamenta minacciando di danneggiare i suoi abitanti". "Purtroppo, i politici di alto livello nel Paese hanno scelto la via dell'istigazione alla segregazione di parti della società israeliana, invece di cercare di unificarla. Non posso sopportare che saremo divisi a causa del cinismo e dell'aspirazione al controllo, e ho espresso il mio parere sulla questione più di una volta, dato che sono sinceramente preoccupato per il futuro della società israeliana e il futuro delle prossime generazioni".

Per gli strateghi elettorali di Netanyahu è difficile far passare il messaggio che questi ex generali siano il "cavallo di Troia" della sinistra per tornare al potere. È una carta che non funziona, concordano gli analisti politici a Tel Aviv. E allora Bibi ne gioca un'altra: quella del leader che può parlare da pari a pari con i leader internazionali. Il viaggio a Mosca serve a questo.

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