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Politica

Tria cede e resiste. Il ministro lascia il passo su Def e truffati alle banche. Ma sulla Bugno non molla

Anadolu Agency via Getty Images
Anadolu Agency via Getty Images 

"Dimissioni? Dobbiamo tutelare la stabilità del governo e dei mercati, non sarebbe un bene del paese". Se il capogruppo del Movimento 5 stelle alla Camera, Francesco D'Uva, tira una robusta secchiata d'acqua sul fuoco che sta divampando al confine tra il ministero dell'Economia e i territori 5 stelle, qualcosa deve essere successo. E quel che è successo innanzitutto è che Giovanni Tria ha sostanzialmente abbassato la testa di fronte all'alzata di scudi di Luigi Di Maio come anche di Matteo Salvini, in particolare su cosa e come dovrà essere scritto nel Documento di programmazione economica e finanziaria in arrivo nei prossimi giorni.

Questo non significa che il fronte di perturbazione sia destinato a rientrare. Tutt'altro. Riavvolgiamo il filo. La tensione tra il Tesoro e il mondo pentastellato è di natura prettamente politica. Si sostanzia in alcuni filoni empirici. Ma il nodo di fondo è il ragionamento che Di Maio ha fatto ai suoi negli scorsi giorni. Che in sintesi suona così: "La linea del governo la diamo noi e la Lega, il Mef non può remare in direzione contraria, la deve smettere". Un sentimento che aveva già percorso la coalizione gialloverde lo scorso autunno, sia sulla nota di aggiornamento al Def sia sulla manovra. All'epoca le resistenze di Tria, numeri alla mano, vennero abbastanza impietosamente schiantate. E che si è riproposto con forza in questo ultimo periodo, che ha visto da un lato i due vicepremier spingere la propria comunicazione pubblica sul versante delle risorse che ha il paese per tornare a correre (anche e soprattutto per le misure adottate in legge di stabilità e in questo ultimo periodo), e dall'altro il ministro molto più prudentemente parlare di una situazione da crescita zero con cui bisogna fare i conti.

"Ora basta", ha sancito Di Maio. Che ha messo a testa bassa i suoi spingere sui nodi più scoperti del ministro dell'Economia: la mancata firma sui risarcimenti ai truffati delle banche, e la posizione di Claudia Bugno, attenzionata già da alcuni mesi dagli uomini 5 stelle a via XX settembre, e accusata di un conflitto d'interessi, avendo il marito un rapporto di lavoro con il figliastro di Tria.

Perché la comunicazione tra quelli che sono a tutti gli effetti universi paralleli è complicatissima. "Tria non parla con i nostri – dice un uomo vicino al leader – sappiamo delle riunioni sempre all'ultimo, non vuole in nessun modo lavorare con noi". Il caso è esploso qualche giorno fa. Allorché l'ex professore di Tor Vergata ha – dopo nove mesi – finalmente distribuito le deleghe a viceministri e sottosegretari. Ma ha infine scelto di tenere per sé il vero settore operativo rilevante: quello delle partecipate. Così Laura Castelli è stata sì nominata viceministro. Una promozione di fatto ma con un portafoglio che contiene solo le deleghe a enti locali, Cipe e conferenza stato-città. Così come ad Alessio Villarosa è stata attribuita la delega ai giochi.

La rabbia è stata malcelata, dopo mesi di dure battaglie sul tema. Innescando la miccia che ha portato alla Bugno, consigliere fiduciaria del ministro. Perché, è l'accusa, è lei che tratta proprio sui dossier delle partecipate (e in particolare Alitalia, dove sarebbe la responsabile delle resistenze del Tesoro sul piano di Di Maio per Alitalia, e la partita di Tim). "Non si vede mai al ministero – spiegano - con noi non ha rapporti. Non si può permettere di fare il sottosegretario ombra". Nel frullatore è finita anche la sua possibile nomina in StMicroelectronics, società controllata proprio dal Mef.

Un cortocircuito pazzesco. Tria ha rassicurato Giuseppe Conte: "Io remo nella direzione in cui remiamo tutti, non ho nessuna intenzione di fare il controcanto". E ha fatto arrivare un chiaro messaggio ai 5 stelle: nonostante la difficoltà tecnica, giovedì in Consiglio dei ministri ci sarà la norma sui truffati alle banche. Un passo indietro nel quale l'economista si è comunque riservato la libertà di apportare il suo contributo, personale e istituzionale, alla stabilità dei conti. Ma sulla sua consigliera non si smuove di mezzo millimetro.

"Perché dovrei rimuoverla? Perché non sta bene a qualche mio collega? È nel mio di staff", si è sfogato con i suoi. Una persona a lui molto vicina aggiunge velenosa: "Non mi pare che da qui sia mai arrivata nessuna osservazione sullo staff di Di Maio". Eppure, dopo una giornata di pressione su tutti i fronti, è arrivato il tentativo di smussare le critiche. E fonti del Tesoro hanno spiegato che "Claudia Bugno ha deciso di ritirare la disponibilità all'incarico in Stm in quanto designata nel Consiglio dell'Agenzia spaziale italiana". Una toppa che rischia di essere peggiore del buco. Perché i 5 stelle non mollano la presa: "Deve andarsene dallo staff del ministro". E perché subito la war room di Di Maio ha puntato il dito contro Giorgetti: l'Asi è di sua competenza, è stato lui ha provare a trovare uno scivolo per la consigliera. Rinfocolando critiche e paranoie su un Tria molto più sensibile alle istanze del Carroccio piuttosto che a quelle stellate.

In questo frullatore impazzito rimbalza da un paio di giorni quella che al momento è una suggestione, ma che più di qualcuno accredita come possibile scenario: un trasloco del ministro in Europa. Quale miglior candidato alla Commissione nel caso l'Italia spuntasse un portafoglio economico importante? È il ragionamento che si inizia a fare in alcuni settori della maggioranza, specie a tinte verdi, consapevoli che a prescindere da tutto Tria è un interlocutore credibile e apprezzato dalla gran parte delle cancellerie del Vecchio Continente. Via XX settembre non commenta. È sera quando un collaboratore decide di sbottonarsi quel tanto che basta: "Tu pensi che se ci fossero le condizioni e glielo proponessero non accetterebbe?".

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