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Esteri

Haftar in guerra per petrolio ed esercito

FILIPPO MONTEFORTE via Getty Images
FILIPPO MONTEFORTE via Getty Images 

Cosa vuole il Generale e chi c'è davvero dietro di lui? Sono le due domande che si rincorrono in queste ore tra Roma e Tripoli. Con il suo attacco alla capitale, Khalifa Haftar vuole arrivare da "vincitore" alla Conferenza sulla Libia che l'inviato delle Nazioni Unite Ghassan Salamè ha organizzato nell'oasi di Ghadames il 14-16 prossimi. E' vero, ma non basta. HuffPost lo aveva anticipato già nei giorni precedenti la Conferenza di Palermo del novembre scorso: l'uomo forte della Cirenaica può accettare che le elezioni presidenziali siano fissate entro l'anno in corso, anche in autunno, solo se, nel frattempo, può mettere le mani sulla compagnia petrolifera nazionale, la Noc, ed essere nominato al comando dell'esercito nazionale della Libia.

Sono condizioni non negoziabili, prendere o lasciare. Roma lo sa e deve scegliere se continuare a puntare sul "cavallo" perdente, il premier del Governo di Accordo Nazionale, Fayez al-Sarraj, o scendere a patti con il Generale. Ieri, in una dichiarazione congiunta, Washington, Parigi, Londra, Roma e Abu Dhabi hanno invitato tutte le fazioni libiche a far calare immediatamente la tensione. "Il percorso del conflitto armato rischia di alimentare un'escalation di violenza volta ad allontanare, piuttosto che avvicinare, un percorso di pace e stabilità a cui il popolo libico ha diritto", ha affermato il residente del Consiglio, Giuseppe Conte. Il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, a Washington per la ministeriale della Nato, segue con attenzione, in stretto contatto con l'Ambasciata a Tripoli, gli ultimi sviluppi in Libia, comunica la Farnesina. Il ministro si unisce al Segretario Generale dell'Onu, António Guterres, nel ricordare che "la via per la soluzione della crisi passa attraverso un dialogo inclusivo, costruttivo e responsabile fra tutte le componenti del Paese, nel primario interesse del popolo libico e di un'equilibrata stabilizzazione".

L'Italia conferma il sostegno all'azione dell'Inviato Onu per la Libia, Salamé. Sono posizioni interlocutorie, che le vicende sul campo potrebbero spazzare via rapidamente. In diplomazia, la "verità" è nelle sfumature, nei sottintesi: l'Italia, comunica la Farnesina, conferma il sostegno all'azione dell'inviato Onu ma non c'è alcun riferimento ad un rinnovato sostegno a colui che è ancora a capo del governo riconosciuto, a parole, dalla comunità internazionale: Fayez al-Sarraj. In altri termini, se per evitare il peggio occorre sacrificare un premier sempre più isolato, l'Italia non farà le barricate per sostenerlo. In gioco ci sono gli interessi economici dell'Italia nel Paese nordafricano, in particolare, ma non solo, nel campo petrolifero: l'italiana Eni produce in Libia 400 mila barili di petrolio al giorno e ha appena stretto nuovi accordi con la società inglese Bp e con la compagnia petrolifera libica National oil corporation (Noc) ) per rilevare il 42,5% dei giacimenti del gruppo inglese e rilanciare le attività di esplorazione e sviluppo. Per mantenere questa posizione di privilegio, Roma deve negoziare con Haftar e con le forze (milizie, tribù, il parlamento di Tobruk) che hanno permesso al Generale di poter controllare i più importanti giacimenti petroliferi in Cirenaica e nella cruciale regione del Fezzan.

Ma negoziare con Haftar significa anche interrogarsi su chi siano gli sponsor esterni su cui il Generale può contare e senza i quali non avrebbe scatenato l'offensiva su Tripoli. Evocare il "doppiogiochismo" di Parigi è cogliere solo una parte della verità, neanche la più importante. Perché i player decisivi, i "manovratori" di Haftar, stanno a Mosca e al Cairo: il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Il "Faraone" egiziano è stato decisivo per garantire la partecipazione di Haftar alla Conferenza di Palermo, e per questo ringraziato da Conte. Il presidente egiziano ha da tempo in testa un "piano A" e un "piano B" per la Libia: il "piano A", prevede il mantenimento di uno Stato unitario con a capo un uomo di sua fiducia: Haftar, per l'appunto. Il "piano B" prevede uan tripartizione della Libia, con un protettorato della Cirenaica nell'area d'influenza egiziana. Quanto allo "zar" del Cremlino, è lui ad avere le carte decisive sullo scacchiere mediorientale e della Sponda Sud del Mediterraneo: dalla Siria all'Algeria e alla Libia, è la Russia a manovrare i "cavalli" vincenti: da Bashar al-Assad a Khalifa Haftar. Per questo, più che a Washington, l'Italia deve guardare a Mosca, se non vuole essere tagliata fuori o marginalizzata dallo scacchiere libico.

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