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Esteri

Libia, Roma "adotta" l'inviato Onu scaricato dalla Francia

Ansa
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Tradito, nei fatti, da Parigi, Ghassan Salamé rafforza i legami con il Paese europeo che più ha creduto al suo piano di pace: l'Italia. A Roma, l'inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia ha trovato porte spalancate sia alla Farnesina che a Palazzo Chigi. Di per sé, questa non è una novità, visto che quelle "porte" si erano già aperte a Palermo, nel novembre scorso, in occasione della Conferenza internazionale per la Libia, fortemente voluta dall'Italia per sancire un suo ruolo primario nella "cabina di regia" che avrebbe dovuto guidare un processo di stabilizzazione più ipotetico che reale. In quella circostanza, sia il premier italiano, Giuseppe Conte, che il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, avevano puntato tutto sulla Road map per la stabilizzazione della Libia delineata da Salamé e che, solo qualche giorno prima, aveva avuto luce verde dal Palazzo di Vetro. Cinque mesi dopo il summit di Palermo, il caos libico si è trasformato in una guerra per procura.

Dalla crisi libica rischiano di "riemergere fenomeni terroristici. Il terrorismo internazionale non cessa di colpire, come vediamo. Anche per questo sosteniamo gli sforzi" dell'inviato Onu per la Libia, Ghassan Salamé, afferma il ministro degli Esteri italiano, Enzo Moavero Milanesi, nel corso di una conferenza stampa congiunta alla Farnesina con l'inviato Onu per la Libia. C'è "preoccupazione per il flusso di profughi" dalla Libia, "un elemento di importanza per l'Europa". "Ho scritto al primo vice presidente della Commissione europea Timmermans e al commissario per le migrazioni Avramopoulos – ha reso noto Moavero - per chiedere che si predispongano tutti gli atti necessari, qualora si verificassero quei flussi anormali, di cui parla il trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che prevede si possano prendere misure"."Auspichiamo che sia poi la realtà, ovvero che non si verifichi questa eventualità", avverte Moavero riferendosi alla possibilità che non ci siano flussi dalla Libia. "Sosteniamo come governo italiano l'azione delle Nazioni Unite". Si tratta di un'"azione importante, in particolare in questo periodo in cui si sono riaccesi gli scontri armati. Non c'è strada per una soluzione militare per la Libia". E' necessario "evitare di restare in una deriva di crescita del livello degli scontri in atto", ha sottolineato Moavero, evidenziando come "la popolazione civile è sottoposta a un rischio costante di pericoli crescenti".

Nel corso della conferenza stampa congiunta, Moavero ha poi voluto rimarcare che "dall'inizio del riaccendersi dei conflitti armati in Libia, l'Italia si è mossa su una linea e cioè quella di continuare a parlare con tutti. Non solo le parti che combattono sul terreno, ma gli altri Paesi interessati e preoccupati. Questo spiega la serie di incontri che si sono svolti in queste settimane a Roma, alcuni dei quali hanno dissipato dubbi e domande che esistevano". "Quello con Le Drian, ad esempio, è servito a chiarire la posizione comune di Francia e Italia", ha aggiunto Moavero parlando del meeting con il ministro dell'Europa e degli Affari esteri del governo francese. "L'Italia vuole perseguire un dialogo inclusivo in stretto coordinamento e collegamento con le Nazioni Unite", ha concluso il titolare della Farnesina. "In Libia al momento ci sono 700mila non libici", ma "non tutti loro vogliono attraversare il Mediterraneo" per sbarcare in Europa, rimarca a sua volta l'inviato Onu. "Sono in continuo contatto con loro, non tutti vogliono nuotare, per così dire, nel Mediterraneo", ha aggiunto Salamé. La questione dei possibili migranti in arrivo a causa del conflitto in Libia va affrontata "con grande calma e coraggio" avverte l'ex ministro e accademico libanese. "So che è una questione che continua a emergere e io vi chiedo di essere realisti", ha detto il rappresentante speciale Onu. "Non dovete ossessionarvi con i centri di detenzione, perché ce n'è un numero limitatissimo. Il numero degli arrivati in Libia non c'entra nulla con gli anni precedenti: il flusso dall'Africa occidentale si è quasi azzerato, quello dall'Africa orientale è sceso in maniera sostanziale.

Salamé si è detto "preoccupato per questi combattimenti a terra e per le divisioni nella comunità internazionale". "I libici sono divisi e sarebbe stato auspicabile una comunità internazionale più unita". Secondo Salamé, "una de-escalation della situazione è sempre possibile", ma per raggiungere questo obiettivo è necessario "impedire l'arrivo di nuovi armamenti a queste milizie e dobbiamo evitare che ci siano ingerenza dirette di alcuni Paesi in Libia". "Incoraggiamo l'Italia e tutti gli Stati membri dell'Onu a spingere per il cessate il fuoco e il ritorno al dialogo. Occorre l'impegno collettivo a porre fine a questo conflitto egoista e inutile. Se invece la situazione dovesse deteriorarsi in modo significativo, a pagarne le conseguenze, oltre al popolo libico, sarebbero settori e interessi molto più ampi", ribadisce l'inviato Onu. "Il dialogo - dice - è l'unica strada possibile per evitare la catastrofe". Salamé crede molto a un'azione dell'Italia e della Francia insieme per rilanciare la road map dell'Onu e avviare il processo elettorale. "Mi auguro – ha spiegato - che le parti in Libia riescano a sedersi al tavolo dei negoziati prima del Ramadan". L'inviato Onu non nasconde le difficoltà per realizzare ora le elezioni per via del conflitto ma "la buona notizia è che sette città la settimana scorsa hanno eletto i loro sindaci. Quindi c'è sempre un viaggio di speranza per chi è disposto a vederlo".

Dall'inizio delle ostilità in Libia, lo scorso 4 aprile, la missione Unsmil è molto "attiva" e i suoi uomini "stanno aiutando centinaia di migranti, che vengono spostati dai centri di detenzione a quelli più sicuri". A oggi in Libia ci sono "34mila persone sfollate, molte di queste hanno trovato una nuova sistemazione grazie all'Onu" e a quei Paesi che hanno voluto dare il loro contributo per affrontare l'emergenza. L'incontro di Moavero e Salamé si è tenuto nel giorno in cui a Roma c'è stato il vertice sulla Libia dei direttori politici nel formato '3+3' (Francia, Gran Bretagna, Usa, Italia, Emirati, Egitto). A causa dei combattimenti delle ultime settimane in Libia, dice l'inviato Onu, "siamo stati obbligati a sospendere le iniziative che avevano portato progressi nel Paese", come gli accordi per la sicurezza a Tripoli e la "conferenza nazionale" che si sarebbe dovuta tenere a metà aprile a Ghadames. "Ciò non vuol dire che queste iniziative siano state cancellate. Ci stiamo impegnando per salvare il salvabile, ma ci vuole tempo, una certa creatività da tutte le parti e anche il sostegno della comunità internazionale". "Quando si sentono le armi di solito la diplomazia è silente, ma non e così nel nostro caso" conclude l'inviato Onu. Ma la Libia da tempo non è terra fertile per "buone notizie". Perché è una terra insanguinata. L'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha aggiornato a 272 morti il bilancio dei combattimenti nel Paese. Un tweet diffuso nella notte precisa che i feriti sono 1.282, mentre gli sfollati sono più di 30mila. "L'Oms e i suoi partner lavorano per garantire che le strutture sanitarie di base abbiano forniture e risorse per assistere le famiglie sfollate", precisa l'agenzia delle Nazioni Unite. Un bilancio allarmante, una situazione che rischia di precipitare ulteriormente. Roma lo sa e per questo è scattato l'allarme rosso. "La Libia è il nostro primo dossier e lo seguiamo con la massima attenzione. Stiamo cercando di ricostruire un percorso di fiducia e di dialogo per una soluzione politica. Non è facile quando qualcuno degli attori ha esercitato l'opzione militare". Così il presidente del Consiglio parlando con i cronisti in piazza Colonna. "Come in ogni crisi regionale le divisioni interne vengono amplificate perché gli attori internazionali si schierano in modo miope per fare i propri interessi particolari appoggiano l'uno o l'altro ma questo non significa fare i propri interessi e soprattutto quelli del popolo libico", ha aggiunto il premier.

Concetti che Conte rìbadirà più tardi nel suo incontro con Salamé, e che aveva già espresso al termine del colloquio con il primo ministro giapponese Shinzo Abe. Interpellato sulle posizioni di diversi Paesi a favore di Khalifa Haftar Conte sottolinea: "A volte gli attori pensano in modo miopie di fare i propri interessi particolari privilegiando l'una o l'altra parte, ma far questo non significa fare i propri interessi e soprattutto quelli del popolo libico".

Cronaca di guerra. Sono sei i migranti che hanno perso la vita dopo l'attacco al centro di detenzione di Qasr Bin Gashir, a una ventina di chilometri a sud di Tripoli. Lo ha riferito Mustafa El-Mecei, un portavoce delle milizie che sostengono il Governo di Unità nazionale all'agenzia turca Anadolu, puntando il dito contro le forze del generale Haftar. Secondo El-Mecei, i feriti sarebbero 11. Anche il Consiglio di presidenza ha condannato con forza questo episodio: "L'area di Qaser Bin Ghashir è considerata una regione pericolosa a causa delle operazioni militari che vi si svolgono lì", ha detto il portavoce Muhannad Younis, evidenziando che tale episodio equivale a "un crimine contro l'umanità e a crimini di guerra", essendo "una grave violazione del diritto umanitario". Quindi, ha avvertito che le ostilità in corso "ostacolano il lavoro dei soccorritori nonché le operazioni di trasferimento effettuate dalla Mezzaluna Rossa". "Al momento la situazione è molto grave e per ragioni di sicurezza non abbiamo accesso ai centri di detenzione che si trovano nelle aree degli scontri, tra cui quello di bin Gashir" riferisce all'agenzia Dire l'Organizzazione per le Migrazioni (Oim) in Libia. L'Oim Libia sul bilancio delle vittime e gli autori dell'attacco "non ha informazioni", proprio a causa dell'impossibilità di accedere alla struttura per via dei combattimenti. Di norma "l'Oim visita i centri di detenzione, fornendo assistenza medico-sanitaria di base e trasferendo i casi più gravi in ospedale, in collaborazione con altre organizzazioni umanitarie presenti sul territorio. Più in generale, offriamo a queste persone programmi di ritorno volontario, per chi vuole tornare nel proprio Paese". Sul piano strettamente militare, si è dimostrata efficace la controffensiva lanciata delle forze fedeli al Governo di accordo nazionale (Gna) di al-Sarraj: gli uomini del generale Haftar sono stati respinti per oltre 60 km a sud ovest della capitale. Provvidenziali sarebbero state le tempeste di sabbia, che hanno costretto i due eserciti a fronteggiarsi senza supporto aereo: durante la ritirata le truppe di Haftar avrebbero distrutto i mezzi che non erano in grado di portare via, tra i cui alcuni carri armati.

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