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Politica

Perché il terrorismo?

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Negli ultimi giorni si sono profilati fenomeni di allerta di fronte al pericolo di atti terroristici islamici anche nel nostro Paese. È certamente, di volta in volta, uno studio molto complesso, quello delle radici di qualsivoglia fenomeno terroristico. Il terrorismo è un complesso fenomeno sociale, con basi oltreché politiche, di sottesa rispondenza psicopatologica individuale e gruppale.

L'attuale terrorismo islamico è più compiutamente un fenomeno politico-sociale-religioso e più gravemente psicopatologico, come tenterò di spiegare meglio più innanzi. Le religioni, come si sa, ora incitano al bene, ora alle guerre e nel caso del terrorismo "religioso", gli studi psicodinamici hanno dimostrato, talora, una drammatica relazione tra fede e violenza.

Appare dunque assai chiaro, per quanto riguarda quest'ultimo specifico punto, che nella fattispecie, progressione, evoluzione spirituale, sociale e civile da una parte e fede dall'altra non marcino purtroppo, sempre in tandem, come dovrebbe essere e come, talora, è pur dato di cogliere.

Se nel 1932, Einstein pose a Freud la domanda "perché la guerra?", oggi noi possiamo chiederci "perché il terrorismo?", non disconoscendo ancora quanto la psicoanalisi sia stata sempre di grande aiuto per la comprensione della violenza collettiva.

Lo studio di quest'ultima ci conduce all'analisi delle radici più profonde della natura umana, per cui non può non competere anche al pensiero psicoanalitico la responsabilità sociale dello studio rigoroso del terrorismo, che rappresenta lo sviluppo tattico più significativo della guerra in tempi recenti.

Gli individui che hanno commesso e commettono azioni violente per cui sono conosciuti in generale come terroristi, non sono esseri disumani. Sono esseri umani che sono stati per "debolezza " coinvolti in atti disumani. La psicoanalisi non può allora che aderire in questo senso ad un'unica scelta, quella di interessarsi a contribuire alla comprensione di ciò che costituisce la motivazione alla base dell'agire di questi esseri umani e di ciò che esiste nella natura umana che fornisce un punto di partenza per il terrorismo e per la paura generalizzata.

Inoltre dal momento che le persone che sono etichettate come terroristi religiosi, etnici o ideologici compiono le loro azioni nel nome dei rispettivi più larghi gruppi di appartenenza, noi dobbiamo spingerci a spiegare l'intreccio tra la psicologia individuale e le psicologie religiose, etniche e ideologiche dei gruppi.

Il terrorismo si situa comunque in contesti storici e politici specifici e prende la forma della violenza collettiva, che è un fenomeno sicuramente antico e che si è cercato di legittimare dal punto di vista etico o di giustificare dal punto di vista politico. Oggi siamo colpiti dalle dimensioni che questa forma di violenza ha raggiunto nel mondo e del suo rapporto con la situazione politica globale.

La violenza terroristica spessissimo corrisponde alla strategia dei deboli e di coloro che non hanno potere per trasmettere un messaggio e spesso per ottenere qualche tipo di risultato politico e/o pratico. Ci troviamo così a contemplare di conseguenza e in primis una drammatica disumanizzazione del codice etico di chi compie l'atto terroristico e gli effetti indotti da tutto ciò sulla vittima e inoltre l'importanza della funzione dimostrativa: l'atto terroristico non è soltanto un gesto di distruzione ma anche l'espressione drammatica di un messaggio di "giustizia" o persino di " redenzione collettiva".

A livello di questo secondo punto non possiamo esimerci dal segnalare la problematica di quali metodi tentare di mettere in atto, sul piano dei messaggi culturali, per prevenire che le persone e i gruppi sociali non restino affascinati dall'agire terroristico. In genere è opinione comune, condivisa, di non considerare il terrorismo in semplici termini morali.

Non si tratta per l'appunto di una lotta del bene contro il male (o del male contro il bene), anche se è questo esattamente il modo in cui la lotta è percepita da entrambe le parti. In quasi tutte le azioni di violenza c'è una parte, di solito costituita dalle vittime, che grida al terrorismo, in modo simile, chi commette il crimine crede che sia la giusta risposta a un male subito.

L'unico aspetto comune a tutte le definizioni di terrorismo è il suo collocamento in una cornice negativa e le discussioni che creano le maggiori divisioni su di esso si verificano quando non si trova accordo sul quando, sul se e su quanta violenza sia giustificata in situazioni particolari. I paesi che hanno raggiunto la propria indipendenza in tempi recenti hanno mostrato una maggiore simpatia verso quei movimenti violenti che sono visti come anti-coloniali; parimenti i paesi ricchi e potenti hanno cercato di condannare quegli stessi movimenti come terroristici!

Affrontiamo ora l'attuale terrorismo islamico secondo i vari aspetti necessari sopra segnalati ed in senso terroristico generale e specifico:

1) la motivazione alla base dell'agire in senso terroristico di questi esseri umani;

2) l'intreccio tra la psicologia individuale e la psicologia religiosa del gruppo di appartenenza;

3) la cornice negativa, extra-individuale ed extra-gruppale, che fomenta la condizione terroristica in questione.

Intanto, per quanto riguarda il primo punto, cominciamo col chiarire che la capacità di compiere azioni terroristiche che comprendono l'uccisione o del fare del male a degli innocenti comporta cambiamenti della personalità che possono essere transitori, causati dalle pressioni del gruppo, o che possono costituire dei tratti permanenti. In ogni caso si osserva una dissociazione di aspetti della personalità che hanno a che vedere con la percezione e con l'esperienza delle vittime potenziali in quanto propri simili e in quanto esseri umani.

Si verifica spesso una perdita parziale dell'esame di realtà ed una immersione in uno stato mentale in cui esiste "un'unica soluzione". Perversione sessuale, dipendenza da droghe e modo di pensare che si avvicina alla psicosi si intrecciano sempre più in coloro che terroristicamente esprimono crudeltà nei confronti di vittime innocenti. A loro volta spesso costoro provengono da un retroterra di profondo abbandono affettivo, di spaventoso abuso fisico, sessuale ed emotivo.

Tutto ciò non vuol dire che tutti i bambini che sono stati abusati, crescendo diventino terroristi. Rimane tuttavia comprovato che tutti o quasi tutti i terroristi sono stati umiliati senza pietà nei loro anni formativi e l'azione di trasformare un altro essere umano in una vittima terrorizzata è comunque carica di una forte, compensativa, drammaticità sado-masochista.

Vi sono poi due fattori che vanno al di là di ogni comprensione umana e che possono e devono trovare spiegazione soltanto attraverso una grave psicopatologia: l'indifferenza del terrorista nei confronti di soggetti resi vittime e l'indifferenza assoluta che spesso i terroristi hanno nei confronti della propria vita.

Mentre la "disumanizzazione" degli altri permette la violenza contro di loro, la "disumanizzazione del sè" aumenta la possibilità di mettere in atto quella violenza e permette, attraverso il suicidio, il sacrificio totale di se stessi. L'abbandono della propria identità può produrre confusione e angoscia, ma può essere vissuto anche e soprattutto come liberazione ed estasi.

Diviene però necessario chiarire anche che le stragi, commesse attraverso questa permissività psicopatologica, costituiscono un mezzo e non il vero obiettivo. La disumanizzazione nella violenza terroristica è una questione di strategia. In fondo ciò che è sentito come fondamentale, è la necessità di inviare messaggi da fondali di impotenza e disperazione, come ad esempio, quando si è feriti dalla privazione dei diritti territoriali e da umiliazioni etniche, messaggi che possono contenere una rabbia primitiva ed una distruttività invidiosa come quando tutto ciò può essere evocato dalla constatazione di una ineguale distribuzione della ricchezza tra le nazioni del mondo.

Procedendo verso la disamina del secondo punto devo segnalare che nel dibattito sulle ragioni del terrorismo, il fattore ideologico-religioso è spesso sottovalutato. Spesso viene ignorato o sottovalutato il ruolo centrale giocato da convinzioni ideologiche fanatiche come motivazioni alla violenza. Negli ultimi decenni il fondamentalismo religioso si è diffuso in tutte le religioni del mondo.

Questo fenomeno non rappresenta soltanto una protesta religiosa, ma anche una decisa protesta politica. I movimenti fondamentalisti cercano di cambiare la società e il mondo secondo le loro convinzioni e si vedono proiettati in un dramma escatologico come servi o soldati del loro dio.

Come innumerevoli riflessioni cliniche, condotte attraverso il trattamento psicoterapeutico di giovani che aderiscono a ideologie politiche radicali, ci hanno insegnato molte cose del loro sviluppo interiore e della funzione che ha la visione del mondo nel processo adolescenziale, anche attraverso l'assorbimento di ideologie politiche che sono particolarmente adatte per esteriorizzare conflitti interni (tra le più frequenti annoveriamo quelle che promuovono una visione manichea del mondo e che formulano il proprio pensiero in termini di amico/nemico attraverso chiare definizioni di bene e di male), così ampie ricerche cliniche hanno assodato nel terrorismo religioso la costante relazione: fede-violenza! Perché?

Principalmente Theodor Reik e Grunberger hanno approfondito la connessione intima tra religione e aggressività: secondo Reik, il punto cruciale di tutte le religioni consiste nel non riuscire a liberarsi della forza di una ambivalenza emozionale, sottomissione e ribellione.

Di fatto, una "ribellione inconscia" verso Dio appare presente in ogni religione. I continui impulsi di ribellione contro il proprio dio e l'inconscio senso di colpa che ne risulta, trovano soddisfazione nella persecuzione dei miscredenti.

Questa persecuzione dei miscredenti, inoltre giunge ad essere rassodata anche dal fatto, chiarito eloquentemente da Grunberger, che la fede si basa su una duplice lotta difensiva: la prima è quella di tenere fuori la realtà e di limitare il potere degli impulsi istintuali, mentre l'altra è di liberare una enorme quantità di aggressività attraverso le difese contro gli impulsi istintuali, aggressività che viene poi spostata fuori e proiettata ancora sui miscredenti.

Infine per quanto attiene al terzo punto e cioè a dire ai fattori extra-individuali ed extra-gruppali fomentanti, e per non dire in qualche modo responsabili, delle correnti terroristiche, con molta chiarezza coraggiosa, come ho già specificato in altra sede, devono essere tirate in ballo: gli Usa ed altre potenze occidentali e non solo!

Infine in ordine a nuove e severe problematiche emergenti in Europa non posso esimermi dal segnalare lo sviluppo di un nuovo jihadismo europeo, che pesantemente tira in ballo la responsabilità della Politica Europea.

Molti giovani europei sembrano non temere la logica della violenza e del terrore, ma anzi possono venirne affascinati e partire per diventare anch'essi spietati terroristi. Questo problema non sembra esaurirsi su base socio-economica, visto che molti di essi sono giovani di classe media, provenienti da famiglie apparentemente, almeno, normalmente costituite.

In realtà, in mancanza di utopie e ideali in cui credere, la conversione alla jihad diventa una reazione, in soggetti fragili, alla disintegrazione dell'identità sociale. "Mala tempora currunt" e se il terrorismo, per quanto chiarito ed esposto, corrisponde a una chiara distorsione comportamentale perversa, la Politica degli Stati, talora, non gli è da meno e però meno scusabile, poiché condotta con integra capacità di giudizio della realtà e senza alcun senso di colpa, adesa al ruolo di "matrigna" che nutre solo se stessa.

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