Augusto Fantozzi. Morire da indagati, essere assolti da morti

Centinaia e centinaia di ore di intercettazioni, chissà quanti milioni spesi. Migliaia di pagine di verbali. Tre procure diverse. Sei anni, quasi sette, d’inchiesta. E poi l’archiviazione, liquidata in due pagine (durissime) di un giudice per le indagini preliminari che attesta che in quelle migliaia di carte c’era solo fumo. Finisce così l’inchiesta sui presunti concorsi truccati, nel corso della quale sono stati indagati 59 tra docenti di Diritto tributario e ricercatori in tutta Italia. Le accuse, corruzione e affini, avevano fatto il giro del Paese. Il più noto degli indagati era Augusto Fantozzi, insigne tributarista, commissario di Alitalia e più volte ministro, che purtroppo è morto nel 2019 e non ha potuto gioire di questa archiviazione. Che scagiona pienamente lui e gli altri 44 indagati le cui posizioni sono state archiviate. Ed è proprio a Fantozzi che pensa l’avvocato Antonio D’Avirro, legale di alcuni degli indagati, quando al Foglio dichiara: “Spiace che questa bella notizia arrivi troppo tardi per il professor Augusto Fantozzi”. L’ipotesi dell’accusa era che queste persone si organizzassero per truccare i concorsi per l’abilitazione all’insegnamento di diritto tributario. Per escludere i nemici ed ammettere gli amici, insomma.Il tutto si basava su un esposto del 2013, in cui un ricercatore sosteneva che era stato “invitato” a ritirarsi da un concorso, con la promessa di avere l’abilitazione in futuro. Sei anni, però, non sono bastati per trovare uno straccio di prova. A scoppio ritardato i pm hanno dovuto ammettere che non avevano nulla in mano. Che quelle registrate - lo scrive il Gip di Venezia nel decreto di archiviazione - erano solo chiacchiere tra persone che lavorano insieme. Una marea di conversazioni intercettate, che sei anni di inchiesta (e tre procure: prima Firenze, rivelatasi incompetente per il caso, quindi Pisa, altrettanto incompetente, infine Venezia) non sono riuscite a riscontrare. E a nulla è servito neanche un secondo giro di ascolto di testimonianze, sollecitato dalle parti che si ritenevano lese e che si sono opposte all’archiviazione. La spiegazione più incisiva di questa vicenda si può leggere nelle parole del Gip di Venezia, Luca Marini: "Le ipotesi di accusa si fondano su conversazioni ambientali tra presenti in contesti non formali che si risolvono in una congerie di commenti su diversi titoli e sul futuro possibile dei percorsi professionali dei soggetti, senza che l'informalità delle occasioni di confronto possa fondare alcune certezza di veridicità come ovvio che sia in occasione di chiacchierate tra colleghi per scambi di vedute e occasioni di confronto". Per il giudice veneziano si tratta di "un'attività inevitabile per qualunque procedura di selezione complessa di soggetti professionali, destinata poi ad essere definita in sedute formali che finiscono per trarre da tutta l'attività preparatoria dei commissari una sintesi". Ma tale attività "non può in alcun modo essere considerata come condizionata da accordi qualificabili come frutto certo di condizionamenti illeciti". Non era corruzione. Erano solo parole. Che hanno stravolto la vita di decine di persone. Di decine di innocenti.

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