I dati Ispra sono ancora parziali ma confermano come la presenza del cinghiale sia in crescita e indicano che è necessario uno sforzo gestionale più efficace da parte di tutti
I dati Ispra sono ancora parziali ma confermano come la presenza del cinghiale sia in crescita e indicano che è necessario uno sforzo gestionale più efficace da parte di tutti - © Andrea Dal Pian
Pubblicato il in Conservazione
di Matteo Brogi

Consistenza del cinghiale: cosa indicano i dati Ispra

Un milione, ma potrebbero essere due milioni. I cinghiali in Italia sono tanti. I dati provvisori presentati dall'Ispra in occasione del convegno di Confagricoltura ed Eps dimostrano che, per fare gestione, bisogna agire diversamente da come fatto finora

È possibile gestire il cinghiale in modo efficace? Questo è uno dei temi - probabilmente il principale - sviluppato nel convegno organizzato da Eps e Confagricoltura lo scorso 13 gennaio 2023. I lavori sono stati articolati in due sessioni. La prima dedicata ad aggiornamenti e prospettive sulla gestione del cinghiale; la seconda alle pratiche sostenibile ambientali ed economiche per le aziende faunistico venatorie. Entrambe hanno portato nuovi elementi di conoscenza e stimoli gestionali che vedranno ulteriori momenti di approfondimento nel futuro prossimo.

La presenza di Ispra - che in occasione del convegno ha provato a riassumere i dati, ancora parziali e viziati dalla difficoltà di raccolta, relativi alla gestione del cinghiale in Italia nel periodo 2015-2022 - ha monopolizzato l'attenzione degli operatori. I numeri presentati da Andrea Monaco, di Ispra, nella sua relazione Il quadro conoscitivo aggiornato sulla gestione del cinghiale in Italia (2015-2022): criticità e prospettive in un paese che cambia
- ne abbiamo anticipato le conclusioni qui - sono stati ripresi dalla stampa nazionale e sono oggetto di confronto tra i portatori d'interesse. Provo a riassumerli.

Braccata: soluzione o problema?

Nel periodo preso in esame sono stati abbattuti in media di 299.273 selvatici/anno (da 250mila a 367mila circa) in attività di caccia (86%) e controllo (14%); quanto al controllo, il 38% degli abbattimenti sono avvenuti all'interno delle aree protette (che costituiscono il 10% della superficie della Nazione). I prelievi venatori sono invece stati realizzati al 94% in ambiti pubblici; il restante in aree private.

Per quanto riguarda le tecniche di prelievo venatorio, si rileva come prevalga la braccata all'88%, seguita da selezione (9%), girata (2%) e caccia a singolo (1%). Colpisce che la braccata sia responsabile anche dell'11% dei prelievi in controllo, dove comunque la parte del leone la fanno la selezione (52%) e la cattura (31%). La girata (6%) ha un ruolo ancora marginale.

La caccia in braccata è ancora la tecnica venatoria più praticata nel prelievo del cinghiale (88% degli abbattimenti). Stupisce che sia estesamente utilizzata anche in regime di controllo (11%)
La caccia in braccata è ancora la tecnica venatoria più praticata nel prelievo del cinghiale (88% degli abbattimenti). Stupisce che sia estesamente utilizzata anche in regime di controllo (11%) - © Matteo Brogi

Questi dati svelano una serie di tematiche gestionali piuttosto controverse. Anzitutto, dimostrano che la specie è in rapida ascesa (si parla addirittura di esplosione demografica) dal 1995. A questa convinzione si arriva sfruttando varie tipologie di dati, incluse le tre edizioni della Banca dati di Ispra sul cinghiale (quella del 2009 non è stata pubblicata ma fu a suo tempo realizzata).

In secondo luogo, valutando la tipologia dei prelievi a caccia, emerge una incongruenza con le migliori pratiche gestionali, con Ispra che raccomanda di concentrare il prelievo sulle classi giovanili e le femmine; i dati, invece, parlano di una prevalenza di abbattimenti di maschi (51%) e di adulti (60%). L'esatto contrario di quanto sarebbe auspicabile per il contenimento della specie. Un tema controverso, scrivevo, che sollecita il mondo venatorio a prendersi le sue responsabilità: la scarsa selettività della braccata è dimostrata e difficilmente confutabile.

Ma quanti sono davvero i cinghiali in Italia?

Quanti sono allora i cinghiali? Barbara Franzetti - tecnologo Ispra - nella sua relazione ha sollevato la questione se le stime di popolazione siano davvero uno strumento utile ai fini gestionali di una specie come il cinghiale. Quanto sta facendo Ispra per arrivare a queste stime è oltremodo costoso, complesso e richiede competenze molto qualificate. Anche se "una buona gestione si fa con buoni dati", per il cinghiale le complessità sembrano prevalere.

Andrea Monaco - pur nell'incertezza dei dati che l'Istituto si è trovato ad analizzare e poi a organizzare - ha azzardato una stima: considerando un tasso di prelievo annuo del 35/45% della popolazione si arriva a un valore orientativo compreso in una forbice che spazia tra 900.000 e 1.100.000 selvatici. Un dato che viene corretto in un "minimo" di un milione e mezzo e potrebbe addirittura rasentare i 2 milioni stante la forte sottostima di tanti aspetti quali, per esempio, i danni prodotti alle colture. I dati, lo ribadisco, sono ancora parziali e probabilmente viziati dalla difficoltà di raccolta.

Migliorare la formazione

Che fare, allora, per contenere l'esplosione demografica della specie, evitare nuovi casi Roma e ridurre i danni alle attività agricole, tema sensibile sia a Confagricoltura sia a Eps? Piero Genovesi - responsabile del servizio per il coordinamento della fauna selvatica di Ispra - nel suo intervento dedicato a Quale futuro per la gestione del cinghiale ha evidenziato la necessità migliorare la formazione e di ampliare la platea degli operatori professionali che possono impegnarsi nella gestione. Un'osservazione - relativamente al secondo aspetto - che sembra collidere con quanto disposto dal comma 447 della legge di bilancio 197/22 che è andato a riscrivere l'articolo 19 della 157/92, legando il cacciatore al proprio territorio: principio sacrosanto ma perseguibile fintanto che di cacciatori ce ne siano in numero adeguato. Uno dei problemi principali per fare gestione, segnalano alcuni tecnici, è l'alta età media dei cacciatori e l'inesorabile riduzione dei praticanti.

Le sfide sono crescenti e tutti devono fare la propria parte. A livello ideale è necessario ricostruire il rapporto tra cittadino e ambiente - ha sottolineato Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura - ma sono necessari interventi da parte di tutti. Marco Franolich, direttore di Eps, ha per esempio ricordato che l'Italia è una delle poche nazioni dove non vi siano figure dedite alla gestione faunistico venatoria professionale. Un ulteriore tema controverso che, però, è sempre più frequentemente sul tavolo della discussione e potrebbe diventare di attualità con il perdurare della contrazione dei praticanti.

È prevedibile che l'attuale assetto politico nazionale possa portare a una profonda modifica della 157 o, addirittura, alla scrittura di una nuova legge quadro. Una sfida importante, che richiede uno sforzo condiviso per far sì che il quadro normativo nel quale ci troveremo a cacciare in futuro sia veramente migliorativo per l'attività venatoria e la conservazione della natura.

Di formazioni e di filiere (venatorie, alimentari e naturalistiche) si parlerà al convegno che Confagricoltura ed Eps hanno organizzato per il 24 febbraio alla Tenuta Marsiliana, in Toscana.

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