Quello a cui il Pd faceva schifo e l’ex segretaria di Totò Cuffaro. Il delfino dell’ex governatore condannato per favoreggiamento alla mafia e mister preferenza, che adesso qualcuno vorrebbe addirittura alla guida del partito. Sono le nuove facce del Partito democratico in Sicilia. A pochi giorni dalla clamorosa – per quanto annunciata – sconfitta alle elezioni regionali, per i dem è l’ora della resa dei conti. Non solo a Palermo, ma anche a Roma. Da una parte ci sono i renziani, che vorrebbero un redde rationem isolato ai vertici siciliani del partito. Come il sindaco di Siracusa, Giancarlo Garozzo, che ha impiegato poche ore dalla chiusura delle urne per chiedere le dimissioni da segretario regionale di Fausto Raciti. O come Davide Faraone, il sottosegretario che – mentre le tv diffondevano ancora solo gli exit pool – ha attaccato a testa bassa Pietro Grasso per aver rifiutato la candidatura a governatore.

Poi ci sono gli altri. Quelli che in campagna elettorale hanno malsopportato la clamorosa assenza di Matteo Renzi, con Fabrizio Micari mandato cinicamente a sbattere su una sconfitta praticamente impossibile da evitare. Il segretario questo lo sapeva benissimo e per questo motivo non si è praticamente fatto vedere sull’isola (a parte un paio di comparsate da pochi minuti): una partita che non si gioca e una partita che non si può perdere, era il ragionamento dell’ex premier.  “Dopo le regionali in Sicilia bisognerà riflettere. Le politiche sono tra sei mesi e non è detto che Renzi sia ancora segretario per allora”, sussurravano a poche ore dalle elezioni alcuni dirigenti isolani.

Maldipancia sotteranei diffusi tra le correnti di Dario Franceschini e Matteo Orfini, alleati di Renzi ma lasciati da soli in campagna elettorale. La sonora sconfitta come previsto è arrivata e adesso per il Pd si apre la resa dei conti. La notte dei lunghi coltelli è fissata di pomeriggio: lunedì prossimo alla direzione nazionale del Nazareno. Unico punto all’ordine del giorno: la disfatta siciliana. Solo che nel frattempo sull’isola i democratici si sono accorti a sorpresa di un piccolo particolare: la maggioranza dei consiglieri eletti in Parlamento regionale ha un passato non troppo lontano in partiti di centrodestra. Sissignore: nella regione appena riconquistata dalla coalizione di Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni anche l’opposizione di centrosinistra ha un dna tendente al centro, se non completamente a destra.

Il Pd, infatti, ha eletto all’Assemblea regionale siciliana 11 deputati. Nel 2012 erano 17, ma a fine legislatura erano arrivati ad essere 25 grazie alle campagne acquisti sponsorizzate dal renziano Faraone. Ed è proprio a causa di quelle annessioni di massa se oggi sono solo due gli eletti all’Ars in forza al partito sin dalla sua fondazione: si tratta dell’ex Margherita Giuseppe Lupo e dell’ex Ds Antonello Cracolici, entrambi titolari da anni di due seggi nel collegio di Palermo. Viene dai Ds anche Giuseppe Arancio, rieletto a Caltanissetta, così come ha guadagnato la riconferma a Trapani l’ex Ppi Baldo Gucciardi, assessore alla Sanità in carica. Per il resto la pattuglia di consiglieri regionali dei dem è un marmellata di storie politiche diverse. E in qualche caso molto distanti dal centrosinistra. Viene indicato come un renziano moderato Giovanni Cafeo, l’unico dem finito nella lista dei cosiddetti “impresentabili” stilata dal pentastellato Giancarlo Cancelleri in campagna elettorale per un avviso di garanzia.

Franco De Domenico, invece, è un dirigente dell’università di Messina arruolato per l’occasione, mentre si sono convertiti al Pd solo dopo l’ascesa di Renzi una serie di deputati che ora si candidano a guidare il partito in Sicilia. Come Luisa Lantieri, già componente della segreteria di Salvatore Cuffaro, amica di famiglia dell’ex governatore e da lui sostenuta alle europee del 2009. Eletta all’Ars nel 2012 con Grande Sud di Gianfranco Micciché è stata poi addirittura promossa assessore da Rosario Crocetta dopo lo sbarco nel Pd. Era un sostenitore di Cuffaro anche il giovane Michele Catanzaro: delfino dell’ex governatore si è convertito sulla via della Leopolda ed ha ottenuto l’elezione nel collegio di Agrigento battento una serie di uscenti con una storia politica saldamente ancorata a sinistra. A Ragusa è riuscito a farsi rieleggere pure l’ex sindaco Nello Dipasquale, per anni punta di diamante di Forza Italia. “Il Pd fa schifo” urlava urbi et orbi nei comizi solo pochi anni fa. Da qualche tempo, però, del Pd ha preso addirittura la tessera. Ha fatto anche l’assessore regionale con i dem Anthony Barbagallo detto Entoni, ex sindaco di Pedara con il Movimento per l’Autonomia, vincitore di un seggio a Catania. Nella città etnea, però, il ruolo di protagonista spetta di diritto a Luca Sammartino. Trentadue anni, ingaggiato dal sottosegretario Faraone e fedelissimo di Lorenzo Guerini, è cresciuto nell’Udc di Totò Cuffaro che lo ha eletto nel 2012 prima di convertirsi al verbo di Rignano. Al Pd ha portato in dote ben 32mila voti di preferenza, battendo ogni record precedente in una tornata elettorale segnata dal fortissimo astensionismo: elementi che fanno di Sammartino il nuovo golden boy dei dem sull’isola, l’uomo che molti renziani vedrebbero bene alla guida del partito.

Sono questi i nuovi uomini forti del Pd in Sicilia, quelli che dovrebbero fare opposizione al governo di Nello Musumeci mentre da Palazzo dei Normanni filtra già l’immancabile retroscena: Gianfranco Micciché eletto presidente dell’Ars con l’accordo dei dem, che in cambio otterrebbero una vicepresidenza. “L’opposizione non si può discutere, abbiamo fatto liste aperte a nuove energie che avevano la possibilità di giocarsela. Il problema non è da dove si viene ma dove si va”, dice il segretario Raciti, l’uomo di cui i renziani vorrebbero ricevere la testa su un piatto d’argento per potere agire in libertà nelle interlocuzioni col nuovo governo. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’ineffabile Salvatore Cardinale, il Richelieu di Luca Lotti sull’isola, leader di una lista fai-da-te – Sicilia Futura – che è stata fondamentale per garantire una maggioranza a Crocetta e ora ha riportato due deputati all’Ars: sono Nicola D’Agostino ed Edy Tamajo, eletti cinque anni fa con Mpa e Grande Sud di Micciché.

Anche a questo giro dovevano essere la stampella moderata del Pd, ma l’ex ministro frena. “Non è sicuro che ci iscriveremo al gruppo Pd. Non siamo camerieri di nessuno”, ha minacciato Cardinale in un’intervista all’edizione locale di Repubblica in cui chiedeva “una forte scossa da Roma. Chiediamo un Pd profondamente rinnovato. Una rifondazione. D’ altronde, mi sembra che il mandato di Raciti sia in scadenza. Abbiamo già chiesto un incontro a Renzi, poi faremo una riflessione”.  Parole affilate e chiarissime: se Renzi vuole ancora una sponda al centro, deve dare il benservito al suo massimo dirigente regionale. Non è un caso, infatti, che nella stessa intervista il leader di Sicilia Futura invitava ad andare a guardare “le storie politiche degli eletti del Pd”. “Non capisco perché Cardinale che fa parte di un altro partito chieda le dimissioni del segretario del Pd. Come il renziano Garozzo che invece in campagna elettorale ha sostenuto un candidato di Ap“, replica secco Raciti.  E in effetti l’impressione è proprio questa: in Sicilia il Pd è finito ostaggio di personaggi che col centrosinistra non hanno niente a che fare. E che sono pronti a liberarsi di ogni intralcio pur di dialogare proficuamente con le destre di Berlusconi o Salvini. D’altra parte non sarebbe neanche un tradimento: solo un semplice ritorno a casa.

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