“Da oggi in poi gli dovete dire che avete il “padrino” e ve l’ha dato Umberto Bellocco, senza nessuna (…) perché sono all’altezza di darvelo io personalmente”. Poche e semplici parole, ma pronunciate dal boss calabrese che insieme a Pino Rogoli ha dato vita alla Sacra Corona Unita, la quarta mafia che controlla la Puglia. Nessun rito e nessuna “punciuta”. Bellocco, capo della ‘ndrina di Rosarno in Calabria, ha elevato così a uno dei gradi più alti della carriera criminale il tarantino Dino Caporosso, arrestato questa mattina dai carabinieri del Ros di Lecce che insieme ai colleghi di Taranto hanno condotto l’inchiesta antimafia denominata “Lampo” che per il pubblico ministero Alessio Coccioli ha sgominato un clan di stampo mafioso che operava nella provincia e nel capoluogo ionico. Un nuovo tassello investigativo che conferma i legami forti tra le criminalità della Puglia e quella della Calabria già raccontati nell’ultima relazione della Dia.

Associazione mafiosa, traffico di sostanze stupefacenti, danneggiamento, rapina con l’aggravante del metodo mafioso, detenzione illecita di armi da fuoco e trasferimento fraudolento di valori. Sono i reati contestati a vario titolo dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce nei confronti delle 28 persone finite nel registro degli indagati. In carcere sono finiti in 11: il boss Cataldo Caporosso e poi Ivano Andresini, Cristiano Balsamo, Pietro Damaso, Gianvito Gentile, Valentino Antonio Laterza, Massimiliano Lovero, Mario Miolla, Michele Monaco, Tommaso Putignano e Riccardo Sgaramella. Agli arresti domiciliari è finito Emanuele Pignatelli mentre per il figlio del boss, Alberto Caporosso il gip ha imposto l’obbligo di firma.

L’inchiesta denominata “Lampo” è una costola dell’inchiesta “Sant’Anna” nella quale i carabinieri di Reggio Calabria hanno documentato quell’incontro avvenuto nella casa di Bellocco che da poco aveva lasciato il carcere dopo una lunga detenzione. Per gli inquirenti ionici “la promozione ricevuta sul campo” da Caporosso è il “segno di riconoscenza per la particolare attenzione avuta nei riguardi del capocosca rosarnese, ‘attenzione’ che altri delle organizzazioni mafiose della Piana avevano invece tardato a manifestare”. A questo dono, inoltre, il capomafia calabrese aggiunge anche il suo sostegno alle iniziative del gruppo ionico: “II nostro braccio sempre a disposizione (…) mi fa piacere, riportarlo (…) e di servirvi in qualsiasi momento anche noi”.

Dalle carte dell’inchiesta “Lampo”, inoltre, emerge come il clan pugliese di Caporosso si era infiltrato nella gestione di una parte del mercato ittico di Taranto gestendo un esercizio di vendita all’ingrosso e finito in uno scontro con i soci legati a un altro nome di spicco della criminalità ionica: Michele Boccuni. Le tensioni fra i due gruppi sfociano persino in una spedizione punitiva nella quale gli uomini di Caporosso entrano alle 8 del mattino nei locali e distruggono tutto con una motosega poi devastano il sistema di video sorveglianza e portano via l’hard disk che conteneva le immagini catturate delle telecamere di sicurezza. Ma l’inchiesta racconta anche delle mire del boss Caporosso che nelle regionali del 2015 aveva scelto di sostenere il candidato dell’Udc Antonio Scalera (che non è stato eletto, ma soprattutto non è assolutamente coinvolto nell’inchiesta). “Se noi a questo lo portiamo a (…) stiamo in prima fila! – spiega il boss a una persona a lui vicina ignaro di essere ascoltato dai militari – Non dobbiamo essere di scorta! Sennò… capito? Perché fino a mo, fine a mo’ i signori prendono eeehhh ci usano come ruota di scorta. Allora poi qualcuno che tiene il cervello un po’… Invece là noi dobbiamo stare in prima fila…”.

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