Colpo di scena. Angelino Alfano non sarà più né ministro e nemmeno deputato dopo le elezioni politiche del 2018. E non perché il suo partito non raggiungerà lo sbarramento. Al contrario il ministro più sfiduciato della legislatura quasi conclusa ha annunciato un clamoroso passo indietro: non si ricandiderà.   “Dal 5 di marzo, se si voterà il 4, non sarò ne ministro ne deputato. Ho scelto di non ricandidarmi in Parlamento perché ritengo che servano dei gesti per dimostrare che tutto quello che ho fatto e stato dettato da una responsabilità nei confronti dell’Italia”, ha detto il leader di Ap a Bruno Vespa durante la registrazione di Porta a Porta.

Negli stessi minuti in cui Giuliano Pisapia annuncia il ritiro dalla vita politica, dunque, un altro alleato di Matteo Renzi decide di farsi da parte. E lo fa a sorpresa annunciandolo in televisione senza prima averlo comunicato al segretario del Pd. “Non ho ancora parlato con Matteo Renzi della mia non ricandidatura alle Politiche, è una scelta molto personale. L’ho detto a mia moglie che condivide, anzi di più e a mio padre e a mia madre. Solo a loro tre”, confida a Vespa il ministro degli Esteri, mutuando un’espressione usata dal pentastellato Alessandro Di Battista per spiegare la sua scelta di non ricandidarsi: “Dimostrerò che si può fare politica anche fuori dal palazzo”.

Una frase che attirerà probabilmente più di qualche ironia sui social network. Fuori dai palazzi, infatti, Alfano non è che ci sia stato molto nella sua vita. Deputato regionale in Sicilia con Forza Italia dal 1996, ad appena 26 anni, è titolare di uno scranno a Montecitorio dal 2001. Per tre anni è stato ministro della giustizia con Silvio Berlusconi – dal 2008 al 2011 – poi ha recitato il ruolo di “leader senza quid” del Pdl incarnando una delle facce delle larghe intese dopo le politiche del 2013. Da lì in poi è stato ministro in perpetuo: agli Interni con Enrico Letta e Matteo Renzi, agli Esteri con Paolo Gentiloni. Cinque anni di dicasteri costellati dalla nascita del suo partito personale, il Nuovo Centrodestra (poi diventato Ap), ma anche da una serie di scandali. Da quello collegato all’espulsione di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, che gli era costata una prima mozione di sfiducia respinta dal Senato nel luglio del 2013, fino al business dell’accoglienza, con i centri spesso affidati a personaggi vicini al Ncd e il fido sottosegretario Giuseppe Castiglione finito sotto inchiesta per la gestione del Cara di Mineo

In mezzo le polemiche per l’assunzione alle Poste del fratello Alessandro, citato nelle intercettazioni dal faccendiere Raffaele Pizza, il fratello di Giuseppe, ex sottosegretario del governo Berlusconi, coinvolti nelle nell’inchiesta che nel luglio 2016 ha coinvolto anche il deputato di Ncd Antonio Marotta. Una serie di casi mediatici e politici che però non hanno mai influito sulla carriera del ministro originario di Agrigento. Diventato negli ultimi mesi sempre più l’alleato preferito di Renzi. Un dialogo che non ha portato certo bene a entrambi: da un lato una serie di esponenti di Ap già durante l’estate hanno laasciato Angelino per tornare alla corte di Berlusconi. Dall’altro al Pd non ha certo giovato l’abbraccio mortale con Alfano.

La prova generale del fallimento dell’unione tra i dem e Ap è arrivata alle elezioni regionali siciliane, dove il partito del ministro degli Esteri non ha superato lo sbarramento mentre il candidato governatore del centrosinistra Fabrizio Micari è arrivato soltanto terzo. Senza considerare che proprio l’interlocuzione tra il Pd e Alfano ha influito sulla nascita di Liberi e Uguali, la formazione unica di sinistra guidata da Pietro Grasso, e implicitamente anche sul ritiro di Pisapia. Adesso è molto probabile che i reduci alfaniani – in prima fila Roberto Formigoni e Maurizio Lupi – tornino agevolmente alla casa madre del centrodestra. “Massimo rispetto per la scelta di Angelino Alfano di non ricandidarsi. Ma la situazione resta: si sta ingrossando sempre più il gruppo per il quale il rapporto con il Pd è finito e che voterà conseguentemente. Se non si decidesse in questo senso nella prossima Direzione, la scelta di non proseguire più il rapporto con il Pd è stata comunque fatta”, annuncia già l’ex governatore della Lombardia, mentre gli altri esponenti di Ap non commentano l’annuncio a sorpresa del leader. “Mai con Alfano“, è una delle condizioni irrinunciabili dettate da tempo dalla Lega di Matteo Salvini. Ora che Alfano non c’è più, i suoi ex sodali potranno rientrare alla base. A Renzi e al Pd, invece, restano i 1.500 emendamenti prodotti dai parlamentari di Ap per bloccare il percorso del biotestamento al Senato. E un alleato che il segretario dem ha fatto di tutto per accontentare. E che invece adesso non intende neanche mettere la faccia sulla sua ricandidatura.

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