Erano riusciti “a inserirsi nel mondo imprenditoriale lombardo e nazionale, ottenendo contratti di appalti di rilevante valore economico e spessore simbolico”. Ma anche ad “allungare i tentacoli fino a lambire i vertici dell’amministrazione comunale meneghina”. Sono le parole con cui il gup Giusy Barbara si riferisce ai fratelli Alessandro e Nicola Fazio, a Luigi Alecci, Emanuele Micelotta e Giacomo Politi. Ai Fazio fanno capo alcune società attive nel settore della sicurezza, compresa quella del palazzo di Giustizia di Milano. I due sono finiti al centro dell’indagine presunte infiltrazioni della famiglia catanese in appalti della Lidl e della Securpolice e ora sono sotto processo con il rito ordinario.

Del loro ruolo, però, parla anche il gup nelle motivazioni delle condanne di altri 11 indagati che aveva scelto il rito abbreviato. Nel febbraio scorso, infatti, il gup Barbara aveva condannato undici persone, a pene che vanno da 1 anno e 2 mesi a 5 anni e 4 mesi. Tra loro anche un’ex funzionaria del comune di Milano, Giovanna Maria Afrone, condannata a tre anni.

Secondo il giudice, la “capacità di penetrazione” nella pubblica amministrazione degli imputati, i cui “capi” sono a processo mentre coloro che hanno fatto da ‘trait d’union‘ con il pubblico hanno patteggiato, è testimoniata dall’essere “riusciti ad entrare in contatto financo” con l’ex “comandante della polizia Locale di Milano Antonio Barbato (non indagato, ndr), il quale dagli atti di indagine risulta aver chiesto” ad Alessandro Fazio “il favore di indagare – tramite una società investigativa del gruppo – su un suo sottoposto”. Richiesta che “sarebbe ingenuo non ritenere” fosse avvenuta “con l’obiettivo da parte degli imputati di instaurare le condizioni per un futuro rapporto di ‘do ut des‘ vantaggioso per le società del gruppo e, conseguentemente, per l’intero sodalizio”.

*Aggiornato da redazione online alle ore 19 e 58 del 3 maggio 2018

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