Per una volta l’evento più importante di un viaggio papale non sono i discorsi del pontefice, ma i fogli di un documento che apre nuovi orizzonti nei rapporti tra cristiani e musulmani. Non è redatto nello stile della diplomazia internazionale, quando si fissano punti di comune interesse: un po’ come nella dichiarazione congiunta sottoscritta all’Avana nel 2016 da Francesco e Kirill a nome della Chiesa cattolica e del Patriarcato di tutte le Russie. Il documento di Abu Dhabi sulla “Fratellanza umana. Per la pace mondiale e la convivenza comune”, firmato il 4 febbraio da papa Francesco e da Ahmad Al-Tayyeb grande imam di Al-Azhar, è fuori dall’ordinario per il suo afflato e l’essere frutto elaborato di due millenarie tradizioni religiose.

Fin dall’inizio risuona un timbro che (per la storia cattolica) ricorda quasi un documento conciliare o un’enciclica: “La fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare”. L’Altro è un fratello da amare e la “Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi”. E’ la stessa volontà di Dio (e qui nel documento riecheggia una celebre sura del Corano) a volere il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua. Per questo “si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire ad una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano”.

La condanna ferma e ripetuta del fondamentalismo, del terrorismo, di ogni violenza e persecuzione, causata dalla strumentalizzazione della religione e del nome di Dio, nel documento di Francesco e Al-Tayyeb non è una dichiarazione d’emergenza ma il tassello di una visione di ampio respiro che affronta il ruolo positivo e propositivo delle religioni nell’epoca attuale. C’è persino un’eco esplicito del documento conciliare Gaudium et spes, laddove nel preambolo si parla della condivisione delle “gioie, tristezze e i problemi del mondo contemporaneo”. Così come si sente l’impronta e l’esperienza di vita del del filosofo e teologo Al-Tayyeb, formatosi alla Sorbona di Parigi e all’università di Friburgo in Svizzera.

Perché il documento, che per la firma del grande imam di Al-Azhar acquista il valore di punto di riferimento per centinaia di milioni di musulmani sunniti, indica valori ed esigenze fondamentali per dare concretezza alla “fratellanza umana” in un pianeta lacerato non solo da politiche di integralismo e di divisione, ma anche da “sistemi di guadagno smodato e da tendenze ideologiche, che manipolano le azioni e i destini degli uomini”.

La piccola enciclica di Abu Dhabi è un documento moderno, che unisce spirito religioso e concretezza geopolitica. Parla di pace, fame e diritto alla vita, parla di soccorso ai poveri, ai miseri, ai bisognosi, agli emarginati. Parla dell’ingiustizia socio-economica e dell’urgenza di una equa distribuzione delle risorse naturali. Parla di libertà e cittadinanza, della necessità di affermare il concetto di “piena cittadinanza” rinunciando all’uso discriminatorio del termine “minoranze”. E parla dei diritti delle donne: all’educazione, al lavoro, all’esercizio dei diritti politici. Ma anche del diritto della donna di liberarsi da “pressioni storiche e sociali” contrarie alla propria dignità e del suo diritto di essere tutelata dallo sfruttamento sessuale.

Si avvertono nel documento le tracce del lungo cammino di dialogo con l’Islam compiuto dalla Chiesa cattolica a partire dal Concilio e continuato con Giovanni Paolo II e Francesco. E sull’altro versante è visibile l’impronta dell’elaborazione compiuta dalle avanguardie più illuminate del pensiero islamico contemporaneo, a partire anche dall’appello “A common word /una parola comune” rivolto da un folto gruppo di teologi e pensatori mussulmani a papa Ratzinger e ai capi delle Chiese cristiane dopo l’infelice discorso di Regensburg di Benedetto XVI. Al tempo stesso il solenne appello alla riconciliazione, alla tolleranza, alla fratellanza – questi valori guida dell’Illuminismo e della tradizione democratica occidentale – non può lasciare indifferenti quanti hanno visioni filosofiche laiche. Riscoprire, come esorta il documento, i “valori della pace, della giustizia, del bene, della bellezza, della fratellanza umana e della convivenza comune” non riguarda forse gli eredi di quelli che furono chiamati gli immortali principi Liberté, Egalité, Fraternitè?

La domanda ora riguarda il dopo. Vale lo stesso che come a suo tempo per i documenti conciliari. L’appello di Abu Dhani può finire in qualche archivio oppure cominciare ad essere diffuso nelle realtà regionali e locali del mondo cattolico e musulmano e della società civile. E’ quello che auspica il documento stesso, rivolgendosi “agli intellettuali, ai filosofi, agli uomini di religione, agli artisti, agli operatori dei media e agli uomini di cultura”.

Ma c’è anche un risvolto che riguarda le politiche interne di vari paesi. Per restare all’Italia e toccare un problema preciso: se il vicepremier Salvini – ansioso di mettere piede nel palazzo apostolico per motivi elettorali – intende conquistarsi un appuntamento con il pontefice, dovrà misurarsi con i contenuti di questa Magna Charta. Eluderne i valori, è irrealistico.

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