Papa Francesco ha annunciato che dal 2 marzo 2020 si apre agli studiosi l’archivio segreto di Pio XII, il papa che durante la Seconda guerra mondiale non pronunciò un pubblico intervento contro lo sterminio degli ebrei. Non lo volle fare oppure prevalsero altri timori nella sua scelta del silenzio?

All’inizio degli anni Sessanta, il Vaticano aveva reso disponibile in 11 volumi un primo estratto documentale di appunti, corrispondenze e telegrammi dai quali emerge lo sforzo del papa per mitigare le atrocità belliche, tentando anche di dissuadere il governo italiano dall’entrare in guerra. Con l’avanzare del conflitto, e in maniera chiara già dal 1942, il papa dispone delle informazioni dei nunzi apostolici dell’Europa orientale e dei capi delle Chiese ortodosse di Lituania e Ucraina sulle politiche di annientamento nazista praticate in quei territori. Il lavoro svolto dal pontefice appare di natura riservata, all’interno di un ambito diplomatico di cui ne sono testimonianza le rimostranze del nunzio apostolico a Berlino.

Pio XII poteva spingersi oltre questa attività riservata? L’intervento papale non avrebbe fermato l’industria del massacro, ma avrebbe elevato il prestigio della Chiesa inducendo i suoi fedeli a più conseguenti comportamenti. Questo è vero in termini astratti, ma le considerazioni che hanno mosso le scelte di Pio XII sono state altre. È parte dei suoi comprensibili tentennamenti un desiderio di neutralità che, nel precipitare della catastrofe, è una strada impercorribile. Da un lato il prete cattolico slovacco Joseph Tiso che vorrebbe deportare 80mila ebrei, in linea con il nazismo antisemita del governo cattolico croato; sull’altro versante, l’Unione Sovietica – che stava combattendo l’orrore nazista – restava il nemico principale.

Si temeva che una pubblica denuncia potesse portare a conseguenze di aperta persecuzione nei confronti della Chiesa, oltre a spaccare il cattolicesimo nel mondo. I regimi autoritari – con tratti fascisti – di Spagna e Portogallo hanno nella Chiesa un appoggio fondamentale e cattolica è pure la Francia collaborazionista di Vichy. Eppure i vescovi olandesi hanno saputo assumere decisioni coraggiose quando, nel 1942, pubblicano una lettera pastorale contro le ingiustizie e le persecuzioni contro gli ebrei.

Dai documenti diplomatici vaticani (come ha mostrato l’importante libro di Giovanni Miccoli, I dilemmi e i silenzi di Pio XII) affiora una graduazione di priorità, rivolta a salvaguardare gli ebrei convertiti al cattolicesimo, il cui destino andava disgiunto dagli altri.

La comunità cattolica italiana ha operato attivamente per salvare svariate centinaia di ebrei, come racconta Liliana Picciotto nel suo libro Salvarsi. Sarà interessante verificare dai nuovi documenti se ai vescovi siano giunte indicazioni per proteggere gli ebrei o se questi comportamenti, come attualmente crediamo, siano frutto di un istintivo sentimento umanitario sopravvissuto alle brutalità.

I nuovi documenti che saranno messi a disposizioni andranno a interagire con gli importanti apparati archivistici già a disposizione. Fra gli altri, quelli della Kommission für Zeitgeschichte della Conferenza episcopale tedesca e, per quanto riguarda l’Italia, le carte del Centro di documentazione ebraica contemporanea.

Restano ancora scolpite le parole di papa Giovanni Paolo II quando il 2 settembre 1999 chiese perdono per la latitanza della Chiesa in difesa dei diritti umani e per la compiacenza verso il totalitarismo. Nei mancati pronunciamenti di Pio XII ha esercitato un ruolo rilevante l’antisemitismo cattolico. Nel gennaio 1945 dalla Radio Vaticana si affermava: “i veri ebrei sono in realtà coloro che diventano cristiani. Gli altri, anche se conducono una vita encomiabile, sono privi dell’illuminazione divina”. Quanti contenuti, fra le nuove carte, mostreranno comportamenti non in linea con queste parole?

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