La proiezione di Fiore gemello – storia d’amicizia e amore fra due adolescenti che lottano per riscattare la propria vita da un passato violento – ha aperto la 29esima edizione del Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina, importante appuntamento milanese, fino al 31 marzo, con il cinema di tre continenti (www.festivalcinemaafricano.org). La regista Laura Luchetti ha scelto come attori due giovani, Kallil, arrivato dalla Costa d’Avorio e Anastasiya, nata in Ucraina, che hanno trasmesso qualcosa del loro vissuto personale ai protagonisti del film, Basim e Anna.

Fiore gemello fa parte della sezione “Flash”, dedicata alle anteprime di registi affermati.

Otto pellicole, fra le quali il coinvolgente Ancora un giorno, adattamento dell’omonimo capolavoro del giornalista e scrittore Ryszard Kapuściński, che racconta la liberazione dell’Angola negli anni 70 attraverso sequenze di animazione, create dal polacco Damian Nenow, alternate alle interviste ai veri protagonisti del regista Raúl de la Fuente. E Yommeddine, della stella nascente del cinema egiziano Abu Bakr Shawky, improbabile viaggio di un anziano lebbroso e di un orfano nell’Egitto profondo.

“Finestre sul mondo” è la selezione di dieci lungometraggi, tutti in prima nazionale, che concorrono al premio Comune di Milano: Freedom fields, diretto da Naziha Arebi, ha come protagoniste le giocatrici di una squadra di calcio femminile libica, deluse dalla rivoluzione che prometteva libertà e  invece ha portato la Shari’a rendendo la Libia un paese ancora più isolato e arretrato. In Divine wind, dell’algerino Merzak Allouache, un uomo e una donna attendono in mezzo al Sahara di compiere un attentato a una centrale petrolifera. Ambientato nel selvaggio deserto Karoo in Sudafrica, Flatland racconta, tra western e poliziesco, le avventure di tre donne in una società ancora patriarcale e razzista.

Molto partecipata, con 22 titoli, la sezione “Extra” dedicata a film di registi italiani che si confrontano con altre culture: Kibera di Tommaso Cotronei si svolge in una baraccopoli di Nairobi; Soyalism di Stefano Liberti e Enrico Parenti descrive i danni della monocultura della soia e della produzione alimentare diventata un enorme affare per poche multinazionali; Le Vietnam sera libre è un viaggio nella memoria raccontato da Cecilia Mangini, prima documentarista italiana, grazie al ritrovamento dei negativi di foto scattate durante la guerra in Vietnam; sempre attraverso foto e ricordi dei nonni in My home, in Lybia, Martina Melilli ricostruisce l’atmosfera di Tripoli nel dopoguerra, paragonandola a quella attuale che le viene descritta da un giovane libico contattato sui social media.

Alla storica sezione “cortometraggi africani” – dieci i corti selezionati, fra cui il pluripremiato Brotherwood della tunisina Meryam Joobeur – si aggiungono quest’anno, fuori concorso, “Hidden dragons”, mini rassegna di film cinesi in collaborazione con il Festival di Pingyao.

Per tutta la settimana il Festival Center (al casello ovest di Porta Venezia) ospita la mostra fotografica Magic Cube dell’artista italo-senegalese Adji Dieye e l’installazione #IAmAnas, oltre a presentazioni di libri, incontri all’ora del tè con i registi, workshop e degustazioni.

Importante novità, la zebra prismatica simbolo del Fescaaal quest’anno si sdoppia in due. Con gli occhialoni neri e un ciuffo ribelle diventa anche il simbolo della prima rassegna MiWorld Young Film Festival, interamente dedicata alla scuola: 4 lungometraggi e 8 cortometraggi africani, scelti fra i più interessanti per il mondo giovanile, saranno presentati ogni mattina a una platea di 2500 studenti.

Buon Festival!

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