“Portiamo i bambini al mattatoio”. Le nuove frontiere della militanza vegana

Antonio Gurrado

La proposta inglese e un cortocircuito pol. corr. in Svizzera

Sul quotidiano britannico Guardian è apparsa la proposta di portare i bambini in gita scolastica ai mattatoi. Chas Newkey-Burden, corsivista militante vegano, la ritiene necessaria contromisura alla retorica pubblicitaria della felicità degli animali sulle etichette: per dire, latte più sano o uova più gustose perché usciti da mucche o galline gioiose. Lo irrita in particolar modo che McDonald’s regali il pupazzetto di una mucca sorridente ai bambini che mangiano un hamburger, e chissà come lo sconvolgeva quel gadget della Simmenthal che consentiva di sentir muggire direttamente dalla scatoletta (per gli animalisti, preciso che all’interno non si trovava una mucca viva bensì un marchingegno acustico che funzionava capovolgendo il giocattolino). La gita al mattatoio, sostiene, sarebbe “real education”, un modo per istruirli per davvero. Proprio come sui banchi si apprendono nozioni incontestabili di matematica e grammatica, la gita al mattatoio trasmetterebbe una conoscenza preclusa agli ignoranti. Newkey-Burden argomenta inoltre che i bambini dicono sempre la verità quindi la loro innocenza va protetta; se pertanto assistessero alla macellazione, sceglierebbero di mangiare un’insalata anziché un petto di pollo non perché si sentirebbero più buoni ma perché la loro azione aderirebbe meglio alla realtà.

    

Questa proposta deriva da un’idea di Tom Heap, presentatore del programma “Countryfile” su Bbc1, il quale ha auspicato che mattatoi o centri di allevamento intensivo di suini o di pollame diventino come grandi acquari, luoghi dai muri di vetro attraverso cui osservare la crudezza dell’attività produttiva. Heap suggerisce di installare una webcam a ogni stadio della filiera (a onor del vero, il programma elettorale dei Tory parlava di telecamere a circuito chiuso nei mattatoi ma non se n’è fatto nulla) e di inserire sulla confezione un link che consenta di osservare a quale costo sia giunto sulla nostra tavola quello specifico cosciotto, quell’esatta bistecca, quel medesimo uovo che stiamo mangiando.

   

Vomiteremmo, certo, ma giova sottolineare che si tratta dell’ennesima riproposizione del mito delle pareti trasparenti come garanzia etica. Mito poiché nessuna parete è davvero trasparente, stante che l’osservazione influenza sempre l’osservato, e soprattutto poiché si basa su un antico paralogismo: sono convinto della mia idea, essa si basa su un elemento, se dunque dimostro quest’elemento chiunque sarà convinto della mia idea, in barba a tutte le sfumature e concause. E’ interessante come la militanza vegana stia slittando dalla finalità etica allo stadio ontologico/veritativo. La sua vulgata prima assolutizzava il principio del male minore – l’auspicio di far soffrire il meno possibile gli animali implicava l’imperativo di non farne soffrire nessuno mai – mentre ora si pone come criterio generale di interpretazione del mondo. Il mondo è la totalità dei fatti e i fatti impongono di essere vegani, chi mangia carne nega l’evidenza quindi è un ipocrita.

   

Si creano per questo singolari cortocircuiti. Sul sito di Tempi, ad esempio, trovate la storia degli assalti dei vegani svizzeri non solo a tradizionali macellerie e ai soliti trucidi McDonald’s ma anche a due kebabbari. Se non che i vertici ginevrini dell’associazione per l’eguaglianza animale hanno invitato i militanti ad astenersi dall’assalto ai kebabbari per evitare ogni sospetto di islamofobia. Dal momento dunque che i vegani si pongono come soli interpreti corretti della verità del mondo, un fattore che possa incrinare l’oggettività della loro visione (l’eventuale islamofobia) pesa più del principio etico del male minore, che dovrebbe tener conto che la macelleria halal è più crudele in quanto prevede sgozzamento e dissanguamento di una bestia non stordita. Ecco, una gita scolastica in Svizzera o negli altri luoghi in cui i vegani minacciano l’umanità sarebbe altrettanto istruttiva, magari dopo una lezione sulla salute delle generazioni che non avevano abbastanza carne di cui nutrirsi. Ma, com’è noto, quando si è convinti di avere ragione non tutte le verità sono uguali.