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Gli ebrei e il Fascismo

Maurizio Stefanini

Breve ripasso di De Felice e della storia degli ebrei sotto il fascismo a beneficio degli ultrà di oggi

Un recente articolo che il Foglio ha pubblicato con il titolo “Faccette nere?”, dedicato agli equivoci del razzismo italiano, ha generato, in molti lettori anche di cultura elevata, qualche reazione di stupore. A proposito dei trascorsi “filo-ebraici” del fascismo prima del 1938. “Sono cose che ignoravo completamente”, ha commentato più di un lettore. Reazione significativa, anche se, al solito, non c’è nulla di più inedito dell’edito. E’ infatti tutto scritto nella “Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo”, anno di pubblicazione 1961. Non è forse uno dei libri più noti di Renzo De Felice, eppure è un titolo fondamentale. Fino a quel momento, l’allora appena trentaduenne storico – che aveva militato nel Pci fino alla Rivoluzione ungherese – si era occupato soltanto di giacobinismo. Furono le comunità israelitiche a commissionargli quel testo, e lui affrontò il lavoro immaginando da principio di dover raccontare del regime antisemita che varò le leggi del 1938. Invece scoprì sui documenti una realtà complessa e assai diversa, che un po’ tutti avevano trovato comodo dimenticare per un lungo periodo. Imbarazzante per gli antifascisti ricordare che prima del 1938 la maggior parte degli ebrei italiani aveva appoggiato il regime con slancio. Ma imbarazzante anche per i nostalgici ricordare il cinico voltafaccia del duce. De Felice decise che forse c’era materia per verificare di nuovo sui documenti tutta la storia del fascismo. Ne venne fuori un’opera monumentale, tacciata da molti di riabilitazione del Ventennio.

 

Spesso a sproposito, De Felice è in effetti ancora oggi citato dai vari rivalutatori del fascismo che stanno spuntando un po’ ovunque. Qualcosa della “Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo” sembra aver orecchiato ad esempio il leader di CasaPound Simone Di Stefano, che in un recente intervento in tv ha ricordato come “la comunità ebraica, fino alle leggi razziali, aveva partecipato attivamente, almeno in larga parte, alla rivoluzione del fascismo, con ministri come Guido Jung, offrendo martiri squadristi caduti nella marcia su Roma, Ettore Ovazza e via dicendo”. Ma solo qualcosa: perché De Felice ricordava appunto come il fascismo prima del 1938 fosse stato non solo filo-ebraico ma anche filo-sionista, fino a offrire addestramento militare ad alcuni militanti sionisti su una nave che fu la prima nella storia a sventolare la bandiera israeliana: anche quella foto è nella “Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo”. C’entra qualcosa, in questa dimenticanza, la notoria vicinanza tra CasaPound e Assad? Non solo CasaPound, peraltro. A volo d’uccello le cronache recenti ci offrono ad esempio la citazione mussoliniana di Salvini su Facebook: “Tanti nemici. Tanto onore”. E Giorgia Meloni che intitola a Italo Balbo una via del festival Atreju: ma peraltro c’è tuttora una Balbo Drive a Chicago, con annesso monumento al trasvolatore atlantico. Per l’ex capogruppo dei Cinque stelle in Campidoglio Paolo Ferrara, “Marcello Foa sarebbe stato un ottimo presidente della Rai ma loro, come diceva Benito Mussolini, vogliono diventare padroni di un paese di servitori”. Ed elogi sugli “indistruttibili” ponti del fascismo sono fioccati dopo il crollo di quello di Genova. Ma, appunto, la biografia di Renzo De Felice distingueva il Mussolini rivoluzionario, fascista, duce, alleato. Passaggio dal filo-sionismo alle leggi razziali a parte: Mussolini partì anticlericale, fece il Concordato, e a Salò ci fu poi chi sognò addirittura una riforma scismatica della chiesa. Iniziò come “tendenzialmente repubblicano”, portò al re l’Italia di Vittorio Veneto, e fece poi una “Repubblica Sociale”. Nacque socialista, affidò l’economia al liberista De Capitani, inventò l’Iri, finì con la socializzazione. Nel 1915 condusse la campagna per la guerra alla Germania; nel 1934 mandò al Brennero le truppe per fermare l’Anschluss; due anni dopo proclamò l’Asse Roma-Berlino. Balbo era amico dell’America, Dino Grandi era filo-inglese: Mussolini dichiarò guerra alle “demoplutoanglocrazie”. Insomma, ognuno può pescare nel repertorio del fascismo quello che vuole. Del resto la disinvoltura ideologica e programmatica non è anche alla base del governo gialloverde?

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