Andrea Orlando. Foto LaPresse

Il tempo (politico) perso sulle carceri

Redazione

La riforma non si farà più. Colpa del giustizialismo, sì. Ma Orlando che faceva?

Com’era previsto e prevedibile, la Conferenza dei capigruppo ha rifiutato di affidare alla commissione speciale (che sostituisce le commissioni ordinarie che saranno costituite solo dopo la formazione di un nuovo governo) il compito di esprimere un parere, peraltro puramente consultivo, sulla riforma penitenziaria che contiene importanti punti sulle misure alternative al carcere. Un Parlamento dominato dalle formazioni che erano all’opposizione dei governi di Matteo Renzi e di Paolo Gentiloni difficilmente avrebbe scelto di implementare una riforma approvata da una maggioranza che non c’è più. D’altra parte le pulsioni giustizialiste del Movimento cinque stelle e della Lega sono state un elemento portante della loro campagna elettorale.

Con l’argomento, in sé giusto, della certezza della pena, si contrabbanda il rifiuto di contrastare concretamente la degradazione della condizione carceraria alla quale la legge tentava di dare qualche sollievo. E’ proprio l’adozione di misure alternative al carcere uno degli obiettivi polemici su cui si è diffuso il procuratore Nino De Matteo nella cerimonia grillina di commemorazione di Casaleggio. Se sono deprecabili queste posizioni ostruzionistiche che intendono impedire l’applicazione di una norma di civiltà giuridica, è difficile tacere dalla responsabilità del Guardasigilli Andrea Orlando, che invece di impiegare gli ultimi mesi della legislatura appena conclusa per completare l’iter di una riforma che aveva apertamente sostenuto, li ha dedicati a una peraltro sterile campagna autolesionistica contro il segretario del suo partito. Davvero un bel capolavoro.

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