Matteo Salvini e Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Lega e M5s: chi è l'alligatore? Salvini e Berlusconi? Paragone impossibile, caro Staino

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Prima di giudicare lasciateli vomitare.

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Staino è un artista e persona sincera. Non capisco come non sappia valutare, con la sua sensibilità, la differenza tra il Berlusconi del 1994 e seguenti e Salvini 2018 (vedi il brano della sua intervista pubblicato ieri qui). Il tifo per la libertà e l’orgoglio della società civile furono in Berlusconi lo strumento per incarnare il maggioritario, finché è durata, salvare la roba sua dalle grinfie degli espropriatori e delle loro burocrazie illiberali, mandare in onda una tv istupidente ma in senso dolce e civile, non tutti possono leggere Kant alla sera, che poi è una lettura pesante. E’ stato amato e perseguitato per vent’anni. Monetina dopo monetina, fino ai comizi dei minorenni intonati al moralismo peloso dei maggiorenni, e non ha mai rinnegato la calda amicizia e complicità politica e finanziaria con Craxi, il gigante politico di cui fu il tycoon di sfondamento. Voleva portare Putin nella Nato, non l’Italia fuori dall’Europa e nell’orbita del G3+1 (Trump, Putin, Xi più il recente Kim). Ne ha dette e ne ha fatte di mattane, e non sapeva governare esecutivi e coalizioni politiche, ma amava la “furbizia orientale” delle odalische, non è mai stato minaccioso per nessuno, tantomeno gli avversari e i negher. Salvini è il suo esatto opposto. In tutto e per tutto, tra Forza Italia! e Prima gli italiani! c’è un abisso, e pazienza se allo stremo il Cav. gli ha dato l’autorizzazione a essere quel che è, in compagnia di quegli asini a cinque stelle, pazienza. Ne ha passate tante, il mondo è cambiato, non mi sembra gran che in meglio, e credo che se ci ripensi un secondo soltanto anche Staino potrebbe dire di non aver mai avuto paura di Berlusconi, che ha fatto ballare all’Italia una ventennale deliziosa lap dance, mentre questi ballano da soli e contro tutte le cose migliori di questo paese sequestrando la scorrettezza felice d’un tempo a vantaggio della cupa logica del vaffanculo e della ruspa. Con amicizia e una monetina affettuosa per Staino.

Giuliano Ferrara

 

Al direttore - Ho apprezzato il Manifesto di Michele Salvati per una rifondazione del Partito democratico attraverso il congresso e la promozione di una leadership rinnovata. Tuttavia, anche per i dem vale la regola del primum existere. In sostanza, fino a ora, il maggior partito di opposizione non ha trovato il tempo e il modo di interrogarsi sulle ragioni di una serie di clamorose sconfitte culminate nel disastro del 4 marzo. E non ha nemmeno deciso che cosa fare. Un piccolo segnale di permanenza in vita il Pd lo ha dato nelle poche ore in cui si è trattato di solidarizzare con Sergio Mattarella incautamente minacciato di impeachment. Poi è stato colto di sorpresa, nelle ore della crisi dell’Aquarius, dal blitz di Matteo Salvini, il quale è riuscito a trasformare un’azione vergognosa e vile in un successo politico. Come ha scritto Tommaso Nannicini, sul Foglio, “di fronte alla gravità della crisi politica, è giusta la chiamata alle armi (metaforiche) di chi vuole salvare il paese dall’avventurismo sfascista di Lega e 5 stelle. Ma non servono girotondi. Serve buona politica. Azione, non agitazionismo”. D’accordo; ma quando la coalizione gialloverde comincerà a governare, il Pd sarà chiamato – senza cadere in tentazioni – a dire dei no alla manomissione della riforma Fornero, alla istituzione del reddito di cittadinanza e a quant’altro di fantasioso sta scritto nel contratto. Per opporsi a queste misure occorrerà schierarsi fino in fondo con la Ue, sfidando un clima di patriottismo da bar sport. Diventerà, allora, necessario far dimenticare agli italiani che, da premier, Matteo Renzi è stato il primo ad avviare la polemica contro l’austerità, a proferire minacce e ritorsioni, a umiliare l’establishment europeo con nomine discutibili a posti di alta responsabilità, a sprecare in mance elettorali l’ammontare di risorse che l’Unione aveva riconosciuto in nome della flessibilità.

Giuliano Cazzola

 

Al direttore - Dicesi “avanspettacolo”: “Forma di spettacolo abbreviato per intrattenere il pubblico in sala in attesa del film…”. Il governo Conte, messo su alla bene e meglio, fatto di comparse e un solo promettente attor giovane, servirà al cinico Salvini, per il tempo che ci separa dalle prossime elezioni, quale palcoscenico per accrescere la propria visibilità, il proprio consenso, necessari a presentarsi sulla scena politica che verrà come “primo attore” del nuovo schieramento di destra del nostro paese. Nel frattempo, anche l’occasione di ridicolizzare con sprezzo, come quotidianamente fa nelle piazze, la debolezza della nostra “casta politica”, del Parlamento, della sua stessa imbelle e muta “compagnia”, delle istituzioni internazionali prime quelle europee. Un avanspettacolo grottesco che piace al pubblico e non sortirà gran che, ma che rischia di creare molti follower anche per il dopo. Urge attor giovane e storytelling per i democrats.

Dino Bartalesi

 

Nelle grandi coalizioni, l’azionista grande, di solito, si mangia come un alligatore l’azionista piccolo, rubandogli molti voti e imponendo la propria agenda. Finora in Europa è andata sempre così. In Italia, invece, per la prima volta potrebbe avvenire il contrario: l’azionista piccolo, facendo leva sull’incapacità dei colleghi, potrebbe mangiarsi l’azionista grande. Direte: e come si fa a capire chi è tra i due azionisti di governo quello più forte con più margini di manovra? Provate a rispondere a questa domanda: chi è tra Salvini e Di Maio che in prospettiva non può permettersi di far cadere il governo? Chi è costretto a governare a tutti i costi, di solito, è chi alla fine della legislatura verrà mangiato dall’alligatore.

 

Al direttore - Ieri sono stata accusata da Luciano Capone, sul suo giornale, di non aver dato spazio a una lettera, firmata da numerosi accademici, molto critica nei confronti di un mio video e articolo pubblicati nei formati digitale e cartaceo del Corsera il 30 maggio scorso. Il tema riguardava il debito pubblico e la proposta di “assicurarlo”, portata avanti da quattro noti economisti italiani. Non ho ritenuto di pubblicare la lettera perché contesta genericamente tutto senza entrare nel merito, ma ho offerto uno spazio in diretta Facebook agli estensori della critica e agli ideatori della proposta sul debito, affinché la forza delle reciproche argomentazioni chiarisse i punti controversi. Un confronto che avrebbe anche potuto diventare un articolo per il cartaceo. Purtroppo la loro risposta alla mia disponibilità ad approfondire è stata negativa in quanto mi considerano parte in causa. Motivo per cui alla fine ho deciso di pubblicare l’intero carteggio, che purtroppo poco chiarirà a un comune lettore. In breve: c’è un mondo accademico che ha fatto una raccolta firme contro l’esposizione di un’idea, e pretende rettifica perché l’idea non è conforme alla loro; un mondo accademico che di fronte alla disponibilità ad approfondire “l’idea” attraverso il confronto fra le parti, pretende di escludermi, in quanto autrice del pezzo in questione. Se il tema fosse di interesse, mi risulta invece che domani gli artefici della proposta sul debito – che i firmatari della lettera hanno a lungo sostenuto non esistere – presenteranno il documento all’Università Sant’Anna di Pisa.

Ci tengo a precisare che non godo di immunità, basta leggere le risposte e le repliche ai vari articoli pubblicati. Per quel che riguarda la solidarietà dei partiti, ringrazio, ma oggi, come in passato, non so davvero che farmene.

Milena Gabanelli

 

Risponde Luciano Capone: Quella riportata ieri non era una “accusa” ma una notizia, peraltro confermata ora dalla diretta interessata: Milena Gabanelli aveva deciso di non rendere pubblica una dura critica a un suo articolo da parte di sessanta autorevoli economisti perché, così aveva deciso, “contesta genericamente tutto senza entrare nel merito”. In realtà le contestazioni sono precise e circostanziate, riguardano più che “un’idea” fatti erronei, affermazioni non veritiere, fonti non verificabili e quindi la qualità e la correttezza dell’informazione. Di questo può rendersene conto chiunque adesso che, dopo l’articolo del Foglio, Gabanelli ha deciso di pubblicare le lettere dei sessanta economisti.

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