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Il patto di desistenza fra Rossi e il Pd in Toscana

David Allegranti

“Io non sono il nemico del Pd. E il Pd non è il mio nemico”, ha detto il presidente della Regione, che così lavora all'accordo per le prossime elezioni politiche 

Roma. Pd e LeU sono in conflitto permanente ovunque, tranne in Toscana. Almeno queste sono le premesse di un’intesa cui stanno lavorando Enrico Rossi e i vertici toscani del partito di Renzi. “Io non sono il nemico del Pd. E il Pd non è il mio nemico”, ha detto qualche giorno fa Rossi partecipando alla conferenza programmatica regionale del suo ex partito. Il presidente della Regione e il Pd vorrebbero trovare un accordo sui collegi per le prossime elezioni politiche. Rossi, che resterà governatore e non si candiderà alle Politiche, ha spiegato ai dirigenti renziani di volersi adoperare per evitare strappi e conflitti nei collegi in cui il Pd è più debole. La mappa della Toscana, che pure è una delle regioni più sicure per il centrosinistra insieme all’Emilia, presenta infatti delle difficoltà da non sottovalutare. I renziani puntano a conquistare circa 30 seggi su 56 in totale. Nello specifico, secondo i numeri del partito, l’obiettivo è 10 seggi su 14 alla Camera all’uninominale e 6 su 7 al Senato, sempre all’uninominale. Il resto va conquistato al proporzionale. Scendere sotto queste soglie sarebbe considerato un brutto risultato. I collegi più a rischio sono Massa-Carrara e Grosseto, dove il Pd parte in svantaggio, mentre in tre se la gioca: Lucca, Pisa città e Arezzo. Gli altri invece sono ritenuti sicuri. Soprattutto se dovesse mantenersi intatta l’armonia con Rossi, che è finalizzata anche alle amministrative dell’anno prossimo (vanno al voto, fra le altre, Siena e Pisa).

   

Ma che ne pensano i compagni di partito di Rossi del suo patto di desistenza? “La desistenza – dice al Foglio Paolo Fontanelli, deputato di Mdp ed ex sindaco di Pisa – mi sembra tecnicamente impossibile, con questa legge. A meno che una delle due parti non rinunci a presentarsi nel proporzionale. Altra cosa è cercare di evitare scontri ‘sanguinosi’. Tuttavia l’interesse di ciascuno è presentare candidature conosciute e ‘forti’ nell’uninominale perché si ritiene che possano fare da traino anche del voto alle liste. Ma nella sostanza la preminenza del voto è sul proporzionale”. Insomma, le candidature andranno bilanciate bene.

   

“In Toscana di solito siamo 10 punti sopra alla media nazionale, quindi se il Pd oggi è al 24-26, noi siamo al 34-36”, spiegano da via Forlanini, Firenze, dove c’è la sede del partito toscano. La situazione dunque sarebbe differente da quella dell’Emilia, dove infuria la lotta “collegio per collegio” auspicata da Roberto Speranza. Nell’altra regione rossa, LeU è competitiva perché vuole schierare Vasco Errani a Ravenna e, forse, Pier Luigi Bersani a Bologna. In Toscana invece i problemi maggiori nascono dentro il Pd, tra la vicenda Banca Etruria, che avrà ripercussioni anche sui collegi (Maria Elena Boschi dove sarà candidata? Nella rischiosa Arezzo oppure no?), e le aspirazioni di qualche assessore regionale della giunta Rossi, come per esempio i Democratici Stefania Saccardi o Vincenzo Ceccarelli.

  

Il governatore su questo è molto chiaro (e d’altronde il Pd era stato altrettanto chiaro su una sua eventuale presenza alle Politiche del prossimo anno, minacciando di toglierli il sostegno in consiglio regionale): “Il giorno stesso in cui un mio assessore accettasse la candidatura” alle elezioni “sarebbe gradito che passasse a consegnarmi una lettera di dimissioni, perché così posso sostituirlo. In generale però sono perché la squadra che parte arrivi pure”, ha detto Rossi. Insomma, “a me piacciono i miei assessori. Questa è la mia preferenza. Vorrei continuare fino alla scadenza naturale del mandato con questa squadra”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.