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L'acqua che va per gli orti di Bersani non sarà, per caso, apparenza?

Marianna Rizzini

Per l' ex segretario Pd e padre fondatore di Mdp potrebbe essere un momento magico 

Roma. Sogno o son desto? Questo il dubbio che potrebbe ora attraversare la mente di Pierluigi Bersani, ex segretario Pd poi padre fondatore di Mdp nonché personalità di spicco di Liberi e Uguali. Ci sono infatti attimi fuggenti in cui l’acqua sembra andare per l’orto (anche se non è detto sia vero) e questo è uno di quei momenti per l’ex ministro dello Sviluppo del governo Prodi II. Sono giorni, infatti, che la natura della scena politica s’è fatta apparentemente benigna con l’uomo che, cinque anni or sono, non fu sconfitto alle primarie contro Matteo Renzi. Capita cioè – e tutto insieme – che il sondaggio alluda sorridente ai tempi andati (“Pd più basso di quando c’era Bersani”, dicono i titoli) e che Luigi Di Maio, candidato premier per il M5s, se ne esca con la frase che riabilita il Bersani tanto vituperato del cosiddetto scouting (l’opera di ricerca intensiva quanto vana di grillini volenterosi che, nell’ormai lontanissima primavera 2013, fossero disposti ad accordarsi con Bersani su pochi punti programmatici comuni per un governo periclitante ma di grandi cambiamenti): se non raggiungiamo il 40 per cento, cercheremo una “convergenza” sui temi, ha detto Di Maio. Tutto miele per Bersani – che aveva già ricordato, di fronte a quelle che sono state chiamate “prove di dialogo” tra Cinque stelle e sinistra-sinistra – che lui “restava quello dello streaming”.

  

E improvvisamente, di fronte alla prospettiva della concordia attorno alla figura del Pietro Grasso appena incoronato leader dei Liberi ed Uguali, pareva riabilitata persino la giornata del marzo 2013 passata alla storia come prova bersaniana di surreale sforzo di convincimento degli inconvincibili (e malmostosi) portavoce grillini d’antan Roberta Lombardi e Vito Crimi. “E’ una cosa seria, non lasciamo il paese senza soluzione… siate responsabili”, diceva Bersani mentre Crimi pareva sonnecchiare e Lombardi pareva insolentire (era soltanto timidezza, dirà poi). “Date a noi l’incarico”, dicevano i Cinque stelle, mentre Beppe Grillo, sul suo blog, lanciava anatemi in parolaccia. E lo scenario anti renziano di oggi dev’essere parso un quasi ribaltamento di quei giorni mesti, tanto che l’ottimismo ha ripreso piede, come la fiducia bersaniana nelle “idee proposte con umiltà” e nella “tranquilla disponibilità” spesa senza frutti cinque anni fa. “Se vorranno discutere significa che avranno deciso di cambiare e sarà un bene per la democrazia”, ha detto poi l’ex segretario pd. Mentre Davide Zoggia sottolineava il punto chiave del wishful thinking targato sinistra-sinistra: “Su alcuni temi è indubbio che siamo più vicini a M5s che al Pd renziano. Penso alla tutela dei consumatori, ma anche sui diritti del lavoro alla fine i grillini sono più sensibili dei dem”. E Pippo Civati, leader di Possibile ed esponente storico del tentato accordo sinistra-Cinque stelle, diceva che “per loro noi siamo un osso duro, perché attraiamo molto i loro elettori. Per chi fa dell’onestà un marchio, diciamo che anche Grasso può dire la sua”.

 

Certo, restano le differenze di vedute sullo ius soli, per esempio, ma al momento il sogno resiste, anche rafforzato dalla speranza di trovare slancio nella Puglia un tempo vendoliana, dove Bersani si aspetta, come ha detto ieri a Bari, “cose buone per Liberi e Uguali”, perché questa “è una regione dove i valori della sinistra hanno antichissime radici e dove, quando si parla di lavoro, si sa di cosa si sta parlando”. E se quel che sembra fosse un miraggio? Il pericolo c’è: il Pd bersaniano, “più alto” di quello ora renziano, di fatto “non vinse” le elezioni in un anno (il 2013) in cui l’avversario storico Silvio Berlusconi era fuori gioco e in cui il grillismo roboante, se combattuto con una campagna elettorale leggermente più energica, avrebbe forse-forse potuto essere superato di quel punto percentuale necessario ad evitare streaming, scouting e compagnia bella. Per non dire del futuro incerto che attende oggi chi, credendo a Di Maio, ci spera anzichenò.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.