Il flop alle amministrative del M5s nelle città dei fedelissimi di Di Maio

Valerio Valentini

“Risultati importanti”, quelli delle comunali, giubila il leader grillino su Facebook, che “hanno dimostrato che Davide continua a vincere contro Golia”. Eppure sono state parecchie le figuracce

Roma. La retorica per smaltire la batosta, manco a dirlo, è quella d’ordinanza. Quella, cioè, del Movimento “solo contro tutti”, come sempre, e come sempre, dunque, chiamato a “un’impresa titanica”: al punto che, va bene le decine di scoppole subite, però vuoi mettere la soddisfazione per quei sei o sette ballottaggi conquistati? Senza contare, poi, i trionfi clamorosi in quel di “Crispiano in Puglia, a Ripacandida in Basilicata, a Pantelleria in Sicilia, a Castel Di Lama nelle Marche”: comuni che, messi insieme, contano più o meno 31.000 abitanti, e che vengono conquistati dal M5s al termine di una domenica elettorale che ha visto recarsi alle urne sette milioni d’italiani. Insomma, “risultati importanti”, giubila Luigi Di Maio su Facebook, che “hanno dimostrato che Davide continua a vincere contro Golia”. E se lo dice Di Maio, buon dio, c’è da fidarsi. Anche se poi viene spontaneo constatare che parecchie figuracce, il nostro Davide, le ha dovute subire proprio nelle città che più avevano visti impegnati, nella campagna elettorale, ministri veri o potenziali, esponenti più o meno futuribili dell’esecutivo nascituro, parlamentari di spicco del M5s: e dunque, pure concesso che la sofferenza del grillismo, alle amministrative, è “fisiologica” per definizione, va però detto che questo “Governo del Cambiamento”, per quel che riguarda Di Maio e compagni, non parte proprio sotto i migliori auspici.

 

Il capo politico, il suo tour elettorale lo aveva concluso a Brindisi: dove, guarda un po’, il M5s resta fermo ai 9.000 e rotti voti già raccolti nel 2016 (alla faccia della crescita inarrestabile), e col 21,3 per cento è fuori dai giochi. Non ha portato più fortuna a Catania, Di Maio, e al candidato sindaco etneo Giovanni Grasso: il quale, nonostante il sostegno del neomistro della Sanità, l’autoctona Giulia Grillo, non va oltre la terza posizione, ben distaccato dal sindaco uscente del Pd, Enzo Bianco, e dal trionfatore Salvo Pogliese, candidato del centrodestra unito che sbaraglia tutti al primo turno. Ancora peggio nell’altro capoluogo siciliano: a Messina, dove Di Maio s’è fatto vedere per un comizio a piazza Cairoli lo scorso tre giugno, il grillino Gaetano Sciacca finisce quinto. E la delusione è parecchia, nel quartier generale pentastellato dell’isola, se anche Francesco D’uva, novello capogruppo alla Camera e messinese orgoglioso, arriva a ragionare coi cronisti dei giornali locali sulla necessità di “avviare una seria riflessione per eliminare il limite dell’unica lista a sostegno”, principio finora intoccabile, nelle tavole della legge del Sacro Blog, e al contempo alibi perfetto per giustificare qualsiasi disfatta sui territori additando alla pubblica gogna “le ammucchiate” dei vecchi partiti. Neanche a Riesi, 12.000 abitanti in provincia di Caltanissetta dove ha i natali la madre di Laura Castelli (ragione per la quale la potente deputata grillina, prossimo viceministro all’Economia, ha sentito il dovere di spendersi nella chiusura della campagna): viene confermato infatti il dem Salvatore Chiantia, con un plebiscitario 65 per cento, mentre il grillino Marco Ministeri si ferma sotto il 20. Inutile, poi, parlare di Roma (coi suoi due municipi perduti dal M5s) e dei molti comuni laziali (compresa Velletri, dove Paolo Trenta, il fratello della neo ministra della Difesa, racimola un poco lusinghiero 11 per cento): a nulla è servita la mobilitazione in massa dei vertici locali grillini, da Virginia Raggi a Paola Taverna, passando per il fantaministro dello Sviluppo economico – che potrebbe comunque ottenere una delega al Mise sulle crisi industriali, sempre che gli venga perdonata la sua mezza protesta sull’affaire Aquarius di ieri – Lorenzo Fioramonti: il M5s è andato male dovunque, al punto che è subito partito il processo alla sindaca da parte di attivisti e portavoce di peso, come Roberta Lombardi e Carla Ruocco.

 

A Brescia, poi, la dedizione con cui Vito Crimi, sottosegretario in pectore alla presidenza del Consiglio con tanto di delega sui Servizi, ha sostenuto in queste settimane Guido Ghidini non è valsa a ottenere più di uno striminzito 5 per cento. Ma forse la sconfitta più cocente resta quella di Ivrea: la città che fu di Adriano Olivetti e che poi, segno dei tempi, è divenuta celebre quale casa dei Casaleggios’. Non è bastato a Davide organizzare convegni e sfilate di presunti visionari dell’innovazione (do you remember #Sum?), non è bastato chiamare più volte a raccolta, anche di recente, parlamentari importanti per le kermesse di Rousseau; e non è bastato neppure che il Pd provasse in tutti i modi a farsi del male da solo, dividendosi e litigando comme d’habitude: alla fine Massimo Fresc, albergatore di grandi ambizioni, si è fermato al 13,7 per cento, restando fuori dal ballottaggio tra centrosinistra e centrodestra. Almeno qui, Davide – no, no: non quello biblico – s’è dovuto arrendere.

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