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Verso il congresso del Pd

David Allegranti

L’attesa per la resa dei conti genera mostri. Di Giorgi: “Dobbiamo fare autocritica”

Roma. L’attesa di un congresso genera mostri. Non è ancora chiaro quando il Pd troverà un segretario nel pieno delle sue funzioni legittimato da un voto popolare. Una consultazione cioè tra iscritti e simpatizzanti del centrosinistra, come è stato nella storia del Pd, attraverso il “rito fondativo delle primarie”, come ebbe a dire a suo tempo Arturo Parisi. Intanto si sa solo che oggi, all’assemblea dell’Ergife, dovrebbe essere confermato alla guida Maurizio Martina, finora reggente. Martina sta facendo la sua ricognizione con tutte le componenti del Pd e finora ha incassato un sostegno ampio. Dopo l’assemblea dei renziani di mercoledì, giovedì si è riunita AreaDem di Dario Franceschini, che ha dato il via libera alla conferma dell’ex vicesegretario di Matteo Renzi.

  

La tentazione però poi potrebbe essere quella di vivacchiare, anziché celebrare subito il congresso, arrivando a ridosso dell’appuntamento più importante dei prossimi mesi, le Europee, che potrebbero cambiare il volto dell’Europarlamento, con il rovesciamento di fronte e la vittoria dei sovranisti euroscettici. Se non addirittura superare quella data. “Se c’è accordo condiviso per un percorso con un congresso in due fasi e l’elezione di Martina noi ci siamo, altrimenti si convoca il congresso ordinario e lo si fa entro novembre-dicembre”, dice un dirigente renziano. Ma nel caso di congresso in due fasi la seconda fase sarebbe entro il 2018? O nel 2019 dopo le Europee? “Se si fa in due fasi è difficile farlo in pochi mesi”. La via potrebbe insomma non essere così rapida. Non si capisce però che cosa ci sia da aspettare. C’è chi teorizza malignamente che tutte queste attese dipendano dal fatto che i renziani non hanno ancora individuato un candidato spendibile. L’altra questione riguarda invece la “separazione delle carriere” fra segretario del Pd e candidato presidente. Matteo Orfini dice che “la legge elettorale non prevede il candidato premier; il candidato premier di fatto già non c’è più”. Questo significa che lo statuto del Pd potrebbe cambiare? Non è un dettaglio. Il modello originale prevede che il Pd sia un partito di iscritti e di elettori. Separare i due momenti significherebbe introdurre un dualismo concorrenziale. D’altronde il segretario di un partito che altro deve fare se non andare al governo? E chi è al governo che altro deve fare se non costruirsi un partito? Il precedente storico del rapporto fra Massimo D’Alema e Romano Prodi non ha portato bene al centrosinistra. Non era solo una questione di caratteri – entrambi spigolosi, che uno potrebbe anche depurare – di inevitabile concorrenza fra segretario di partito e presidente del Consiglio. C’è anche un altro elemento, finora rimasto inevaso, sottolineato dalla deputata Rosa Maria Di Giorgi: la mancata autocritica. “Abbiamo bisogno di rivedere i nostri errori (gravi), di aprirci – dice Di Giorgi – di parlare con tutto il mondo del centrosinistra, con il pubblico impiego, con la scuola, con le università, con i nostri giovani, anche con i perdenti e non solo con quelli di successo, di parlare alle famiglie in difficoltà, ai cattolici, a tutti gli uomini e le donne che rifiutano di accettare questa deriva di egoismo, di paura e di disumanità che sta soffiando in Italia e in Europa”. Ora, spiega Di Giorgi, “sono passati alcuni mesi ma qualcuno del vecchio gruppo dirigente sembra far finta di nulla. Vediamo nei territori le stesse modalità, i soliti metodi carbonari, un modo di fare escludente da parte di un gruppo dirigente che al momento appare tutt’altro che autorevole. Un congresso in preparazione che, invece che essere un momento di vera analisi e di presa d’atto di errori nei contenuti e nei metodi, rischia di essere ancora una volta solo una questione di nomi, magari da tirare fuori dal cappello all’ultimo momento. Non sarà così che torneremo a essere credibili”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.