Casellati è la pistola sul tavolo di Salvini

L'incontro riservato tra Giorgetti e Letta: la candidatura di Draghi non è tramontata, ma molto indebolita

Valerio Valentini

La presidente del Senato ci crede: "Spero che a casa nostra rispettino i patti". Giorgetti avverte Letta: "Matteo vuole provarci davvero, con lei". Il segretario dem sbuffa: "Il capo della Lega vuole tenersi troppe strade aperte, serve linearità". Entro giovedì va trovata un'alternativa per evitare una conta rischiosa. Renzi e le manovre trasversali per Casini

Esibisce il contegno di chi ci crede, poi però si lascia sfuggire uno sbuffo: “Speriamo che tutti rispettino i patti, in casa nostra”. Quando a sera Elisabetta Casellati, così appariscente nel suo vestito verde, esce dall’Aula di Montecitorio, agli amici di Forza Italia affida una confidenza che è a metà tra l’ammissione di timore e l’avvertimento. Del resto la sua candidatura è maturata in mezzo ad accidenti talmente scomposti, che pure lei ha percepito il confine sottile tra l’essere la quirinabile più forte e un inconsapevole strumento di negoziazione. La seconda carica dello stato come una pistola fumante messa sul tavolo da Matteo Salvini. E i modi tradiscono in effetti le intenzioni.

Perché poco dopo l’ora di pranzo, quando il segretario della Lega riunisce a Montecitorio i leader del centrodestra, il nome della Casellati è nella bozza della lista dei papabili. Ci sarà bisogno di un giro di telefonate, di un gioco di sponde che passa anche per Arcore, per toglierla dalla rosa. “Non vogliamo esporre la presidente del Senato a giochi tattici”, dirà il capo del Carroccio. “In ogni caso è chiaro che sarebbe la Casellati il profilo che avrebbe più chance di trovare consensi trasversali”, conferma Riccardo Molinari, capogruppo della Lega, che sconsiglia dietrologie: “Matteo ha in mente dall’inizio  di giocarsela su un nome di centrodestra,  tutto qui”.

Che però  sia meno limpida di così, la strategia di Salvini, deve accorgersene anche Enrico Letta. Il quale, proprio mentre il leader del Carroccio annuncia la terna dei nomi offerti al resto del Parlamento – Carlo Nordio, Letizia Moratti e Marcello Pera – si incontra riservatamente con Giancarlo Giorgetti al secondo piano di Montecitorio. Si sente confermare che sulla Casellati l’operazione sarà reale, poi va via scuro in volto. “Salvini vuole tenere aperte troppe partite contemporaneamente – sbuffa – e invece in questi casi servirebbe più linearità”.

Significa insomma che la trattativa con Mario Draghi non è del tutto tramontata, a dispetto della brutalità con cui Salvini ha liquidato coi suoi il resoconto dell’incontro col premier. “Ci si è fermati molto prima di parlare di ministeri”, dice. E così si arriva alla terna alternativa. “E’ una prova di forza da parte di Salvini per mostrare anche a Super Mario che deve dare delle risposte che finora non ha dato, a patto che possa darle”, dice il centrista Paolo Romani. E dunque oggi, se gli accordi della notte non suggeriranno di fare altrimenti, il centrodestra si peserà nel segreto dell’urna su Nordio. Poi, dopo aver fatto di conto, si proverà giovedì il vero azzardo: quello sulla Casellati. Su cui i leghisti cercano davvero di pescare nel M5s, come dimostra l’attivismo del vicesegretario Andrea Crippa che induce i deputati grillini in tentazione: “Ma perché non mollate il Pd e votate con noi?”. Senza contare, poi, che  tra i dem ci sarebbe chi, anche per  accaparrarsi lo scranno più alto di Palazzo Madama, sarebbe disposto a donarsi alla Casellati. Che semmai gli avversari ce li ha in casa:  in quel Denis Verdini che suggerisce a Salvini di puntare su Pera,  o in chi  rimprovera a donna Elisabetta di essere troppo vicina a Niccolò Ghedini.

Come che sia, però, la sua capacità di successo è così concreta che Salvini non è l’unico a paventarlo, quel successo. Il renziano Ettore Rosato saltella da un drappello grillino a uno del Misto per fare terrorismo psicologico: “Guardate che la Casellati i voti può prenderli da ogni parte”. E se passa lei per una manciata di voti,  “la maggioranza Draghi non esiste più, e il governo collassa”, come dice Stefano Patuanelli. Bisogna attivarsi per scongiurare lo spauracchio, insiste Matteo Renzi, prima di portare i suoi parlamentari a cena da Sciarra,  a due passi da Palazzo Chigi. E come antidoto propone un nome e un patto politico per chiudere la legislatura, salvare il governo Draghi e avviare il cantiere del proporzionale: è Pier Ferdinando Casini, e intorno a lui si muove un asse trasversale, che passa anche dai riformisti del Pd, da settori della Lega e di FI, compresa quella Anna Maria Bernini che guida il gruppo di FI nel Senato presieduto dalla Casellati. Per dire di come tutto si complica, alla vigilia della grande conta. 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.