Foto tratta dal sito house-of-one.org

Anche per la nuova religione europea l'unico dogma è che "Uno vale uno"

Antonio Gurrado

La House of one di Berlino, che ha ridotto Dio a ente numerico, o la fede nel vuoto

Milano. A voler sintetizzarla all’osso, la notizia è che sul suolo che fu della più antica chiesa di Berlino sorge da ieri il tempio di un monoteismo nuovo e vago. Più infiorata, la storia racconta di un’iniziativa senza precedenti in favore della tolleranza religiosa: è stato appena inaugurato il primo padiglione della House of One, edificio sulla Petriplatz che sarà casa comune dei tre grandi monoteismi. Comprenderà una chiesa, una sinagoga e una moschea più un quarto spazio per iniziative comuni, nonché per atei e agnostici in cerca di Dio. I lavori termineranno nel giro di un paio d’anni e l’ottimismo è tangibile: sorta significativamente a ridosso del cinquecentenario luterano che ha visto il plateale ravvicinamento fra cattolici e protestanti, la House of One intende infondere la speranza che il medesimo dialogo sia possibile fra ebrei e musulmani.

 

Il problema è come. Nel tentativo di trasformare la fede in un unico Dio nella credenza che esista un Dio unico a cui ciascuno dà un nome approssimativo, la House of One accoglie quale comun denominatore il numero ma tralascia l’identità: ciò che conta, dice il nome del tempio, non è quale sia l’unico Dio ma che sia riducibile a un generico Uno, neutrale e anglofono, che può venire pregato in guisa cristiana nella chiesa, islamica nella moschea rivolta verso La Mecca e giudaica nella sinagoga che guarda a Gerusalemme. L’area comune, che dovrebbe fungere da intersezione fra i tre monoteismi, finisce per ridursi a un nulla, uno spazio in cui Dio non è né ebraico né cristiano né islamico, un vuoto in cui il passante senza fede può ricercare una spiritualità trasparente e magari decidere in quale delle tre ali monoteistiche far capolino per curiosità.

 

Il Dio che verrà venerato nella House of One è un po’ confuso, se è vero che la chiesa sarà luterana ma accoglierà anche cattolici e ortodossi, mentre la moschea è fatta dai sunniti ma aprirà le porte agli sciiti. Nella teologia negativa della House of One, Dio è Uno ma vale l’altro. Come anticamente Plotino aveva ciarlato della divinità di un Uno che “non è qualcosa, né quantità né qualità, né spirito né anima, né in movimento né in quiete”, un “Ideale solitario, tutto chiuso in sé stesso”, un “Informe che esiste prima di ogni idea”; così oggi la House of One intende comporre l’identità di Dio per levare, sottraendogli ogni aspetto specifico, e finendo per scoprire che, se proprio non si vuole escludere nulla né offendere nessuno, di comune ai tre monoteismi non rimane gran che. Ecco allora che ci si affanna a riempire quel vuoto: lì dove c’era l’adesione a verità dogmatiche, ora la House of One propinerà ai propri membri la sottoscrizione di una Carta dei valori fra cui primeggia il dialogo, ovviamente, poi la tolleranza, l’incontro fra differenze; seguono la naturalità del trovarsi insieme e l’artificialità delle distinzioni; infine la democrazia, l’eguaglianza e il rispetto.

 

La House of One, avendo ridotto Dio a ente numerico, sostituisce a ogni dottrina una religione civile coi valori dell’Occidente (l’aveva già fatto Robespierre col culto dell’Ente Supremo, e non fu un bel periodo) presupponendola anteriore alle singole tradizioni cultuali. Invitando i monoteismi a cercare insieme il Dio in cui hanno finora creduto separatamente, implica che, nella ricerca separata, ebrei cristiani e musulmani si siano fermati a un’identità di Dio non rivelata ma velata, un Deus absconditus coperto dalle specificità che ogni singola fede ha creduto di trovarci. La House of One servirà a far uscire Dio dal nascondiglio? Forse no. Un po’ come le asettiche camere di preghiera degli aeroporti si caratterizzano per l’assenza di arredamento religioso concreto, così la House of One non presenterà all’esterno né croci né mezzelune né stelle di David, manco fosse un tempio clandestino o una catacomba. A meno che quest’assenza di simboli non sia la certificazione che ciò di fronte a cui l’Occidente accetta di inginocchiarsi è ormai un buco nero, una mancanza in cui Dio si fa così impalpabile da sembrare quasi che non esista.

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