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Il Foglio sportivo

“Paro tutto, tranne il dolore”. Intervista a Giovanni Galli

Antonello Sette

Le tante vite dell'ex portiere di Fiorentina, Milan e Napoli fra calcio, famiglia, fede e politica

Ho cominciato a giocare a pallone tra i palazzoni delle case popolari di Pisa. C’era persino uno spazio verde. Poi, quando avevo 12 anni, decidemmo tutti insieme di iscriverci all’Uisp per provare l’ebbrezza di un campionato vero. La squadra aveva un nome, che di calcistico aveva poco. Si chiamava ‘Pubblica assistenza’. Io non dovevo fare il portiere. Avevo sempre giocato all’attacco. Il cambio di ruolo fu la conseguenza di una pura fatalità. Mancava il portiere designato e io mi ritrovai, fra i pali, a cercare di mantenere inviolata la stessa porta che ero abituato a perforare. Da quel momento in poi, ho fatto solo quello”. La vita di Giovanni Galli da Pisa, uno dei più grandi portieri italiani di sempre, è rimasta sospesa fra la gioia, l’orgoglio e il dolore. È come se avesse vissuto tante vite fra sé inconciliabili, messe insieme in una sola. Quella di Giovanni Galli è la storia di un uomo forte e sensibile, che di mestiere ha fatto il portiere. E che anche nella vita ha provato a parare tutto, sino a quando e dove ha potuto. 
“Oggi gli spazi verdi fra i palazzoni sono spariti. Anche perché a farla da padrone è stato il proibizionismo. Non si può giocare da nessuna parte. Dicono che sia troppo pericoloso. Oggi vanno di moda le scuole calcio che, più che un allevamento di campioni, sono un luogo sicuro dove parcheggiare i propri figli. Oggi si comincia a sei anni. Noi di anni ne avevamo dodici e la nostra carriera, chi più e chi meno, l’abbiamo fatta. Noi avevamo solo il calcio. Ora passano più tempo con i social e la Playstation che con il pallone. È tutto un altro mondo. Si è perso il gusto della comunità di amici. Oggi si è, in qualche modo, più soli”.


La Fiorentina le è rimasta nel cuore…“È stata la mia seconda famiglia. A comporla erano le persone, che animano il dietro le quinte del calcio. Sono stati tutti fondamentali per la crescita del ragazzo che ero”.
Dalla Fiorentina al Milan il passo è lungo. Va a giocare in una corazzata quasi invincibile…“Non sta a me dire se sia stata la squadra più forte di sempre. So solo che molte testate giornalistiche internazionali l’hanno definita così, non solo perché poteva contare su grandi campioni, ma anche perché praticava un calcio diverso, fatto di organizzazione, di intensità, di fisicità e di tanta qualità. Il presidente Berlusconi fu bravo e geniale nell’inseguire quella che sembrava, più che un sogno, un’utopia. Ha creato una macchina da guerra, affidandola a un comandante senza esperienza, che non aveva mai allenato in Serie A. Ad Arrigo Sacchi ha dato le chiavi di casa e gli ha messo a disposizione dei grandi campioni. Voglio, però, sottolineare una cosa, di cui si parla poco o nulla. Quella squadra era composta da otto italiani e tre olandesi e ha vinto uno scudetto con un solo straniero, perché quell’anno Marco van Basten giocò solo cinque partite e la Coppa dei Campioni con due, perché Ruud Gullit si era infortunato. Gli stranieri facevano la differenza, ma il gruppo italiano era, non solo di gran lunga maggioritario, ma di per sé fenomenale”. Gullit o van Basten? “Le risponderebbero tutti Van Basten, perché faceva una caterva di gol, ma a livello fisico Gullit era straripante. Poteva giocare in tutti i ruoli e in qualsiasi zona del campo. Se proprio devo scegliere, mi prendo Frank Rijkaard, che era il più completo di tutti”.

Nella straordinaria epopea rossonera di indimenticabile c’è anche la gemma dei due rigori da lei parati nella ripetizione della partita contro la Stella Rossa, che evitarono al Milan una precoce eliminazione da quella Coppa dei Campioni, che poi avrebbe vinto… “Quei rigori parati sono serviti a costruire la storia leggendaria del Milan, ma, a dirla tutta, sono stati bravi anche i miei compagni a fare centro dal dischetto. In quel Milan il portiere molto spesso non riceveva un voto dagli addetti alle pagelle. Dicevano che non ero giudicabile, perché non mi era arrivato neppure un tiro degno di questo nome. Quella volta, del portiere c’era stato bisogno e io mi ero fatto trovare pronto e sono ancora orgoglioso di essere stato decisivo. Il secondo anno al Milan abbiamo vinto lo scudetto e, nei due successivi, la Coppa dei Campioni. Penso di aver diritto anch’io a qualche riga nella storia del Milan”. Dopo il Milan arriva Diego Armando Maradona…“L’ultimo anno al Milan non era stato semplice. Io ero il portiere delle coppe. In campionato giocava Andrea Pazzagli. L’alternanza, in cui mi ritrovai coinvolto, non mi garbava affatto. Avevo 32 anni ed ero nel pieno della maturazione tecnica e fisica. Il non poter giocare la domenica era per me un passo indietro inaccettabile. E, nel momento più giusto, arrivò la proposta del Napoli, che aveva appena vinto lo scudetto. Era la grande occasione per dimostrare a tutti che non ero solo un portiere bello di notte”.


Chi è stato per lei Maradona?
“Il grande campione lo hanno potuto ammirare tutti. Personalmente, mi ritengo fortunato ad avere avuto l’opportunità di costruire con Diego un legame di stima, di amicizia e di fratellanza, inaspettato e, proprio per questo, ancora più bello. Ho conosciuto un eterno ragazzo meraviglioso. Un ragazzo generoso, che era un po’ come il dottor Jekyll e Mr. Hyde. Era arrogante, persino presuntuoso e strafottente, ogni qual volta attaccavano i suoi affetti: la famiglia, il Napoli, i compagni di squadra e i tifosi. Diventava quasi insopportabile, ma all’interno dello spogliatoio, con il gruppo e con gli amici era un ragazzo eccezionale. Sono rimasto legato a Diego anche dopo il Napoli e la fine delle nostre carriere. Ha continuato a dimostrarmi nel tempo la sua amicizia e la sua vicinanza”. Le piace il calcio di oggi?
“Mi piace il calcio giocato. Ci sono delle squadre che sono davvero belle da vedere. Per tutto il resto, c’è veramente poco da salvare. Vedo solo posizionamenti di potere e voglia di mantenere poltrone. Bisognerebbe ripensare tutto il carrozzone, dai vertici ai dirigenti. I calciatori di questo calcio sono solo strumenti.” È diventato anche normale fallire la qualificazione ai Mondiali e restare in carica come presidente federale… “Vorrei essere il portatore di una riflessione più generale, che investa il calcio tutto, a partire dal basso. A lei sembra accettabile, per esempio, che in serie C e D i calciatori siano così poco tutelati e i presidenti cambino, come si cambiano le gomme di un’automobile? E riesce a spiegarmi perché debbano esistere, in contemporanea, la Federazione e la Lega calcio? Chi è che decide? Chi detta la linea? La Federazione, oggi come oggi, ha l’intento di vedere la Nazionale nelle zone alte del ranking ed è in totale conflitto con la Lega calcio”. 

Lei ha scelto di scendere in un campo, diversissimo da quello dove si gioca a pallone, qual è quello della politica…
“Nel 2009 sono stato candidato sindaco di Firenze contro Matteo Renzi, ottenendo il quaranta per cento dei consensi. Un record storico per il centrodestra. Oggi faccio a tempo pieno il consigliere regionale, ma non perdo mai di vista il calcio, che resta la mia grande passione”. 
Che le ha dato la politica? “Mi ha aperto un mondo nuovo, che ha appagato la mia curiosità e la mia sete di conoscenza, lasciatemi in dote da mio padre. Aggiungo che sono felice, come politico e come sportivo, che abbiano finalmente inserito lo sport all’interno della Costituzione italiana”.
Lei ha guardato in faccia il dolore, nella sua forma più atroce, qual è quella di perdere un figlio a diciotto anni. Come si esce da una tragedia tanto immane?
“Non se ne esce. È un percorso. Il percorso di uno che improvvisamente inciampa su un gradino e cade per terra
. Sei in ginocchio, strisci sul pavimento e devi decidere se rialzarti o continuare a camminare a quattro zampe. Per provare a rimetterti in piedi, hai bisogno di aiuto. Quello più importante te lo può dare solo la famiglia. Noi siamo sempre stati uniti e legati strettamente, gli ultimi agli altri. Dovunque andassi, loro erano sempre con me. Ho conosciuto Anna, quando avevo 17 anni e lei 14. Non ho mai smesso, neppure per un istante, di amarla. Carolina e Camilla sono, e rimarranno, il mio orgoglio e la mia più grande consolazione. Oltre la famiglia, mi ha aiutato la fede. Il percorso che ho fatto insieme a Niccolò è stato intenso, ma troppo breve. Sono certo che riprenderà in un’altra dimensione, anche se non so dirle quale. Io devo rivedere mio padre e devo rivedere mio figlio”.
 

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