Honoré de Balzac

Balzac è tutta la verità a nostra disposizione

Marco Archetti

E’ convinzione di ogni sprovveduto che per conoscere la vita si debba vivere. In realtà per conoscere la vita basta una vita a leggere lo scrittore francese

E’ convinzione di ogni sprovveduto che per conoscere la vita si debba vivere. In realtà per conoscere la vita basta una vita a leggere Balzac.

 

Balzac è tutta la verità a nostra disposizione. La verità sugli uomini e la verità sulle donne. La verità sui ricchi e la verità sui poveri. La verità sui notai e sugli ambasciatori. La verità sui nobili e sugli spiantati. La verità sui colonnelli e sulle meretrici. La verità sui soldi e sulla mancanza di soldi. La verità sui medici e sugli usurai. La verità su Parigi. La verità su padri, zii, cugini e cugine. La verità sulle parole che si dicono e su quelle che si tacciono. La verità – come se non bastasse tanta intelligenza sui tipi umani – anche sui luoghi. La verità sulle taverne e sugli alberghi. Sulle stazioni e sulle stamperie. La verità sugli androni e sulle scalinate. Sulle finestre. Sulle soffitte e sui salotti. La verità: distillata in cinquantun anni di vita e duemila pagine scritte ogni anno, tra commedie e racconti e quei novantasei-romanzi-novantasei di Commedia sterminata, l’Opera delle opere, l’intentata fisiologia generale del destino collettivo, la più caotica e rigorosa mappa cosmica dell’umanità. E più del trampolino (Balzac proveniva da una media borghesia niente di che) poté il salto: la parabola di un’opera che non presuppone mai se stessa, una scommessa immane e sempre nuova, figlia di una volontà di ferro e di un’ostinazione d’acciaio. Un’opera sovrana già nel concepimento, nutrita da un’osservazione incessante e da una conoscenza straordinaria perché pre-cognitiva, cioè, per dirla chiara, un miracolo che non si spiega: godeva o no, l’autore, delle stesse ventiquattro ore di noi tutti? Un’opera costata anni di sonno e milioni di tazze di caffè, infuocata eppure inseguita con quell’imperturbabilità tenace di chi non sembrava vivere, come fu, sotto l’assillo dei creditori, assillo acuito dalle rovinose imprese in cui questo genio si gettava puerilmente e che ai nostri occhi lo qualificano come l’uomo meno dotato di senso degli affari mai esistito al mondo – si legga in merito il suo febbrile epistolario.

 

In ogni caso non ci si scappa: chi non ha letto Balzac non ha letto il mondo. E non solo il suo, francese e ottocentesco, ma il mondo di sempre, il mondo quale è e non potrebbe non essere, che ci importa se il migliore o il peggiore dei possibili, dopotutto nemmeno a Balzac interessava granché. Questo splendido monarca della letteratura universale, infatti, voleva solo raccontare il nudo legnaccio della natura umana. Non potrebbe essere un russo, Balzac, perché non si torce mai, osserva e non spasima, è uno scienziato della realtà e non un filosofo latente, ha il culto della vita nel suo turbinoso snodarsi e non della morte nel suo fatale premonirsi, e poi in lui trionfa sempre quel “genio del sottinteso” molto, molto fransé. Ogni sua invenzione è in realtà, magnificamente, una non-invenzione. Fateci caso: in famiglia o nella cerchia delle vostre amicizie esistono sicuramente un papà Goriot, un Balthazar Claës, un Gobseck, un Ferragus, una Eugénie Grandet, un Lucien Chardon. O una Honorine.

 

A questo proposito, per un setacciatore di bancarelle di libri come il sottoscritto (non sono un bibliofilo, anzi, non reggo i bibliofili e i loro feticismi, sono un semplice lettore) una delle gioie di quest’estate è stata trovarsi tra le mani proprio “Honorine”, edizione Bur del 1951: copertina di carta appena più spessa di quella delle pagine, formato un po’ più piccolo di quello di un kindle. E proprio la lettura di “Honorine” – o meglio, della vicenda umana del conte Ottavio, abbandonato dalla moglie eppure a lei tormentosamente fedele – mi ha per l’ennesima volta immerso nell’impagabile sensazione che Balzac mi regala, di ascoltare uno zio faceto che tutto sa e tutto, ai miei occhi, illumina.

 

“E io?” – fa dire al conte Ottavio in un momento di confessione – “io che non ho nulla, neppure il ridicolo da affrontare, io che mi sostengo con un amore privo di alimento! Io che non ho una parola da dire a una dama del bel mondo! Io che provo ripugnanza per la prostituzione! Io, fedele per sortilegio. Senza la fede mi sarei ucciso: invece ho sfidato l’abisso del lavoro, mi ci sono buttato a capofitto e ne sono uscito vivo, ardente, insonne! Mi assalgono collassi paragonabili a quelli dei malati di consunzione, folli accessi d’ilarità, apprensioni da assassino che incontra un brigadiere: la mia vita è un continuo parossismo di terrori, gioie, disperazioni. Riconquistare mia moglie, ecco la mia unica sollecitudine”.

Prima o poi, tra le pagine di Balzac, incontrerete voi stessi.

Di più su questi argomenti: