Ecatombe dei piccoli negozi: chiusa un'attività su 10. Crescono i bar e gli hotel

Giovedì 7 Marzo 2019 di Maurizio Crema
Ecatombe dei piccoli negozi: chiusa un'attività su 10. Crescono i bar e gli hotel
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Decimati i negozi in centro ma anche le periferie se la passano male. Secondo la Confcommercio, più di un negozio su dieci ha chiuso negli ultimi dieci anni. Un'ecatombe che ha colpito duro anche il Nordest: in Veneto sono sparite 758 attività, meno 631 solo nei centri storici; più di 60 nella sola provincia di Pordenone (49 nella parte storica), 85 in quella di Udine. Ma crescono bar, hotel, ristoranti e farmacie. In controtendenza Venezia, ma è un caso limite come Firenze. I calcoli di Confcommercio sono spietati: dal 2008 al 2018 in tutt'Italia 64 mila esercizi hanno chiuso e va male anche per gli ambulanti. L'offerta turistica intanto continua a moltiplicarsi con 45 mila alberghi, bar e ristoranti in più in un decennio. E raddoppiano i numeri del commercio elettronico e porta-a-porta. Il presidente dell'associazione, Carlo Sangalli, chiede «un piano nazionale di rigenerazione urbana che tenga  conto del rapporto strettissimo tra commercio e vivibilità delle città». Il leader commercianti veneti Massimo Zanon osserva: «La riduzione dell'offerta commerciale e la convulsa e disordinata evoluzione delle strutture di ristorazione e alloggio stanno impoverendo le nostre città che ora più che mai devono essere rilanciate. Che il turismo sia una grande fonte di energia per la nostra economia non c'è dubbio, ma vanno regolamentate le strutture extra alberghiere per evitare, specie nel caso delle città d'arte, lo spopolamento dei centri storici. E vanno rivitalizzati i centri urbani e anche le periferie per contrastare la desertificazione commerciale portata dalla grande distribuzione e oggi ancor di più dalle vendite digitali».
La rivoluzione nel commercio colpisce di più i centri storici, dove il calo raggiunge il 13% in dieci anni. Chiusi soprattutto i negozi di vestiti e calzature, ma anche di mobili, ferramenta, libri e giocattoli. Tengono invece le botteghe alimentari e crescono a due cifre le farmacie e i rivenditori di computer e telefoni. L'offerta di alloggio e ristorazione aumenta del 18,6%, con il rischio che i centri diventino «lunapark per turisti». Il Governo, per l'Unione nazionale consumatori, «invece di dedicarsi a chiudere i negozi, farebbe bene a preoccuparsi di come farli riaprire, rilanciando la capacità di spesa delle famiglie». «Noi abbiamo chiesto di aumentare le chiusure festive ma siamo pronti al dialogo con tutti gli attori in campo», avverte Zanon.
PRIMA SIRACUSAConfcommercio ha stilato anche una classifica delle città i cui centri sono più vitali. Al primo posto c'è Siracusa. All'ultimo l'Aquila. In questo quadro non fa eccezione il Veneto, dove il commercio al dettaglio nelle sole 7 città capoluogo ha registrato negli ultimi 10 anni (2008-2018) un calo complessivo fra centri storici e periferie di 758 attività (- 631 solo nei centri storici), passando dalle 11.348 del 2008 alle 10.590 del 2018 (-7%). A soffrire di più, i centri urbani, che si sono letteralmente svuotati. Aumentano le farmacie, che nel 2018 registrano 393 punti vendita, 105 in più rispetto al 2008 (40 in più nei centri storici e 65 in più nelle periferie). Diminuiscono i negozi di generi alimentari, che passano dai 1300 del 2008 ai 1228 del 2018, con una chiusura di 102 negozi, la maggior parte dei quali nel centro città. Fioriscono le attività legate al turismo e all'enogastronomia, che passano in 10 anni da 6.511 a 7.419: 908 nuove realtà tra alberghi, bar e ristoranti (+14%). Dunque non tutto è perduto e il Veneto ha cercato di governare il fenomeno con l'intesa sottoscritta con Anci (associazione dei Comuni) studiando modifiche legislative e attuando un serrato confronto con le amministrazioni. «Servirebbero azioni precise come il taglio delle tasse sui plateatici o sui rifiuti, ritrovando una pianificazione del territorio virtuosa che passi anche da affitti calmierati per chi apre nuove attività, artigianali e non. Trasformiamo per esempio le grandi caserme dismesse. Non vogliamo tornare alle licenze ma vogliamo che il tessuto urbano sia più regolato».
Maurizio Crema
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