Il blitz del 7 aprile così lo Stato colpì i cattivi maestri

Domenica 7 Aprile 2019
Il blitz del 7 aprile così lo Stato colpì i cattivi maestri
LA STORIA
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Quello rosso, più accurato e selettivo, aveva ucciso magistrati, giornalisti, avvocati, carabinieri, e altri rappresentanti del cosiddetto Stato borghese. L'anno prima la tensione aveva raggiunto il culmine con la strage di via Fani, e il sequestro - seguito dall'omicidio di Aldo Moro, e il Paese sembrava paralizzato e impotente. Il Pci, dopo aver definito le Br fascisti mascherati, aveva avuto la sua prima vittima, il sindacalista Guido Rossa, che aveva denunciato un operaio simpatizzante del movimento. Da quel momento il partito aveva dichiarato alle Br una guerra senza quartiere.
Autonomia operaia e il suo leader Negri rappresentavano una delle tante variazioni della sinistra extraparlamentare sorte dopo il 68. Predicava apertamente la rivoluzione violenta, e molti dei suoi aderenti avevano commesso gravi reati contro la persona e il patrimonio. Era certamente un'organizzazione pericolosa, ma molti dubitarono che costituisse il vertice delle Br. Le polemiche infuriarono subito, e alcuni insinuarono che l'autore del blitz, il Pm Pietro Calogero, fosse stato addirittura sollecitato dal Pci per eliminare gli avversari.
A PROCESSO
Negri e gli altri furono processati varie volte e in vari tribunali. Alla fine il professore fu condannato per associazione sovversiva, e tra varie vicissitudini - tra le quali un'elezione al Parlamento - scontò alcuni anni di carcere. Ma l'accusa di esser il capo delle Br era definitivamente caduta. In effetti queste ultime, dopo il suo arresto, si dimostrarono più aggressive di prima. Esordirono nel Veneto nel 1980 con gli omicidi dell'ingegner Sergio Gori e di Alfredo Albanese, capo della Digos di Venezia. L'anno seguente sequestrarono e uccisero un altro dirigente della Montedison, l'ingegner Giuseppe Taliercio. Ma nel frattempo al loro interno qualcosa cambiava, e alcuni membri cominciarono a dissociarsi.
I DISSOCIATI
Il primo di questi, Patrizio Peci, descrisse la loro struttura organizzativa, e da lì iniziò la loro fine. Quando, nel febbraio del 1982, un blitz della polizia liberò il generale Dozier rapito dalla Colonna Veneta, quest'ultima si sgretolò. In un mese furono arrestati più di cento suoi aderenti e lo stesso accadde nel resto del Paese. Molti di loro collaborarono, e ricostruirono decine di attentati, compreso quello di Moro. Ma nessuno fece mai il nome di Negri; al contrario, tutti definirono gli autonomi come dei dilettanti velleitari e pasticcioni.
Per chi considerava il marxismo come una mitologia grezza di predicatori apocalittici riusciva difficile comprendere le diverse anime di queste articolazioni spesso in polemica tra loro. E per i magistrati che studiavano i loro proclami per vagliarne il contenuto, scoprirne gli intenti e prevenirne i crimini, era una snervante fatica avventurarsi nella verbosa e inconcludente matassa dei loro ingarbugliati pensieri. In realtà il marxismo si prestava a interpretazioni diverse e persino confliggenti, come tutte le fedi che al loro sorgere sono intolleranti e rigorose, e dalla loro stessa vitalità traggono spunti per deviazioni ed eresie.
LE DIFFERENZE IDEOLOGICHE
Le differenze ideologiche tra queste organizzazioni di comune matrice ma di diversa strategia rievocavano le sterili controversie tra docetisti, ariani, nestoriani, gnostici e marcioniti che avevano occupato molte energiche menti durante la nascita del cristianesimo. Oggi la sua secolarizzazione ci fa sembrare incredibile una simile esuberanza di eccitati fedeli, come il tramonto della teologia marxista, suggellato dal crollo del muro di Berlino, ci rende difficile la ricostruzione di quella fantasiosa sequenza di allucinazioni rivoluzionarie. Ma quaranta anni fa erano in molti a crederci. Ed era con loro che ci si doveva confrontare.
Tuttavia l'indagine penale, se deve accostarsi alle ideologie come spunto di indagine verso chi ne professa una soluzione violenta, non può farsene condizionare nella ricostruzione dei reati. Né la manifestazione di un pensiero, per quanto incendiario e sciagurato, può surrogarsi alla prova dell'effettivo concorso nella commissione del crimine.
LE ESTERNAZIONI DI NEGRI
Ed è forse quello l'equivoco che ha compromesso l'inchiesta del 7 Aprile. Le bellicose ed esaltate edittazioni di Negri e compagni ne dilatarono la portata, estendendola, nella visione degli inquirenti, all'intero fenomeno terroristico che minacciava il Paese. Sopravvalutando la caratura intellettuale di Negri e della sua scuola, se ne dedusse l'erroneo convincimento che lì risiedesse il cervello del mostro, e di conseguenza anche il suo brutale braccio operativo. Mentre un più attento studio delle opere del cattivo maestro e dei proclami brigatisti avrebbe dovuto far capire che - prescindendo dalle medesime litanie anti-capitaliste - i due settori avevano ben poco in comune, mentre era evidente la differenza tra la ferrea disciplina gerarchica e ideologica delle Br e la frammentazione confusionaria dell'autonomia padovana. Un abisso separava la fanatica coerenza di personaggi come Ognibene o Gallinari - motivati dal mito della Resistenza tradita - dalla fumosa pedagogia degli accademici patavini.
L'INCHIESTA
Se tuttavia l'inchiesta del 7 Aprile perseguì il bersaglio sbagliato, non per questo dev'esser considerata inutile e tantomeno fallimentare. Essa manifestò la determinazione dello Stato di procedere senza esitazioni contro un nemico potente e spietato, rispettando la legalità e le prerogative costituzionali. I suoi errori giudiziari non furono più gravi di quelli che anni dopo avrebbero connotato altre inchieste sulla delinquenza organizzata, e possono essere giustificati se inseriti nella straordinaria complessità di quel tragico momento. Le stesse congratulazioni di Pertini, irrituali nella loro emotività, manifestavano l'apprensione di un padre della Repubblica per il pericolo che in quel momento incombeva sulla sua creatura. Se dovessimo giudicare i fatti con il senno di poi, astraendoli dal loro contesto, tutta la nostra storia, a cominciare dall'esecuzione di Mussolini, dovrebbe esser riscritta. Alcune scelte drammatiche sono inevitabili prodotti di tempi difficili: dobbiamo accettarle come tali, nella speranza che quelle dolorose circostanze non si ripresentino più.
Carlo Nordio
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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