«Ci fu una trattativa sulla sorte di Emanuela ma poi dal Vaticano si tirarono indietro»

Venerdì 2 Novembre 2018
CITTÀ DEL VATICANO
«Il 2012 fu segnato da un fatto rilevante. In quel periodo si parlava dell'apertura della tomba di De Pedis a Sant'Apollinare e l'allora Procuratore della Repubblica, Capaldo, dopo essere stato contattato dal Vaticano, si recò ad incontrare un autorevole prelato per una sorta di trattativa sul caso Orlandi». Pietro Orlandi, il fratello maggiore di Emanuela, si sforza di dare un senso a quello che sta accadendo, a trovare risposte al muro di silenzio che da 35 anni schiaccia la vita dei suoi famigliari dopo il rapimento della sorella.
Addirittura una trattativa, ne è sicuro?
«A me lo raccontò l'allora Procuratore: non vedo perché avrebbe dovuto dirmi una cosa per un'altra. Forse il termine trattativa è eccessivo, non saprei, tuttavia quell'incontro fu illuminante visto che servì a dimostrare che il Vaticano era finalmente disposto a fornire notizie e carte ai magistrati su Emanuela, mia sorella. In cambio il prelato invitò ad avere un atteggiamento meno duro nell'inchiesta in corso. In pratica chiedeva aiuto alla magistratura per arrivare ad una soluzione del caso Orlandi danneggiando il meno possibile l'immagine della Santa Sede».
Come andò a finire?
«Capaldo chiese prove e documenti che aiutassero a dare risposte. Il prelato gli rispose che gli avrebbe fatto sapere. Ma successe una cosa inquietante. Nessuno si fece più sentire».
Chi era questo prelato?
«Non mi è stato mai fatto il nome. Da quello che ho capito si trattava di qualcuno al vertice. L'incontro avvenne in uno dei locali dei Musei Vaticani, non nel Palazzo Apostolico. Capaldo successivamente fece alcune dichiarazioni pubbliche rilevando che in Vaticano vi fossero persone a conoscenza di cose. Poco dopo gli fu tolta l'inchiesta e Capaldo se ne è andò in pensione. A me ha colpito molto la sequela di questi eventi».
Piuttosto impegnativa come lettura. La Santa Sede ha sempre smentito categoricamente la presenza di dossier sulla Orlandi. Perché lei è tanto convinto che vi siano carte conservate in qualche archivio. Lei le ha mai viste?
«Se lo ricorda Paoletto? (il maggiordomo di Benedetto XVI finito in carcere perché trafugava documenti ndr) Fu lui a dirmi di avere visto su una scrivania un dossier spillato con su scritto: Rapporto Emanuela Orlandi. Difficile che fosse solo una raccolta di articoli di giornale come hanno cercato di spiegare successivamente».
Perché secondo lei il ritrovamento delle ossa nella nunziatura è stato subito associato al caso di sua sorella?
«Ho appreso la notizia leggendo il dispaccio dell'Ansa dove vi è la connessione chiara con il caso. Immagino che chi ha fornito la notizia abbia fatto a monte questo collegamento. Chi ha visto per primo le ossa? I gendarmi e poi la Procura che ha aperto un fascicolo per omicidio senza indicare nessun nome».
Ora non resta che attendere con pazienza l'esito delle analisi sui resti per la datazione. Cosa le viene in mente?
«Che il nome di Emanuela è ancora un tabù e che la cappa di silenzio va avanti da 35 anni. Pensi che la mia famiglia non è mai stata ricevuta né da Benedetto XVI, né da Papa Francesco. Solo mia mamma ha potuto avere un incontro veloce con Francesco, ma da sola, senza nessun altro. Il 22 giugno nessuno in Vaticano nessuno ricorda il giorno della scomparsa di mia sorella, anche se era una cittadina vaticana. Per noi è stato uno strazio. E per me è un dovere continuare a ricercare mia sorella».
Franca Giansoldati
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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