LA STRATEGIA
ROMA La linea di demarcazione è la fine del Ramadan, il digiuno

Domenica 17 Giugno 2018
LA STRATEGIA
ROMA La linea di demarcazione è la fine del Ramadan, il digiuno musulmano che è considerata una tra le cause principali del rallentamento delle attività delle Guardie costiere libiche. Si è celebrata ieri, ed è per questo che il ministro Matteo Salvini ha deciso di cominciare la sua missione nei paesi africani che affacciano sul Mediterraneo, già dai prossimi giorni.
In che modo sceglierà di muoversi rispetto ai predecessori? Probabilmente seguendo gli stessi meccanismi e gli stessi percorsi. Il neo responsabile del Viminale avrà già chiaro quanto sia complessa e sfaccettata la situazione in Libia. L'ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Perrone, si sta muovendo a livello diplomatico per preparare il terreno al suo arrivo. Anche se lo scenario del paese è in continua evoluzione. Se il ministro dell'Interno andrà a parlare con il presidente Fayez al Serraj, certamente cercherà il modo per incontrare anche Khalifa Haftar, il generale che comanda sulla Cirenaica.
Ma proprio perché la Libia è una polveriera, quello che prima era considerato l'uomo forte e capo dell'esercito, ora sembra essere in difficoltà. Con un assalto a sorpresa, qualche giorno fa, alcune milizie hanno sfidato le sue truppe e hanno attaccato i principali terminali petroliferi che sono stati chiusi. Una sfida lanciata al comandante di Tobruk da milizie collegate all'ex capo delle Guardie petrolifere Ibrahim Jadran, alla Benghazi Defense Brigade, con il sostegno politico dal gran mufti di Tripoli.
L'ACCORDO
Difficile muoversi su un terreno cosí impervio, soprattutto se si considera che l'accordo istituito da Marco Minniti è basato principalmente su una rete di rapporti con le municipalità e con le tribù locali, e che per questa ragione non può dirsi stabile. Le milizie, infatti, combattono tra loro per ricevere i finanziamenti italiani. Tanto che in alcune occasioni (come a Sabratha) due gruppi si sono sfidati per prendere il controllo della zona e diventare interlocutori di Roma. Del resto, il denaro in ballo è moltissimo. Nel discorso non è esente Haftar che vorrebbe conquistare alcune aree costiere per aumentare il proprio appeal verso l'Italia. E poi, c'è da aggiungere che mancano una serie di progetti di sviluppo sociale e infrastrutturale che aiutino l'economia locale a cambiare faccia. Sono diversi i fronti sui quali le tribù muovono i propri interessi, e infatti se l'uscita dei migranti è stata molto limitata dall'accordo stipulato dal precedente governo, non è stato altrettanto bloccato l'ingresso dei flussi proveniente dal Sahel e dai paesi in guerra. Sono tantissimi i profughi rinchiusi nei centri di detenzione, in attesa di poter partire. Su questi le milizie non fanno che speculare e guadagnare: pretendono denaro dai familiari, ricattandoli. E altrettanto potrebbero fare con l'Italia giocando al rialzo.
Insomma, uno scenario non facile quello che aspetta il ministro, che deve tenere conto anche del vero tesoro della Libia che e il gas naturale e non il petrolio, e che e localizzato principalmente in Tripolitania dove opera l'Eni. Non in Cirenaica dove sta Haftar. Nella stessa Tripolitania da dove arrivano le principali rotte migratorie e sono attivi una gran parte degli accordi creati da Minniti. Quello che ora preme il Viminale è dunque evitare un conflitto che possa creare problemi alla produzione di gas, ma anche mantenere gli accordi attuali prima di affidarli a potenziali competitors come la Francia.
Nella speranza che, nel frattempo, il ministero della Difesa libico e la National oil company, la compagnia petrolifera locale, mettano fine alla loro guerra fatta di fatture e contenziosi per il gasolio consumato dalle motovedette. Il ministero, da cui dipende la Guardia costiera, non paga o lo fa con grossi ritardi. E le imbarcazioni che dovrebbero presidiare le coste restano ferme in porto.
Cristiana Mangani
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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