Ora il tavolo, ma il governo avverte: tutta la materia fiscale resta esclusa

Lunedì 23 Ottobre 2017
IL RETROSCENA
ROMA E ora? In tema di referendum regionali per ora una sola cosa è sicura: in qualunque modo sia misurata la portata politica dell'evento fra governo e regioni, non si parlerà mai di autonomia fiscale. Perché? Il fatto è che la Costituzione (articoli 116 e 117) non prevede questa materia fra quelle di competenza delle Regioni a statuto ordinario. Per consentire che la Lombardia o il Veneto o l'Emilia o qualcun'altra delle 12 regioni ordinarie possano «tenersi le tasse prodotte sul territorio» bisognerebbe cambiare la Costituzione. Il che - anche dopo l'esperienza del referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre - appare una strada senza sbocco. Né il governo pare intenzionato a favorire una simile soluzione.
L'OBIETTIVO
Ma anche l'obiettivo politico dichiarato dal governatore della Lombardia, Roberto Maroni, ex ministro dell'Interno e del Lavoro nei governi Berlusconi, ovvero quello di «esercitare un'energica azione politica al fine di ottenere un'ancora più ampia competenza da declinare sul proprio territorio in materia di sicurezza, immigrazione ed ordine pubblico», appare poco concreta. Anche queste tre materie sono un'esclusiva dello Stato. E il governo non è certo disposto a concessioni. A cosa sono serviti dunque i referendum, quindi? Politicamente ognuno può trarre le somme che desidera, ma sul piano tecnico la Costituzione è molto chiara attribuendo alle Regioni un raggio d'azione in un elenco molto dettagliato di 23 comparti che spaziano dai rapporti con l'Ue all'energia alle grandi reti di trasporto e persino alla previdenza complementare e alle casse di risparmio e rurali e al credito fondiario e agrario. Ma la Carta fissa anche dei paletti perché stabilisce che le Regioni ordinarie possono fissare delle regole in questi settori ma dentro una cornice nazionale.
LE MATERIE
In concreto dunque Lombardia e Veneto, come del resto ha già fatto l'Emilia Romagna con una semplice lettera, dopo il referendum potranno ottenere dal governo l'apertura di un tavolo per un aumento del grado di autonomia su alcune materie. I governatori Roberto Maroni e Luca Zaia hanno già detto che vogliono ampliare il raggio d'azione di Lombardia e Veneto su tutte le 23 materie. Maroni ha annunciato che - dopo averne parlato in Giunta e nel parlamentino regionale per ottenerne l'approvazione - scriverà subito al governo con l'obiettivo di chiudere la trattativa entro Natale poiché il governo «deve rispondere entro 60 giorni». Alla luce del risultato di ieri, chi parte in vantaggio (forte del maggior consenso popolare) è però il Veneto di Zaia. «I referendum sono solo consultivi - ha precisato però Giancarlo Bressa, sottosegretario agli affari regionali - Dunque non cambiano assolutamente nulla. Per aprire la trattativa con il governo le Regioni devono approvare una delibera e inviarcene una copia. Come ha già fatto l'Emilia-Romagna. E il governo ha dato la sua disponibilità». Le domande che ora attendono risposta sono: eventuali impegni presi dall'attuale esecutivo con le Regioni saranno confermati o meno dal prossimo governo? E l'eventuale tavolo di trattativa si trasformerà nell'ennesimo palcoscenico sul quale drammatizzare bracci di ferro utili per raggranellare qualche voto alle politiche oppure si entrerà davvero nel merito dei temi referendari?
Diodato Pirone
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