Don Fornezza L'ultima messa del sacerdote degli ultimi

Sabato 5 Gennaio 2019
IL PERSONAGGIO
VENEZIA Il 23 giugno del 1974 celebrò la sua prima messa al capezzale della nonna ricoverata nella casa di riposo dei Santi Giovanni e Paolo dopo che la sera prima aveva ricevuto i voti dal patriarca Luciani nella Basilica della Salute. Aveva già 36 anni Don Ettore Fornezza. Al sacerdozio non arrivò subito dopo gli studi ma, il suo, fu un percorso più lungo, meditato, nel quale, 5 anni prima, ebbe un ruolo fondamentale l'incontro con il cardinale Albino Luciani, al tempo Vescovo di Vittorio Veneto ma fresco di nomina a Patriarca di Venezia.
L'ULTIMA MESSA
Domani, domenica 6 gennaio, monsignor Fornezza celebrerà la sua ultima messa da delegato patriarcale della Chiesa Santa Fosca di Torcello e di San Michele in Isola. Il dicembre scorso il Patriarca Francesco Moraglia ha deciso di metterlo a riposo, in quiescenza, dopo 44 anni di attività sacerdotale. La messa è in programma alle 10.30.
«Ho accettato la disposizione del Patriarca senza alcuna obiezione anche se è giunta un po' a sorpresa spiega mons. Fornezza Malgrado i miei 81 anni ho ancora tanta forza e voglia di fare il prete tra la gente e per la gente. Come ho sempre fatto, come ho imparato a fare dalla mia guida spirituale Papa Luciani».
Un percorso, il suo, pieno di tappe e di incontri, di sfide con la gente e per la gente, soprattutto per i giovani. «Il prete è colui che deve darsi agli altri, aiutare gli ultimi, i meno abbienti, non chiudersi nella parrocchia, ma aprire le sue porte ai ragazzi, perché sono loro tante volte che hanno il maggior bisogno di sostegno».
GLI INIZI
E dai giovani mons. Fornezza iniziò nella parrocchia di San Canciano dove il Patriarca Luciani lo mandò per aiutare il parroco. «C'erano solo 5 ragazzi che frequentavano il patronato quando arrivai. Io, allora, cercai gli altri per le calli, nei campi, davanti a casa. Soprattutto i casi più difficili, complicati. Quando me ne andai, di ragazzi in parrocchia ce n'erano 150 e molti di loro ancora mi cercano, mi frequentano». Dopo 4 anni a San Canciano, dal 1980 al 1990 don Ettore viene mandato dal Patriarca Marco Cè a Santa Caterina di Mazzorbo. Anche in questo caso, nel cuore della Laguna, il prete di Cannaregio, si fa notare per la sua intraprendenza. «Nei miei 44 anni di sacerdozio ho ricevuto qualche no, ho bussato a tantissime porte. Quelle che non si sono aperte subito, lo hanno fatto in seguito. Ho imparato a chiedere, non per me ma per la chiesa, la parrocchia, le strutture da sistemare, i ragazzi da seguire. E a Venezia di persone generose e caritatevoli ne ho sempre trovato e conosciuto tantissime. Fare del bene porta bene».
L'ESPERIENZA A MARGHERA
Tra il 1991 al 1996 don Ettore vive la sua esperienza pastorale più dura, come parroco della chiesa di San Michele a Marghera. «Sono stati anni difficili, nei quali sono entrato in contatto con il disagio giovanile, dove ho conosciuto i devastanti effetti della droga e vissuto da vicino il fenomeno della prostituzione. A me interessava solo una cosa: aiutare gli ultimi, soprattutto i più giovani, dare loro una possibilità. Ho subito minacce ma non mi sono mai fermato. E sono felice per chi ce l'ha fatta, magari grazie anche a don Ettore».
RITORNO A VENEZIA
Nel 1997 e per una decina d'anni per don Ettore arriva l'esperienza nella chiesa di San Martino di Castello. «Qui ho lavorato molto sulla parrocchia, non solo sui giovani. E ho conosciuto persone fantastiche che sento ancora vicino». E poi l'ultimo incarico, una volta diventato canonico di San Marco e monsignore, quello che si conclude domani. «A San Michele celebravo per lo più funerali continua Ho avuto modo di capire quanto Venezia sia una città di fede e che crede. Una fotografia della città magari per certi versi triste, vista la situazione, ma molto realistica. A Torcello, invece, al contrario sono stati soprattutto i matrimoni a caratterizzare la mia esperienza. Unioni di tanti giovani e persone che hanno scelto questa splendida isola e chiesa di Santa Fosca per sancire la loro promessa».
ALBINO LUCIANI
Prima di fare il parroco a tempo pieno, quando ancora era segretario personale del Patriarca Luciani, don Ettore ha insegnato in tre istituti superiori: il Morin, il Giorgio Cini e il Sarpi. «Sempre a contatto con i giovani, la mia benzina quotidiana, uno stimolo senza eguali per un prete». Albino Luciani, una figura sempre presente e che Fornezza ha mantenuto viva con l'Oasi Papa Luciani a lui dedicata costruita e sviluppata a Ghisel di Cencenighe nell'Agordino. E adesso? «Metto a disposizione la mia esperienza, se sarà necessario torno tra la gente, quella del Sestiere e della parrocchia dove sono nato e dove vivo tuttora. Chi vuole mi trova a San Marcuola a dire messa».
Raffaele Rosa
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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