«L'angelo lanciò la sua falce sulla terra e vendemmiò la vigna; e

Mercoledì 24 Ottobre 2018
«L'angelo lanciò la sua falce sulla terra e vendemmiò la vigna; e gettò l'uva nel grande tino dell'ira di Dio». Ispirandosi anche a questo passo dell'Apocalisse lo scrittore statunitense John Steinbeck scrisse il libro che in Italia è conosciuto col titolo di Furore. Uno dei più bei testi della letteratura americana e mondiale racconta - profeticamente, per le migrazioni e il cambiamento climatico - lo spostamento verso altre terre di contadini ridotti alla fame dalla siccità. Tutto questo accadde realmente negli Stati Uniti e sta accadendo dal Nord Africa verso l'Italia e altre coste Mediterranee. Le disperate famiglie, raccontate con straziante semplicità dal giornalista-scrittore, verranno tutte sconfitte, ma nessuno dei protagonisti sarà un vinto. A Stoccolma, nella consegna del Nobel, Steinbeck si pronunciò così: Alla fine è la parola, e la parola è uomo, e la parola è con l'uomo. Voleva avvicinarsi ai propri simili, capire gli umili, la gente, raccontarne le sofferenze. Probabilmente ora non potrebbe più scrivere niente di simile. Nelle sue pagine i protagonisti parlano una specie di slang: adesso sarebbe impossibile in un testo rendere la babele di lingue usi e costumi di quanti approdano nel nostro Paese. O di quanti finiscono nel Nordest che digrigna apocalitticamente i denti pensando che - visto che non si può né raccontare né affrontare questa complessità tanto valga cercare di allontanarla. Quasi uno su due tra veneti, trentini e friulani ormai ha allargato i confini della propria regione ben oltre le coste Adriatiche. Li sente, li percepisce, li vede anzi questi confini oltre qualche porto libico prima che nella prua di un barcone o di un gommone. Potrebbe essere diversamente? Forse no, perché i lunghi tempi di crisi acuiscono tutte le estraneità (pelle, culture, lingue, economie, religioni) e invitano alla difesa individuale, intima. E poiché riconoscere un pericolo nel diverso è immediato e facile ecco spiegato il largo consenso allo stop in mare. Però con l'immigrazione dovremmo fare i conti, respingimenti o meno. Il Giappone, che ci precede nella classifica dei paesi vecchi, sta pensando (tra polemiche) a leggi che favoriscano l'immigrazione; perché ci sono fabbriche, nonostante abbiano lavoro chiudono per mancanza di operai. In un anno il numero di chi ha chiuso perché senza mano d'opera è del 40% in più. Non sarà il caso dell'Italia piena di disoccupati, ma la visione politica non deve fermarsi all'oggi di un paese in calo di popolazione dove quasi il 22 per cento ha oltre 65 anni: 168,7 anziani ogni 100 giovani. Paure e reazioni contro chi arriva da fuori non permettono di distinguere lo straniero legale da quello che non lo è. Fastidi, insicurezza, incertezza a Nordest per questa invasione sono veri ma non devono accecare i gestori politici che dovrebbero programmare e gestire un futuro sempre più internazionale. Forse Italia e Nordest chiusi per sempre non piacerebbero a nessuno.
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