Letteratura

Il sonno dei ministeriali genera mostri

Fannulloni, cinici, folli: il ritratto dal vivo di chi si crogiola all'ombra del potere

Il sonno dei ministeriali genera mostri

Ministero, ufficio, scrivania: una triade indissolubile. Potere, burocrazia, lavoro: un triangolo equilatero. Gli impiegati di Honoré de Balzac (1837), Le miserie 'd Monsù Travet di Vittorio Bersezio (1863), La famiglia De-Tappetti di Luigi Arnaldo Vassallo alias Gandolin (1903): un trio di opere che dal potere ministeriale, dalla pubblica amministrazione esercitata nei labirinti di stanze, stanzette e stanzoni, dai tavoli ingombri di pratiche e faldoni hanno distillato magistralmente i contenuti grotteschi, alienanti e comici. Tuttavia, né il gigante francese, né il giornalista e deputato cuneese, né il cronista e umorista genovese, pur potendo contare sulla conoscenza diretta di uffici e scrivanie, ebbero a che fare da dentro con la vita ministeriale.

Accadde invece a Georges Courteline, non de plume di Georges Victor Marcel Moineau (Tours, 1858 - Parigi, 1929), poeta, narratore e drammaturgo, il quale fu per ben quattordici anni all'«ufficio dei culti» del ministero dell'Interno. Penna alata e sguardo disincantato, nelle nostre biblioteche lo troviamo soprattutto con un romanzo-vaudeville di volta in volta intitolato Quelli dalle mezzemaniche, I mezzemaniche o I travet. Ma il titolo originale è Messieurs les ronds-de-cuir (uscito fra il 1891 e il '92 su L'Écho de Paris e nel '93 in volume), laddove il ronds-de-cuir è il cuscino di cuoio a ciambella che Courteline e i suoi colleghi tenevano sotto le chiappe. In italiano potremmo renderlo oggi con «I culi di pietra», ma va bene anche il Tipi da scrivania con cui torna ora nelle librerie (Elliot, pagg. 155, euro 16,50) nella storica traduzione di Decio Cinti, ovvero l'unico futurista pacato e riflessivo di cui si abbia notizia, traduttore delle opere di Marinetti incluso quel Mafarka il futurista che in copertina si fregiò come di una medaglia del sottotitolo «Romanzo processato», nel senso di andato a processo - e condannato - per pornografia.

Lahrier, il primo ministeriale che incontriamo in una bella mattina di primavera, guarda caso ha le terga non su un rond-de-cuir, bensì sulla sedia del Café Riche, e non si preoccupa minimamente del suo consueto ritardo. Al contrario, medita sulla vanità del proprio impiego: «È proprio qualche cosa di bello, la Direzione dei Lasciti e Donazioni! (...) E infatti, i ministri lottano continuamente fra loro per non averla, questa Direzione inutile! A poco a poco, la Cancelleria se ne sbarazza e la vuol dare alla Pubblica Istruzione; la Pubblica Istruzione si difende, e vuole che se la pigli il Commercio; il Commercio protesta e la rimanda agli Interni; gli Interni non vogliono saperne e la spingono verso le Finanze, e così via, fino al giorno in cui un'anima caritatevole acconsente a prendersela a rimorchio e ad aggiungersela per compassione».

Insomma, si tratta di un sotto-ministero importante quanto un sottoscala, un ripostiglio, un polveroso solaio. «Alla tristezza tetra di rue Vaneau, la Direzione generale dei Lasciti e Donazioni aggiunge la nera tristezza della sua facciata senza alcun rilievo e della sua vecchia bandiera, divenuta un cencio stinto», chiosa con cognizione di causa l'autore. Parbleu! Se si parte con l'oltraggio alla bandiera, chissà dove andremo a finire, potrebbe pensare il lettore moderato. Ma niente paura, la Comune è passata, come un refolo di vento, vent'anni prima, e né Lahrier, né altri, dietro quella triste facciata, covano sentimenti di rivolta, anzi si crogiolano nella loro rendita di posizione, e tutt'al più mugugnano quando l'aumento di stipendio o la promozione si fanno attendere più del lecito. In rue Vaneau pullula, come pesci pilota appresso allo squalo, cioè come parassiti ministeriali, una pletora di personaggi. C'è chi, come lo stesso Lahrier, si porta in ufficio la fidanzata per pomiciare, chi passa il tempo a tirare di scherma in cantina, chi, ex cappellaio fallito e assunto lì quando aveva quarantacinque anni, arrotonda rimettendo in sesto i copricapo dei vicini, chi si lava i piedi, chi dorme, chi, come il direttore, butta giù la sceneggiatura di un balletto-pantomima... E poi, come in tutte le aziende, c'è chi, fantozzianamente, accumula le pratiche non evase dagli altri per addossarle voluttuosamente a sé in un delirio di stacanovismo, restando alla scrivania fino a notte.

La surreale filosofia della baracca sta tutta nelle parole del direttore Nègre al capoufficio de La Hourmerie quando questi gli propone il licenziamento in tronco di Lahrier, specialista nello scaricare il lavoro sulle spalle altrui: «Non capite che, tenendo tanto più al suo posto, quanto meno gli costa fatica a conservarlo, farà tutto il possibile per non perderlo? Non capite che appunto ciò che vi è di eccessivo nei suoi torti ci garantisce sicuramente i prodigi che farà perché essi rimangano impuniti, e che quanto più si ostinerà a non eseguire il suo lavoro, tanto più sarà energico nello scaricarsene sugli altri e nello stimolare la loro attività?».

Poi, c'è anche chi dà chiari segni di alienazione mentale. Si chiama Letondu (tondre significa falciare...) e dà fuori di matto per settimane nel disinteresse generale, se non proprio da comunardo redivivo, sicuramente da moralizzatore violento. Fino a quando... No, non diremo per quali circostanze, colpito da un fulmine a ciel sereno, il romanzo-vaudeville di Courteline sfumi nella tragedia. Diremo soltanto che sarà il rampante Chavarax (chavirer significa capovolgersi...) a volgere in positivo per l'intera brigata, con il plauso del direttore, la morte di un suo componente. Come? Con la spartizione, calcolata al decimo di franco, dei suoi ormai inutili emolumenti. D'accordo, è un trucco non da pubblica amministrazione, ma da azienda privata. Però a Courteline, dopo tanto realismo, può essere concessa una licenza poetica.

E da parte sua il prefatore del libro Marcel Schwob, altro campione del motteggio, lo ritrae in modo impareggiabile così: «Possedeva una tale grazia che le imprecazioni, cercando un santuario indistruttibile, lo trovarono nella sua opera».

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