<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

Treni elettrici Lima su un binario morto

di Karl Zilliken
Operai al lavoro negli anni ’60 all’interno della fabbrica Lima, mentre assemblano pezzi dei trenini destinati a regalare gioia ai bimbi sparsi per il mondoAltri momenti della lavorazione dei modellini che hanno reso famoso il marchio LimaLo stand dei trenini Lima ad una esposizione a Singapore negli anni ’60Lo stabilimento della Lima in via Capiterlina ormai aggredito dalla ruggine
Operai al lavoro negli anni ’60 all’interno della fabbrica Lima, mentre assemblano pezzi dei trenini destinati a regalare gioia ai bimbi sparsi per il mondoAltri momenti della lavorazione dei modellini che hanno reso famoso il marchio LimaLo stand dei trenini Lima ad una esposizione a Singapore negli anni ’60Lo stabilimento della Lima in via Capiterlina ormai aggredito dalla ruggine
Operai al lavoro negli anni ’60 all’interno della fabbrica Lima, mentre assemblano pezzi dei trenini destinati a regalare gioia ai bimbi sparsi per il mondoAltri momenti della lavorazione dei modellini che hanno reso famoso il marchio LimaLo stand dei trenini Lima ad una esposizione a Singapore negli anni ’60Lo stabilimento della Lima in via Capiterlina ormai aggredito dalla ruggine
Operai al lavoro negli anni ’60 all’interno della fabbrica Lima, mentre assemblano pezzi dei trenini destinati a regalare gioia ai bimbi sparsi per il mondoAltri momenti della lavorazione dei modellini che hanno reso famoso il marchio LimaLo stand dei trenini Lima ad una esposizione a Singapore negli anni ’60Lo stabilimento della Lima in via Capiterlina ormai aggredito dalla ruggine

Sarebbe forse scontato e poco rispettoso iniziare questa pagina de “La macchina del tempo” scrivendo ironicamente che “quando c'era Lima i trenini arrivavano in orario”. La parabola della storica fabbrica Lima, acronimo di Lavorazione italiana metalli e affini, fondata a Vicenza nel 1946 e trasferita ad Isola nel 1988 è però lo specchio di una repentina trasformazione della società. È stato sufficiente meno di un ventennio perché uno stabilimento nuovo e di grandi dimensioni, quello di via Capiterlina 66 caratterizzato dalle inconfondibili elettromotrici Ftv, chiudesse i battenti. L’ultimo trenino è uscito dai portelloni dell’azienda isolana nel 2004. Che la chiusura e lo smantellamento dell’attività produttiva siano riconducibili a politiche aziendali errate è plausibile, così come è probabile che dagli anni '80 ai primi anni 2000, l’appeal di un certo tipo di passatempi sia calato drasticamente. E se nella seconda metà del '900 i trenini elettrici sono stati presenti in (quasi) ogni casa, si sono trasformati rapidamente in una passione di nicchia. La fabbrica che ha segnato una pagina di storia della produzione ludica e modellistica italiana, ora resta ad accumulare ruggine ed ha anche perso il tetto, perché la copertura era stata costruita facendo ampio utilizzo di amianto. LA FONDAZIONE. I treni sono stati da sempre nel Dna di Lima. La fabbrica, fondata a Vicenza nel 1946, è nata infatti per riparare le carrozze delle Ferrovie dello Stato danneggiate dalla seconda Guerra mondiale, grazie anche alla possibilità di creare delle parti ad hoc in alluminio. Le Fs, però, si riorganizzarono e presto poterono contare su grandi officine interne per provvedere autonomamente alle riparazioni strutturali. Era quindi necessario, per Lima, riposizionarsi sul mercato. Un cambiamento che non passò immediatamente per la riduzione in scala da treni a trenini ma che affrontò un primo passo intermedio attraverso carrozzine per bambini, passeggini dedicate alle bambole, pentole, motoscafi giocattolo e automobiline. L’industria gravitava nella galassia Marzotto e nel 1954 fu proprio un dirigente dei lanieri a rilevarla: Ottorino Bisazza. L’industria del modellismo ferroviario era in grande spolvero ed era dominata da alcuni marchi stranieri e dalla comasca Rivarossi, che farà parte della storia di Lima fino alla fine, segnata per entrambe. LA PRODUZIONE. Questi marchi avevano deciso di aggredire solo un settore del mercato, quello dell’eccellenza, lasciando scoperta tutta la parte di “consumo” dove la qualità scende un po' ma è altrettanto vero che con essa cala pure il prezzo, rendendo il prodotto accessibile a tutte le fasce di mercato. Fu proprio in quel settore che Lima si inserì con decisione dando al modellismo ferroviario una connotazione popolare. La virata “cheap” si tradusse in due scelte. Quella di abbandonare parzialmente il metallo per la lavorazione dei pezzi scegliendo la plastica, in enorme espansione all’epoca, che consentiva di abbattere i costi di produzione ed il prezzo al dettaglio da una parte. Dall’altra, la linea fu quella di non tentare nemmeno di contrastare le aziende concorrenti sul piano qualitativo delle rifiniture: mantenendo comunque una fattura medio-alta, piuttosto che cercare di ricreare alla perfezione il modello, era più redditizio concentrarsi su colori ammalianti che potessero fare colpo sui piccoli e grandi acquirenti. Per quanto i puristi potessero storcere il naso, il bilancio aziendale ringraziò queste decisioni perché i dipendenti arrivarono ad essere più di 400, con una produzione da 3 mila locomotrici e 12 mila vagoni al giorno, senza dimenticare le circa 30 mila rotaie. Pezzi che, negli anni d'oro, raggiungevano tutto il mondo. Partì anche la realizzazione di trenini a molla con binari in plastica e di mattoncini piuttosto simili (se non identici) a quelli della Lego. Con questi mattoncini era naturalmente possibile creare dei convogli da far correre sui binari Lima. LA CHIUSURA. Dall’esaltazione al crollo, il passo può essere breve. Negli '80, il mercato del treno giocattolo iniziò a scricchiolare, mentre tenne quello del modellismo. Lima si confermò proprio in questo settore. La gestione aziendale andò a singhiozzi fino al 1992, quando Lima venne acquisita dalla “rivale” Rivarossi. Le produzioni si affiancarono e per tutti i '90 modellismo e trenini giocattolo continuarono ad essere sfornati. Rivarossi proseguì nella politica di acquisizione dei marchi, facendo man bassa di riferimenti internazionali. Forse il cambiamento che arrivò nel 2001 è da imputare anche a questi esborsi troppo onerosi che non concessero sufficiente disponibilità per un efficace rilancio aziendale al nuovo assetto: la produzione fu spostata ad Isola. Una soluzione che durò poco: il capannone chiuse poco dopo. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Suggerimenti