Milano, il racconto dell'ex 'ndranghetista: io, fiero di essere un 'infame'

Incontro con i giovani della Scuola superiore universitaria Ciels

Luigi Bonaventura ha partecipato al convegno col volto mascherato

Luigi Bonaventura ha partecipato al convegno col volto mascherato

Milano, 6 aprile 2019 - «Non mi vergogno di essere chiamato “infame”: ora sono pronto a morire per questa società ma i veri eroi sono i nostri familiari, sono loro che sopportano tutte le sofferenze». Luigi Bonaventura, ex esponente di spicco delle cosche crotonesi, alla fine del 2005 ha scelto di collaborare con la giustizia, dopo una vita di violenza. Ha deciso di «spezzare la catena», perché se no «anche i miei figli sarebbero stati ’ndranghetisti, come lo erano mio padre e i miei nonni».

Ieri ha incontrato i giovani della Scuola superiore universitaria Ciels di Milano, nell’ambito di un convegno organizzato dalla testata Cisiamo.info, con il sostituto procuratore della Direzione Nazionale Antimafia Cesare Sirignano e altre personalità in prima linea nella lotta alle cosche. «Per anni la mafia in Lombardia e al Nord è rimasta nell’ombra - sottolinea Bonaventura - ma questo perché si è scelto di non vedere, di chiudere gli occhi». L’ex 'ndranghetista ha collaborato con 14 Procure, e si prepara a testimoniare nel maxi-processo Gotha a Reggio Calabria. Il suo nome è legato alla recente storia lombarda anche per la decisione, nell’agosto 2013, di rivelare il progetto del 2011 per eliminare Giulio Cavalli, attore teatrale ed ex consigliere regionale lombardo noto per le sue iniziative contro i clan. «Oggi, con questa iniziativa, collaboratori di giustizia e società civile si incontrano - spiega rifacendosi alle parole di Sirignano - e solo con questi due pilastri si può vincere la battaglia. Io sto facendo la mia parte occupandomi di antimafia sociale, andando nelle scuole. Ci sono ragazzi cresciuti in un clima di violenza difficile da immaginare, anche in Italia ci sono i bambini soldato. Le mafie hanno il terrore delle denunce, io non mi vergogno di essere chiamato infame ma vorrei vedere più pentiti anche nel mondo imprenditoriale e della politica, nella “zona grigia”. I pentiti sono una medicina amara ma necessaria - evidenzia - e devono essere riaccolti nella società. Con il mio passato dovrò convivere per sempre, ma mia moglie e i miei figli non sono criminali».

Bonaventura, che ora è fuori dal programma di protezione, è uno dei 1.319 collaboratori e testimoni di giustizia in Italia: circa 600 della camorra, 300 di cosa nostra, 200 della ’ndrangheta, 100 della sacra corona unita, 80 di organizzazioni criminali straniere. Considerando anche i parenti, sono 5.000 le persone coinvolte. Ci sono problemi di sicurezza per famiglie che vengono sradicate dal territorio, spesso trasferite al Nord. Tempi lunghi, fino a due anni, per cambiare generalità. Il problema del reinserimento lavorativo. Bonaventura è tra i fondatori del Comitato sostenitori collaboratori di giustizia. «Purtroppo la nostra parola serve solo nei Tribunali - sottolinea - ma non sappiamo a chi rivolgerci per tutte le problematiche quotidiane. Bisognerebbe istituire un ente terzo, che faccia da garante per i collaboratori».

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