Giorgio Ambrosoli, l'uomo che antepose il proprio dovere al compromesso

Pubblicato: Mercoledì, 11 Luglio 2018 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI - L'11 luglio 1979 viene ucciso a Milano il liquidatore della Banca Privata. Vittima degli intrighi di un'Italia torbida, è rimasto un esempio per la collettività

ilmamilio.it 

La sera dell'11 luglio 1979, rincasando dopo una cena, l’avvocato Giorgio Ambrosoli sta chiudendo la serratura della sua auto. Una Fiat 127 rossa gli si accosta a pochi metri. Un uomo gli rivolge una sola domanda: "Avvocato Ambrosoli?". "Sì". Partono quattro colpi di pistola. Ambrosoli viene soccorso, ma muore sull'ambulanza che lo trasporta in ospedale verso la mezzanotte.

Il suo killer, si scoprirà più tardi, si chiama William Aricò. Era stato ‘ingaggiato’ dal finanziere Michele Sindona al prezzo di 25mila dollari in contanti ed un bonifico di altri 90mila dollari su un conto bancario svizzero. Nessuna autorità, pochi giorni dopo, presenzierà ai funerali.

Nel 1981, con la scoperta delle carte di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi, si trovò gradualmente la conferma del ruolo della loggia massonica P2 nell'omicidio. Il 18 marzo 1986 Michele Sindona e il boss italo-americano Robert Venetucci furono condannati all'ergastolo per l'assassinio. Due giorni dopo Sindona venne trovato morto in cella per avvelenamento da cianuro di potassio. 

VITA DI UN UOMO ONESTO - Giorgio Ambrosoli era figlio di quella borghesia milanese che si era radicata con il lavoro e i sacrifici. Da giovane, si era legato all'Unione monarchica italiana. Dopo alcuni anni di attività professionale, iniziò a specializzarsi nel settore fallimentare delle liquidazioni coatte amministrative, collaborando con la Società Finanziaria Italiana.

Nel settembre 1974 viene nominato dall'allora governatore della Banca d'Italia, Guido Carli, commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, una struttura sull'orlo del crack finanziario e guidata dal banchiere siciliano Michele Sindona, politicamente protetto dall'Onorevole Giulio Andreotti.  

Ambrosoli non era a conoscenza dell'impianto articolato che si celava dietro al banchiere, ma intuì che la vicenda di cui si stava occupando era finita in acque torbide. Completò il suo lavoro nonostante gli fossero arrivati avvertimenti e le minacce. I sospetti sulle attività di Sindona erano nati già nel 1971, quando la Banca d'Italia aveva iniziato a investigare sulle mosse dello stesso faccendiere nel tentativo di evitare il fallimento degli Istituti di credito da lui gestiti: la Banca Unione e la Banca Privata Finanziaria. L'allora governatore Carli decise di accordare un prestito a Sindona e le sue banche vennero fuse, con la nuova denominazione di Banca Privata Italiana, di cui Giovambattista Fignon, direttore centrale del Banco di Roma, divenne vice presidente ed amministratore delegato. Quest'ultimo intraprese numerose relazioni, ricostruì le operazioni messe in piedi da Sindona e dai suoi collaboratori e poi ne ordinò l'immediata sospensione. Ciò che emerse dalle investigazioni indusse a nominare un commissario liquidatore che venne individuato proprio nella figura di Ambrosoli. Nel corso dell'indagine emerse, inoltre, la responsabilità dello stesso Sindona anche nei confronti di un'altra banca, la statunitense Franklin National Bank, sull'orlo del fallimento.

Politica, massoneria deviata, mafia: emerse, successivamente, un incastro spaventoso. Nonostante le minacce di morte, non fu accordata ad Ambrosoli alcuna protezione da parte dello Stato. Il suo omicidio avvenne quindi in un clima di isolamento, con il modello più classico del sistema mafioso.

Ambrosoli era un uomo perbene. Volle portare fino in fondo il suo incarico per l'alto senso dello Stato e dei suoi principi di legalità. Pagò a caro prezzo il suo ruolo in un'Italia fatta di intrighi misteriosi, mai del tutto svelati, in un quadro di depistaggi ed omertà radicate che hanno insanguinato e deturpato la nazione per decenni.

Nel 1975 scrisse questa lettera alla moglie, diventata poi una sorta di testamento morale:

"Anna carissima, è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I., atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente dì ogni colore e risma non tranquillizza affatto. È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l'incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di fare qualcosa per il paese. Ricordi i giorni dell'Umi (Unione Monarchica Italiana ndr), le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant'anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l'incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato - ne ho la piena coscienza - solo nell'interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo.

I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [... ] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell'altro. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi".

Il drammaturgo Bertold Brecht affermò: “Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili”. Giorgio Ambrosoli è stato un 'indispensabile' dall’altissimo valore morale e di libertà, anche a fronte di scelte personali drammatiche.

Nella motivazione della Medaglia d’oro al valor civile conferitagli è scritto: “Commissario liquidatore di un istituto di credito, benché fosse oggetto di pressioni e minacce, assolveva all'incarico affidatogli con inflessibile rigore e costante impegno. Si espose, perciò, a sempre più gravi intimidazioni, tanto da essere barbaramente assassinato prima di poter concludere il suo mandato. Splendido esempio di altissimo senso del dovere e assoluta integrità morale, spinti sino all'estremo sacrificio. Milano, 12 luglio 1979”.

A lui sono stati dedicati il film “Un eroe borghese”, per la regia di Michele Placido e la miniserie Tv ‘Qualunque cosa succeda’, per la regia di Alberto Negrin.

Guai a dimenticare il suo esempio.