A Casal di Principe jihadisti che nessuno ha visto

A Casal di Principe jihadisti che nessuno ha visto
di L'inviato Giuseppe Crimaldi
Venerdì 30 Marzo 2018, 08:22
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Gli uomini della Digos intabarrati nei mephisto neri hanno da poco lasciato gli appartamenti, ma delle perquisizioni scattate all'alba di ieri alle porte di Caserta - tra Casal di Principe e Villa di Briano - non c'è più alcuna traccia. Nemmeno i sigilli sono stati apposti agli ingressi dei tre appartamentini abitati dai tunisini finiti in carcere con le accuse di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e traffico di documenti falsi.
Alle 4,15 dell'altra notte la polizia ha bussato alle porte di Mohammed Baazaoui, 38 anni, e di Rabie Baazaoui, 30enne. Entrambi sono coinvolti - questo sospettano i pubblici ministeri del pool antiterrorismo della Procura di Roma - nella cellula di complici e fiancheggiatori di Anis Amri, autore della carneficina compiuta a Berlino 19 dicembre 2016, in un mercatino allestito per il Natale. Dodici morti e 56 feriti. C'è dunque un filone tutto campano sul terrorismo di matrice islamica (il primo napoletano, il secondo casertano) che si apre ufficialmente alla luce di questi arresti; un capitolo inquietante che conferma come il prisma nero del Jihadismo che invoca e predica la «lotta santa» si presenti con tante sfaccettature: una di queste è rappresentata dal ruolo di coperture e fiancheggiatori capaci di garantire nuove identità a chi ha commesso reati o è in fuga.
 
Alla fine, è un triangolo quello che si compone mettendo insieme i punti che individuano i «covi» degli arrestati. A guardare gli ingressi di quei piccoli appartamenti non crederesti mai che si tratti di una delle centrali operative più attive nel traffico di documenti falsi da garantire ai migranti, soprattutto a quelli maghrebini. Mohammed Baazaoui - presunto capo di quest'organizzazione di fiancheggiamento - alternava il proprio domicilio tra via Pitagora e Largo Santagata, a Villa di Briano; Rabie viveva e dormiva, invece, nella vicina Casal di Principe, in via Francesco Baracca: a un tiro di schioppo - poco più di un centinaio di metri in linea d'aria - dalla «Casa di don Diana», polo didattico di attività educative innovative, luogo sottratto ad un boss di camorra e ormai icona di legalità nella terra di Francesco «Sandokan» Schiavone.
Quel che succedeva nel segreto di queste mura, lontano da occhi e orecchie indiscrete (che pure, su questi territori, sembrano essere ancora rarissime) è presto detto. A disvelarlo è stata, in particolare, la perquisizione seguita all'arresto di Mohammed, l'altra notte, nel terraneo di via Largo Santagata: qui gli investigatori hanno trovato - tra materassi sporchi stesi ovunque (giacigli offerti con ogni probabilità anche ai connazionali che dalla Sicilia risalivano verso Caserta e Napoli per garantirsi documenti falsi, prima di proseguire verso Ventimiglia ed altre destinazioni del Nord) - decine e decine di foto-tessera; e poi altro «materiale cartaceo e documentale» riconducibile alle attività di falsificazione di documenti.
Dicevamo che qui - a Casale e Villa di Briano - si preferisce ancora non vedere, non sentire e - soprattutto - non parlare. Soprattutto con i giornalisti. Un uomo che abita nello stesso stabile occupato da Mohammed fa spallucce. «È questo il palazzo dove hanno arrestato il tunisino stamattina?», gli chiediamo. «Non lo so»: e arriva a dire di non sapere nemmeno quale sia il numero civico nel quale vive. Bocche cucite anche tra i dipendenti di alcuni negozi a due passi da Largo Santagata: «Non sappiamo niente di questi qui, mai visti». I soli a rispondere e raccontare qualcosa sono quattro vicini di Rabia, che abitano in via Baracca proprio di fronte all'appartamentino occupato dal tunisino. «Ultimamente qui non si vedeva entrare nessuno - raccontano - Ma fino a qualche settimana fa era tutto un viavai di biciclette con a bordo nordafricani. Entravano e uscivano di continuo».
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